La solitudine è premessa alla conoscenza della nostra interiorità, della nostra soggettività, e della interiorità e soggettività degli altri da noi. Eugenio Borgna In dialogo con la solitudine
La solitudine è secondo Eugenio Borgna è “l’anima segreta e nascosta della vita”. Nel suo ultimo libro In dialogo con la solitudine[1] lo psichiatra italiano riflette sulla condizione di solitudine cogliendone le diverse sfumature. La solitudine assume quindi forme diverse, a seconda dei contesti di vita, delle età e dei momenti in cui viene vissuta. Non solo, la solitudine può diventare una forza maieutica, in grado di generare speranza, per questo è necessario distinguerla dall’isolamento dove muore la speranza.
Professor Borgna, dal suo libro emerge l’ambivalenza della solitudine: un momento necessario ma al tempo stesso doloroso. In che modo è possibile immergersi nella solitudine avendo la certezza di riuscire a tornare nel mondo? Qual è la sottile linea tra isolamento e solitudine?
Non possiamo parlare di solitudine e isolamento se non partiamo da una premessa: il senso della vita non è l’esteriorità. ovvero il modo di comportarsi, ma l’interiorità, ovvero il modo in cui dentro di noi ci confrontiamo con la vita e le domande che ne derivano. Solitudine e isolamento possono essere condizioni sovrapponibili la cui differenza risiede nel modo con cui ciascuno di noi le vive. Si può essere soli, oltrepassando i limiti dell’isolamento, e perciò rimanere in contatto e in dialogo con le persone che conosciamo.
Quando incontriamo una persona, anziché notare i suoi modi di fare dovremo cercare di coglierne il linguaggio segreto. In una persona che apparentemente può sembrare sola potremmo così cogliere una ricchezza di umanità, di pensieri, di immagini, di attese e di speranze. Simone Weil, a questo proposito, parlava di intuizione: una dote che può essere innata o acquisita e che ci consente di riconoscere chi è apparentemente solo ma che in realtà è capace di ascolto, di trascendere i limiti e i confini dell’isolamento. Si può essere soli in mezzo a una grande folla e si può non esserlo anche se viviamo lontano dagli altri, è il colloquio interiore che ci consente di distinguere esteriorità da interiorità.
Essere soli è una forma di vita che accompagna, in modi e misure diverse, ciascuno di noi ma che cambia radicalmente i suoi significati nella misura in cui sia vissuta interiormente come attesa e come speranza oppure come una esperienza della quale noi siamo prigionieri.
Lei scrive che la solitudine è la condizione che con più frequenza si associa alla malattia. Quali sono i rapporti di causalità tra i due fenomeni?
Innanzitutto, occorre distinguere tra la malattia fisica e la malattia psichica, termine che comunque dovremo evitare perché ciò che chiamiamo malattia psichica in realtà è espressione di una sofferenza interiore. Sappiamo che è una possibilità umana che spesso ci allontana dagli altri; la malattia ci separa, ci chiude in un mondo soltanto nostro. Solo chi ha una malattia può dire in fondo quali sono gli stati d’animo, le angosce, e le disperazioni che lo abitano. Dobbiamo chiederci se chi è malato sente intorno a sé una certa solidarietà, una comunione di intenti oppure si sente prigioniero di una malattia che brucia i ponti con gli altri, costituitivi di ogni esistenza.
La malattia ci separa, ci chiude in un mondo soltanto nostro.
Sempre riguardo la malattia, nel rapporto di cura si incontrano due solitudini: quella del paziente e quella del medico. Quali accortezze bisogna avere per far sì che questo incontro possa avvenire nel modo migliore?
Per fare in modo che due solitudini si incontrino è necessario, come dicevo prima, oltrepassare i limiti e i confini dell’esteriorità. Chi si pone in ascolto deve riuscire a dare un contenuto umano e spirituale ai comportamenti dell’altro, comportamenti che talvolta possono sembrare aggressivi ma che invece spesso nascondono una richiesta di aiuto. Nei momenti in cui siamo in dialogo o in ascolto di un’altra persona, se già siamo abituati a guardarci dentro, riusciamo a creare un ponte utile a comunicare con chi ci chiede aiuto: soltanto se cerchiamo di guardare cosa avviene al centro di noi allora possiamo rispondere alle domande che ci poniamo. Impariamo, quindi, a seguire il cammino delle parole: creature viventi capaci di aprire e chiudere le porte e le relazioni, ma impariamo anche a valorizzare e capire il silenzio, che in fondo è ricerca di dialogo. Insomma, impariamo a distinguere sempre solitudine e isolamento così da separare l’esteriorità dall’interiorità.
Per fare in modo che due solitudini si incontrino è necessario oltrepassare i limiti e i confini dell’esteriorità.