A cura di Carlo Alberto Defanti Una condizione clinica caratterizzata dalla presenza di un'attività di veglia in assenza di coscienza, può essere permanente o transitoria.
Come è avvenuto per la morte cerebrale, voce che si consiglia di consultare prima della presente, è opportuno ripercorrere brevemente la storia dello stato vegetativo. Mentre la morte cerebrale era stata definita nel 1968 come il quadro clinico derivante da una lesione cerebrale tale da privare l’encefalo di ogni sua funzione (respirazione compresa), l’espressione “stato vegetativo” è stata proposta nel 1972 per indicare una situazione, in realtà abbastanza eterogenea quanto alle cause e al tipo di lesione, in cui la funzione degli emisferi cerebrali – e in particolare della corteccia – è compromessa in modo tale da sopprimere completamente la coscienza, senza che siano abolite le funzioni del tronco encefalico (le cosiddette funzioni vegetative e in particolare la respirazione). In modo schematico si può dire che quella che in clinica si definisce “coscienza”, vale a dire la capacità dell’individuo di essere cosciente di sé e dell’ambiente che lo circonda, risulta da due distinte componenti:
la vigilanza (che ci fa essere attenti all’ambiente e con gli occhi aperti), sostenuta dalla formazione reticolare del tronco encefalico;
la consapevolezza (di sé e dell’ambiente), che è funzione degli emisferi.
Mentre nella morte cerebrale sia il tronco encefalico che gli emisferi sono privi di funzione (ed entrambe le componenti della coscienza sono assenti), nello stato vegetativo il tronco encefalico è relativamente risparmiato, ciò fa si che il soggetto – dopo la fase acuta– riacquisti la vigilanza e riapra gli occhi, pur senza essere cosciente né di sé né dell’ambiente circostante. Spesso in questi casi si parla erroneamente di coma, ma nel coma il soggetto, oltre che incosciente, ha gli occhi chiusi, come se dormisse, mentre nello stato vegetativo li riapre, almeno per parte del giorno. Inoltre, il coma ha sempre una durata limitata, per lo più non supera le tre settimane, dopo di che il malato, se sopravvive, riapre gli occhi ed entra nello stato vegetativo. Lo stato vegetativo può rappresentare una fase transitoria dopo un periodo di coma oppure permanere tale anche per anni: in questi casi si parla di stato vegetativo permanente o irreversibile.
Un grosso problema che si pone ai clinici è la previsione (prognosi) della futura uscita, o no, dallo stato vegetativo, vale a dire della ripresa di coscienza. Purtroppo non esistono a tutt’oggi criteri forti che ci permettano, in un soggetto in coma dopo un insulto grave del cervello, di prevedere in fase acuta, cioè nei primi giorni, quale sarà il suo futuro destino, ragion per cui vale ancor oggi la regola empirica dell’attesa: in linea di massima un soggetto che abbia subito una lesione cerebrale anossica non si risveglierà se rimane in stato vegetativo per tre mesi, mentre per i casi traumatici bisogna attendere almeno 12 mesi e in realtà si conoscono non poche eccezioni a questa regola grossolana.
Una volta che la diagnosi di stato vegetativo e la prognosi di irreversibilità sono state acclarate, si pone il problema etico della prosecuzione delle misure di sostegno vitale.
Un problema che è emerso negli ultimi vent’anni è che le lesioni emisferiche responsabili dello stato vegetativo spesso non sono diffuse, ma disseminate “a macchia di leopardo” ed è pertanto possibile che aree cerebrali siano risparmiate e in grado di funzionare, anche se ciò non appare clinicamente. Le nuove tecniche di neuroimaging, in particolare la risonanza magnetica funzionale, lo hanno ben dimostrato, così come hanno mostrato che in soggetti incapaci di dare risposte clinicamente visibili a stimoli o domande esterne, talora si attivano alcune aree corticali e che il soggetto, anche se raramente, e in grado di fornire a domande anche complesse una risposta “strumentale”, cioè rilevabile unicamente tramite queste tecniche, tale da configurare un vero processo di pensiero. Questi dati hanno grandemente arricchito le nostre conoscenze sul funzionamento cerebrale, ma hanno reso più delicato il compito del clinico, che oggi – almeno nei casi dubbi – può avvalersi di queste indagini sofisticate.
Una volta che la diagnosi di stato vegetativo e la prognosi di irreversibilità sono state acclarate, si pone il problema etico della prosecuzione delle misure di sostegno vitale, misure che, nello stato vegetativo di lunga durata, consistono solo in un’accurata assistenza infermieristica e nella nutrizione e idratazione artificiale, di regola tramite gastrostomia percutanea (Peg). Il problema della liceità morale e giuridica della sospensione della nutrizione e idratazione artificiale, qualora vi sia stata una direttiva anticipata in tale senso, è stato risolto in senso positivo dalla legislazione della maggior parte dei Paesi europei, e attualmente anche in Italia, dove, attraverso un iter legislativo complesso e faticoso, giunto a conclusione il 22 dicembre 2017, è stata approvata la legge 219/2017, “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, nella quale, all’articolo 5, si stabilisce che “ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici”. La legge inoltre dispone che i soggetti, maggiorenni e capaci di intendere e di volere, possano manifestare in un documento, il testamento biologico, quanto desiderano avvenga qualora dovessero trovarsi nella condizione detta di stato vegetativo che impedirebbe di comunicare la loro precisa volontà.
Carlo Alberto Defanti Consulta di bioetica onlus Gruppo di studio di bioetica della Società italiana di neurologia
Questo testo è tratto dal libroLe parole della bioeticaa cura di Maria Teresa Busca e Elena Nave (Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2021). Per gentile concessione dell’editore.