Con il termine “trapianto” si intende l’intervento chirurgico con il quale si trasferisce un organo da un corpo – tramite un prelievo – a un altro. Se gli organi sono più di uno il trapianto è definito “multiorgano”. Nel caso dei “tessuti”, come la cute, le ossa e le valvole cardiache, i quali possono essere prelevati anche a cadavere freddo, ossia in assenza del flusso sanguigno, si usa il termine “innesto”. L’“espianto” è, invece, l’atto chirurgico con cui si preleva l’organo dal donatore o lo si rimuove dal corpo del ricevente. Il trapianto si definisce “omologo” se donatore e ricevente sono della stessa specie ed “eterologo” se ricevente e donatore sono di specie diverse. “Xenotrapianto” è, precisamente, il termine che indica il trapianto di organi provenienti da animali non umani.
Il 3 dicembre del 1967– con il primo trapianto di cuore fra umani eseguito da Christiaan Barnard in Sud Africa – segna una tappa fondamentale nella storia della trapiantologia. Ma trapianti di rene erano già stati precedentemente eseguiti sull’uomo, anche se con un limitato successo poiché, fino alla scoperta del farmaco immunosoppressore ciclosporina, nel 1978, il problema del rigetto causava una sopravvivenza dell’organo assai limitata. Si definisce “rigetto” la consueta reazione biologica del sistema immunitario, il quale, riconoscendo il nuovo organo come estraneo, lo aggredisce. Lo stesso paziente sottoposto al primo trapianto cardiaco da Barnard, ad esempio, sopravvisse solo 18 giorni, anche per complicanze cardiache.
Il prelievo di organi può essere eseguito da donatore vivente (limitatamente a rene e fegato), da donatore cadavere in morte cardiaca (quasi esclusivamente limitato ai tessuti) o da cadavere in morte cerebrale, il cosiddetto “a cuore battente”, per tutti gli altri organi. L’ulteriore miglioramento della terapia immunosoppressiva antirigetto ha permesso negli ultimi decenni di raggiungere un’elevata sopravvivenza tra i soggetti riceventi. Questo, assieme al perfezionamento della tecnica chirurgica e delle relative terapie rianimatorie, perioperatorie e postoperatorie, ha reso il trapianto una realtà medica sempre più utilizzata nei paesi avanzati, rendendolo quasi una terapia ordinaria.
Rimangono, tuttavia, molti problemi etici connessi ai trapianti. L’introduzione e la definizione del concetto di morte cerebrale, fin dall’iniziale e noto protocollo di Harvard del 1968, sono state e rimangono ancora oggi motivo di ampio dibattito bioetico. Alcuni autori ritengono che i criteri di accertamento della morte cerebrale non siano realmente in grado di valutare la completa e irreversibile perdita di ogni funzione encefalica, come la definizione sottintende. Anche per questo motivo propongono, invece, di introdurre il concetto di “morte corticale” come criterio per dichiarare la morte dell’individuo e permettere l’eventuale prelievo di organi.
La questione è ulteriormente complicata dal fatto che la legislazione in materia di accertamento della morte encefalica non è univoca nel mondo, con sostanziali differenze anche tra gli stessi paesi occidentali. La ricerca del consenso del donatore è ulteriore motivo di dibattito etico-giuridico. In assenza di un esplicito e testimoniato rifiuto del paziente in vita, è lecito da parte dei parenti porre un rifiuto all’espianto degli organi? Lo è, in particolare, se ci si confronta con la drammatica realtà delle lunghe liste di pazienti – spesso giovani – che muoiono quotidianamente in attesa di ricevere un organo, ossia in relazione alla cronica carenza di organi da trapiantare? Da ciò deriva anche la questione dei criteri utilizzati per l’allocazione degli organi prelevati. Premessa la condizione di compatibilità immunitaria, la data di iscrizione alla lista di attesa, l’età e la gravità della condizione clinica del ricevente sono i principali criteri per l’individuazione del paziente che verrà trapiantato.
Capitolo a parte è la questione del donatore vivente. In Italia tale donazione era permessa solo fra parenti. Oggi è possibile anche donare a scopo caritatevole – la cosiddetta “donazione samaritana” – a uno sconosciuto, mentre è vietato cedere un organo a scopo di lucro. Come noto, invece, esiste una corrente di pensiero che ritiene eticamente percorribile la vendita di parti del proprio corpo. Così sarebbe possibile vendere un rene o una parte del fegato in un libero mercato che ne potrebbe determinare il valore. Bisogna anche ricordare che un trapianto di rene, per quanto sia un intervento complesso e costoso, risolve definitivamente il problema del ricevente ed evita, pertanto, gli elevati costi sociali e sanitari, a carico della collettività, della terapia dialitica. In pratica, in una visione esclusivamente economicistica, al Servizio sanitario nazionale converrebbe acquistare un rene da un cittadino offerente anziché sostenere l’assistenza al malato dializzato, senza contare la migliore qualità di vita del paziente trapiantato rispetto al dializzato. In proposito va chiarito che nel nostro paese non sono mai state accertate le modalità di trapianto clandestino, nonostante il periodico ripetersi di allarmismi in tal senso. Mentre è ormai accertato che tale pratica è diffusa nei paesi del terzo mondo, ove gli organi vengono spesso prelevati con la forza su soggetti indifesi o eventualmente offerti a poco prezzo da soggetti indigenti. Tra le nuove frontiere della ricerca scientifica nell’ambito dei trapianti si segnalano, infine, quelle relative all’impiego delle cellule staminali sia nella ricostruzione e rigenerazione dei tessuti sia nelle terapie post-trapianto.
Mario Riccio Responsabile Ssd e rianimazione dell’Ospedale Oglio Po Consiglio direttivo della Consulta di bioetica onlus
Questo testo è tratto dal libro Le parole della bioeticaa cura di Maria Teresa Busca e Elena Nave (Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2021). Per gentile concessione dell’editore.