Aveva fatto di tutto affinché il suo nuovo opus magnum, l’Ulysses, venisse pubblicato il giorno del suo compleanno, il 2 febbraio. In effetti ci riuscì, e James Joyce festeggiò così – cento anni fa, il 2 febbraio 1922, il giorno in cui compiva quarant’anni – l’uscita di un’opera alla quale lavorava da molto tempo.
Già nel gennaio del 1920 aveva spedito uno dei diciotto episodi, Nausicaa, all’amico Ezra Pound e alla signorina Harriet Weaver, impegnata nel far pubblicare in anteprima a puntate l’Ulysses sulla sua rivista londinese, The Egoist, alla quale già collaboravano Ezra Pound e T.S. Eliot. Figlia di un medico, Miss Weaver ebbe un’importanza fondamentale per la persona e l’opera di Joyce come sua protettrice, finanziatrice, editrice ed esecutrice letteraria. Ricevendo il dattiloscritto di Nausicaa, rispose al suo protetto: “Lei ha davvero lo spirito del medico, penso; è così severo con la nostra natura umana: e così, benché lei non sia né prete né dottore in medicina, direi che ha qualcosa dell’uno e dell’altro: il reverendo James Joyce della Compagnia di Gesù, Medicinae Doctor”. In Nausicaa, come in altri episodi, si può scorgere una trama nascosta ricca di riferimenti medico-scientifici. In questo caso, dichiarata dallo stesso autore che in una lettera scrive a proposito dei protagonisti: “Bloom è lo spermatozoo, la clinica è l’utero, l’infermiera l’ovulo, Stephen l’embrione”.
Lei ha davvero lo spirito del medico, penso; è così severo con la nostra natura umana.
Harriet Weaver
Miss Weaver aveva davvero intuito non solo il genio, ma anche il carattere e i gusti del suo protetto, non immaginando neanche, evidentemente, quanto fosse andata vicino alla realtà. Infatti, Joyce le rispose, compiaciuto e scherzoso: “Ho letto con interesse quanto lei mi ha detto nella sua ultima lettera, giacché effettivamente mi misi a studiare medicina tre volte, a Dublino, a Parigi, e poi di nuovo a Dublino. Sarei stato ancor più disastroso per la società di quanto non lo sia attualmente, se avessi continuato” [1].
Difatti, dopo essersi laureato a Dublino in lettere moderne, Joyce si era iscritto – nella primavera del 1902 – alla S. Cecilia Medical School. Si vedeva bene, in prospettiva, nella doppia veste di medico e di scrittore, grazie agli agi che immaginava gli sarebbero stati consentiti dalla prima professione. Richard Ellmann, suo biografo, ritiene che il vero paziente di James fosse in prospettiva l’Irlanda intera, da anatomizzare e da purgare . Fatto sta che già a ottobre, all’inizio dei corsi di biologia chimica e fisica, ogni sacro furore sembrava spento. Tentò di ravvivarlo cambiando università e iscrivendosi alla facoltà di medicina della Sorbona, trasferendosi a Parigi. Ma anche il tentativo di studiare in Francia fallì e James provò un’ultima volta a studiare medicina a Dublino.
Perché così tanta voglia e così poca determinazione? Probabilmente, sulla sua decisione di studiare medicina oltre alla speranza di un buon guadagno pesarono retaggi e vicende familiari. Anche il padre John da ragazzo si era iscritto a medicina all’Università di Cork, interrompendo presto gli studi: James avrebbe voluto riuscire lì dove il padre aveva fallito? Nel marzo del 1902, suo fratello minore, George, aveva contratto una febbre tifoidea che esitò poi in una peritonite che lo portò alla morte. Neanche un mese dopo, in aprile, James si iscrisse a medicina. Inoltre, quando poi si reiscrisse per la seconda volta a Dublino, tornando da Parigi, sua madre May era gravemente ammalata e sarebbe morta di lì a poco – nel 1903 – per un tumore epatico. Come se, inconsciamente, James avesse voluto impegnare la propria intelligenza per salvare i suoi cari, in particolare la madre, dal momento che non poteva più pregare per lei, avendo perso quella fede cattolica in cui era stato cresciuto.
Del Joyce paziente si sa molto, e la sua storia clinica è un modello di scarsa aderenza, diremmo oggi, alle raccomandazioni dei curanti. Non fu certo un modello di salute. Dai vent’anni e per tutta la vita soffrì soprattutto di ricorrenti e ingravescenti vicissitudini oculistiche, e poi di problemi dentali, di artrite e mal di schiena cronici, oltre che di dolori addominali ricorrenti, aggravati dal suo stile di vita, tutto meno che morigerato, specie nel bere.
Morì nel gennaio del 1941 a Zurigo, a causa delle complicazioni di un’ulcera duodenale perforata.
Luciano De Fiore Il Pensiero Scientifico Editore
Bibliografia
Lettere tra Harriet Weaver e James Joyce, 16 marzo 1920. In Richard Ellmann, James Joyce. Roma: Castelvecchi, 2022. A p. 575.
ivi, p. 151.
In foto la storica farmacia di Sweny, a Dublino, citata nell’Ulisse di James Joyce, che ora è un circolo letterario.