Gli studi sulla covid-19 ritirati: un pasticcio metodologico?
Tutti i dubbi sollevati sono difficili da chiarire perché gran parte dei dati non è accessibile.

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Tutti i dubbi sollevati sono difficili da chiarire perché gran parte dei dati non è accessibile.
Foto di Marco Vergano
Stop alla clorochina, anzi no. Il Lancet ha ritirato lo studio che segnalava i seri pericoli dell’uso di clorochina e idrossiclorochina nei malati di covid-19, e che aveva portato l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e altre agenzie regolatorie a sospendere, mettere in pausa i trial clinici in corso o a riesaminarli criticamente.
Dell’uso della clorochina contro covid-19 si è parlato molto, anche perché – a differenza di antivirali come il remdesivir, disponibile in quantità limitate e da somministrare per via endovenosa, tipicamente in ospedale – è un farmaco disponibile in abbondanza, economico e di facile impiego. Ma, sebbene alcuni studi in vitro ne avessero mostrato l’attività contro il coronavirus, al momento della pubblicazione del lavoro sul Lancet non erano ancora state realizzate sperimentazioni cliniche convincenti che ne mostrassero l’efficacia.
Lo studio pubblicato a maggio su Lancet da quattro autori, con prima firma il cardiologo Mandeep Mehra della Harvard medical school di Boston, non era un trial clinico randomizzato, ma un’analisi dei dati raccolti in 670 ospedali di tutto il mondo su 15.000 ricoverati per covid-19 che avevano ricevuto clorochina o idrossiclorochina. Il confronto era rappresentato dai dati relativi a 81.000 pazienti ai quali il farmaco non era stato prescritto. La ricerca dimostrava l’assenza di benefici e l’aumentato il rischio di aritmie cardiache e di morte nei pazienti trattati: mortalità del 18 per cento rispetto al 9 per cento dei controlli. La pubblicazione aveva immediatamentre suscitato perplessità. In una lettera aperta al Lancet, circa 120 tra medici, ricercatori ed eticisti di molti centri internazionali, inclusa la stessa università di Harvard, avevano non solo criticato diversi aspetti dello studio ma messo in dubbio anche l’autenticità del database su cui si basava, chiedendo al giornale e agli autori di accettare un’analisi indipendente e nel frattempo chiarire l’origine dei dati.
In una lettera aperta al Lancet, circa 120 tra medici, ricercatori ed eticisti di molti centri internazionali avevano criticato diversi aspetti dello studio e messo in dubbio anche l’autenticità del database su cui si basava.
Il database su cui poggiava lo studio apparteneva alla Surgisphere di Chicago, un’azienda specializzata nell’analisi di dati sanitari e nella continuing medical education. Un altro studio sugli effetti degli ace-inibitori su covid-19, con alcune firme in comune e ugualmente basato sui dati della Surgisphere, era stato pubblicato sul New England Journal of Medicine.
Le critiche avanzate erano numerose, in primo luogo sull’affidabilità dei dati. In quelli relativi all’Africa, per esempio, un quarto dei casi e il 40 per cento dei decessi registrati nel periodo dello studio sarebbero avvenuti negli ospedali legati alla Surgisphere, dotati di sofisticati registri elettronici, cosa che non appariva realistica nel panorama sanitario del continente. In altri casi, i dati erano palesemente inverosimili. In Australia, per esempio, il database includeva un numero di decessi maggiore rispetto al totale di quelli registrati nel Paese nel periodo dello studio. Dopo alcuni tentativi di spiegare le discrepanze con argomenti pretestuosi (per esempio, la lentezza delle registrazioni statistiche ufficiali), un esame più attento ha rivelato un errore tecnico: gli autori avevano attribuito all’Australia molti casi verificatisi in Asia.
Gli autori della lettera aperta, e altri ricercatori che indipendentemente hanno avanzato altre critiche, hanno evidenziato altre anomalie di questo genere, per esempio nella prevalenza di fumo e diabete nei vari gruppi di pazienti. Anche in questo caso sono emersi degli errori materiali nella realizzazione dello studio, e l’insieme di queste inesattezze ha accresciuto i dubbi sull’affidabilità dell’intera raccolta dei dati. Peraltro, come ogni studio osservazionale, anche in questo caso la ricerca poteva aver risentito di alcuni bias. La clorochina, per esempio, sembrava essere stata prescritta più di frequente ai malati più gravi, e questo poteva spiegare almeno in parte la maggiore mortalità di chi la aveva ricevuta.
Gli autori, incluso il proprietario di Surgisphere, Sapan Desai, hanno inizialmente difeso a spada tratta il proprio lavoro, cercando come si è visto di spiegare le discrepanze e ribadendo la validità di dati e metodi, nonché l’utilità di uno studio osservazionale che, nell’attesa degli esiti di trial più rigorosi, avrebbe potuto fornire una guida per orientarsi.
La Surgisphere non ha trasmesso ai revisori tutti i dati grezzi e le altre informazioni essenziali sulla conduzione del lavoro necessarie a chiarire in modo convincente quanto accaduto.
Il guaio è però che i dubbi sollevati e le tante contraddizioni emerse erano comunque difficili da chiarire perché la Surgisphere, per gli accordi contrattuali con i vari centri ospedalieri da cui aveva estrapolato i dati, dichiarava di non poterli rendere pubblici neanche in forma anonima. Anche quando i tre autori non affiliati a Surgisphere, in risposta alle critiche, hanno commissionato una revisione indipendente del lavoro (come era stato chiesto nella lettera aperta), la Surgisphere non aveva trasmesso ai revisori tutti i dati grezzi e le altre informazioni essenziali sulla conduzione del lavoro necessarie a chiarire in modo convincente la situazione. La segretezza è stata tale che nemmeno i nomi degli ospedali coinvolti erano stati resi noti.
Così, dopo una serie di rianalisi e correzioni, all’inizio di giugno sia Lancet sia il New England Journal of Medicine hanno pubblicato una expression of concern riguardo gli articoli. E, pochi giorni dopo, tre dei quattro autori (escluso solo Desai) si sono dichiarati impossibilitati a garantire la veridicità dei dati impiegati e la correttezza dello studio, e hanno quindi deciso di ritrattarlo anche autonomamente rispetto alla decisione della rivista.
Come si diceva, l’Oms e altre agenzie sanitarie avevano sospeso l’arruolamento nei trial in corso che utilizzavano i farmaci in questione, oppure ordinato una revisione dei dati raccolti fino ad allora per verificare eventuali segnali di tossicità. Per uno degli studi, quello condotto sulla piattaforma Recovery, l’analisi non aveva mostrato segni di effetti dannosi, così che lo studio è ripartito. Subito dopo il ritiro dei due articoli, i trial sono comunque ripresi, non senza domandarsi, dopo tutte le notizie circolate sui media, quanti pazienti sarebbero stati ancora disposti ad arruolarsi in studi clinici di valutazione di farmaci per covid-19.
La cosa paradossale è che i due articoli sono stati successivamente citati da altri lavori. Non sempre con accenti critici: talvolta come fonti a supporto delle tesi degli autori. “Molte delle citazioni sono apparse in articoli pubblicati su riviste poco conosciute, ma almeno una dozzina sono apparse in pubblicazioni importanti” ha spiegato Ivan Oransky, cofondatore del sito Retraction Watch [6]. Ad esempio, tre articoli usciti su PLoS One, l’importante rivista open access, hanno citato i documenti ritirati. Un altro articolo uscito il 28 dicembre nei Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), una delle riviste scientifiche più influenti del mondo, ha discusso i rischi e i benefici dei farmaci per curare il covid-19 e ha fatto cenno alla ritrattazione di Lancet, ma il testo si limitava a sottolineare i risultati dell’idrossiclorochina presentandoli semplicemente come controversi.
Un bel pasticcio | L’ecosistema dell’informazione che si è determinato durante la pandemia da covid-19 ha portato con sé un’imponente mole di pubblicazioni, processi di revisione editoriale incredibilmente accelerati, un numero non trascurabile di articoli ritirati e una preoccupazione diffusa da parte della comunità scientifica riguardo alla qualità dei percorsi editoriali e della stessa metodologia e integrità della ricerca. Comprendere i motivi del ritiro di alcuni articoli consente alla comunità scientifica di valutare in modo più accurato l’efficacia dei processi di pubblicazione resi più rapidi. È molto utile che questi aspetti al confine tra la ricerca e la comunicazione siano discussi, anche per evitare che autori il cui lavoro è stato ritirato per motivi trascurabili (errori involontari nell’elaborazione dei dati o imprecisioni nelle affiliazioni accademiche, per esempio) siano paragonati ai colleghi i cui articoli sono stati ritirati per ragioni di particolare gravità. Inoltre, è stato dimostrato che questi episodi possono avere un effetto devastante sulla percezione dell’integrità della ricerca da parte dell’opinione pubblica. Fortunatamente, iniziano a essere disponibili studi che approfondiscono questi temi: un buon punto di partenza è un articolo di tre ricercatori di un’università texana uscito sul Journal of Primary Care and Community Health [7].
Bibliografia
1. Davey M. Questions raised over hydroxychloroquine study which caused WHO to halt trials for Covid-19. The Guardian, 28 maggio 2020.
2. Rabin RC. Scientists question validity of major hydroxychloroquine study. New York Times, 29 maggio 2020.
3. Ledford H. Safety fears over drug hyped to treat the coronavirus spark global confusion. Nature, 29 maggio 2020.
4. Lancet, NEJM retract controversial COVID-19 studies based on Surgisphere data. Retractionwatch.com, 4 giugno 2020.
5. Banks MA. Author of two retracted COVID-19 studies once bemoaned misconduct. Medscape, 4 giugno 2020.
6. Piller C. Many scientists citing two scandalous COVID-19 papers ignore their retractions. Science 2021; 15 gennaio.
7. Anderson C, Nugent K, Peterson C. Academic journal retractions and the COVID-19 pandemic. J Prim Care Community Health 2021 May;12:21501327211015592.
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