A cura di Demetrio Neri
Frutto di un’idea nata e sviluppatasi negli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta per l’affermazione e l’estensione dei diritti civili.
L’espressione “testamento biologico” è ormai entrata nell’uso corrente per indicare un documento scritto (variamente denominato in letteratura e nelle legislazioni) col quale una persona, nel pieno possesso delle sue facoltà, lascia disposizioni circa i trattamenti ai quali vuole o non vuole essere sottoposta nel caso in cui, nel decorso di una malattia o a causa di traumi improvvisi, non fosse più in grado di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso informato.
Il testamento biologico è dunque l’approdo coerente della progressiva valorizzazione del consenso informato e del principio che ne è alla base: il principio di autodeterminazionenei confronti dei trattamenti sanitari che, in Italia, trova il suo fondamento negli articoli 13 e 32 della Costituzione e, a livello europeo, ha trovato espressione nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta di Nizza). Il consenso libero e informato del paziente all’atto medico non può più essere visto soltanto come un requisito di liceità del trattamento, ma va considerato prima di tutto alla stregua di un vero e proprio diritto fondamentale della persona, afferente al più generale diritto all’integrità personale (titolo I “Dignità”, art. 3 “Diritto all’integrità personale”).
Sul piano storico, il testamento biologico è frutto di un’idea nata e sviluppatasi negli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta, nel quadro della battaglia più generale per l’affermazione e l’estensione dei diritti civili. Se ne fece promotore Luis Kutner, co-fondatore di Amnesty International, e trovò la sua prima realizzazione concreta nel Natural death act dello Stato della California (1976). L’idea di base è semplice ed era stata formulata pochi mesi prima dalla Corte suprema del New Jersey nella sentenza sul caso di Karen Quinlan: l’ormai consolidato diritto ad accettare o a rifiutare un trattamento non può venir meno per il solo fatto della sopravvenuta incapacità del soggetto a esercitarlo; ne consegue che questo diritto dovrà essere fatto valere da altri che, nel farlo, dovranno agire sulla base della presunta volontà del soggetto ricostruita grazie a testimonianze o altre prove, meglio ancora, se fosse possibile, disponendo di un documento scritto dal soggetto stesso.
L’ormai consolidato diritto ad accettare o a rifiutare un trattamento non può venir meno per il solo fatto della sopravvenuta incapacità del soggetto a esercitarlo.
In Italia il dibattito è iniziato all’indomani dell’approvazione della legge dello Stato della California, ma l’idea di testamento biologico non fa breccia nella discussione pubblica almeno sino all’inizio degli anni Novanta: in quel periodo il centro studi Politeia organizza a Roma uno dei primi importanti convegni dibioetica, nel corso del quale il giurista Guido Alpa si rende promotore di una proposta di legge sul testamento biologico che la Consulta di bioetica onlus fa propria provvedendo anche a redigere e a pubblicizzare la Biocard, la prima e, per molto tempo, l’unica forma di testamento biologico circolante in Italia. La proposta, tuttavia, non sortisce alcun effetto e occorre aspettare la primavera del 2004 perche inizi, nel nostro Parlamento, un iter legislativo che si e rivelato complesso e faticoso, scandito da bruschi arresti e improvvise accelerazioni (soprattutto in occasione dei noti casi di Piergiorgio Welby, di Eluana Englaro e infine di DJ Fabo), e che finalmente è giunto a conclusione il 22 dicembre 2017 con l’approvazione della legge 219/2017 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”. La legge è ispirata dal criterio della compatibilità tra differenti visioni del mondo e crea un ampliamento delle opzioni disponibili alle scelte individuali, un ampliamento compatibile con tutte le differenti autorappresentazioni della propria condizione esistenziale che le singole persone possono sviluppare in base ai propri valori e alla propria concezione della vita. Grazie a essa, siamo tutti un po’ più liberi di prima e nessuno viene danneggiato.
Demetrio Neri Professore emerito di Bioetica, Università degli studi di Messina Socio della Consulta di bioetica onlus Membro della Commissione per l’etica e l’integrità della ricerca del Cnr (Roma)
Questo testo è tratto dal libroLe parole della bioeticaa cura di Maria Teresa Busca e Elena Nave (Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2021). Per gentile concessione dell’editore.