Povertà infantile disuguale. Non perdiamo più tempo
Intervista a Giorgio Tamburlini

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Intervista a Giorgio Tamburlini
I fatti di cronaca di Caivano ci portano a riflettere sulla responsabilità e sul ruolo della società, del Governo, delle amministrazioni regionali e locali per contrastare e prevenire la violenza e il disagio sociale e psicologico con politiche lungimiranti. Quello che serve è investire precocemente nell’età evolutiva e nella genitorialità con un sistema integrato. Ne parliamo con Giorgio Tamburlini, presidente del Centro per la salute del bambino e pediatra impegnato in azioni di advocacy per i diritti dell’infanzia e attivo nell’attuazione di programmi a supporto dell’early child development.
La questione è che i bambini non sono mai stati posti “in testa” all’agenda politica, né è stata riconosciuta concretamente la necessità di investire sui primi passi, su quanto accade intorno al bambino dal concepimento in poi, in particolar modo nell’ambiente familiare. A questo si aggiunge, purtroppo, una scarsa attenzione al valore sociale della genitorialità. Questa mancata attenzione trae in parte origine dalla convinzione che i figli “appartengono” esclusivamente ai genitori e che quella della genitorialità sia una sfera privata in cui non “intromettersi”. I genitori si sentono soli e non appoggiati dalla società. Un passo da intraprendere dovrebbe essere quello di non misurare il sostegno alle famiglie solo in termini di supporto economico e di servizi “di conciliazione” e di prendere in considerazione i determinanti culturali sia della generatività che della genitorialità. Non deve sorprenderci se oggi si fanno meno figli o non si fanno per nulla. Fino a pochi anni fa i giovani desideravano avere dei figli; oggi non è più così Perché di fondo i giovani di oggi vivono in una condizione di incertezza. Accanto alle difficoltà di trovare un lavoro stabile e agli interrogativi sulle risorse disponibili in futuro pesano fattori di natura culturale. E proprio in questi fattori risiede una parte, per nulla trascurabile, delle cause sia della denatalità che del disorientamento genitoriale. A fronte di tutto questo mancano politiche pubbliche e interventi adeguati a quelle sfide che riguardano tanto la natalità quanto la crescita e lo sviluppo dei bambini, a partire dal sostegno alle risorse delle famiglie e alle aspettative e alle competenze dei genitori.
Questo è un fattore importante. Le tecniche di neuroimmagine mostrano chiaramente che alcune aree del cervello, sia corticali che profonde come l’ipotalamo, sono più o meno spesse, vale a dire hanno più o meno sostanza grigia, più o meno neuroni connessi, in relazione a una serie di fattori ambientali come, per esempio, la disponibilità di nutrienti essenziali e la capacità dell’ambiente familiare di “nutrire la mente” del bambino. Lo sviluppo del bambino riguarda più organi e sistemi che sono interconnessi tra loro, e si esprime in molte dimensioni, anch’esse strettamente interconnesse: salute fisica, salute mentale, competenze cognitive e linguaggio, competenze motorie e socio-relazionali, eccetera. Le diseguaglianze nello sviluppo si stabiliscono precocemente, a volte prima della nascita, e – in assenza di intervento – tendono ad aumentare nel tempo. Per la maggior parte dipendono da fattori in teoria modificabili. Sono quindi vere e proprie ingiustizie perpetuate a danno di chi non ne porta alcuna responsabilità, e cioè i bambini, che avrebbero – per ovvi motivi e anche per il solo riconoscimento ufficiale della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia – diritto al pieno dispiegarsi delle loro potenzialità. L’early child development racchiude un complesso di conoscenze e indicazioni sull’importanza dei primi anni di vita, i determinanti fondamentali dello sviluppo in questo periodo e i meccanismi attraverso i quali operano, le loro implicazioni nel corso successivo della vita, nonché la possibilità di un intervento precoce a protezione e promozione dello sviluppo con un approccio rivoluzionario nelle politiche per l’infanzia, delle politiche economiche e sociali, dell’educazione e della salute.
Cambiare approccio di sistema tenendo conto che, nel suo sviluppo, il bambino è un tutt’uno, indivisibile. Quindi per proteggere e promuovere questo sviluppo serve un sistema integrato, fondato sul dialogo e l’interazione dei diversi servizi e operatori che si occupano di bambini e famiglie in ambito sanitario, educativo, sociale, culturale, urbanistico e ambientale. Il documento congiunto “Nurturing care framework”, pubblicato dall’Oms insieme a Unicef e Banca Mondiale, spiega chiaramente che per uno sviluppo infantile precoce serve investire sulla salute, sulla nutrizione, sulla educazione precoce, sulla sicurezza e – non da ultimo – sulla cosiddetta genitorialità responsiva. Questo significa sostenere la madre, il padre e i caregiver nel loro ruolo che non è solo quello, come si è soliti pensare, di “curatori” del benessere fisico e della sicurezza del bambino, ma anche quello di curatori dello sviluppo complessivo del bambino, in particolare nei primi anni di vita. Serve agire precocemente rivolgendosi alle famiglie tutte e non solo le più vulnerabili con problematiche che mettono a repentaglio la sicurezza e lo sviluppo del bambino; le difficoltà e fragilità non sono limitate ai nuclei familiari individuabili sulla base di fattori di rischio o di problematiche che si rendono palesi ai servizi. Tornando alla prima domanda, i tristi fatti che stanno facendo cronaca in questi ultimi mesi ci dicono chiaramente che le violenze di genere perpetrate dai giovani, anche da coetanei, non avvengono solo nei quartieri più disagiati, quelli poveri e ai margini, ma anche in quelli ricchi. Perché le privazioni che vanno a incidere sullo sviluppo e crescita del bambino e dei bambini e sulla genitorialità responsiva non interessano solo gli aspetti economici ma anche la dimensione relazionale e affettiva. Chi lavora nei servizi rivolti all’infanzia e ai genitori ha ben evidente il disorientamento educativo, il senso di inadeguatezza e la sostanziale povertà di aiuti. Ripeto: occorre dunque dare supporto a tutte le famiglie, non solo quelle definite a priori “fragili”: operare solo con interventi basati su criteri predefiniti di rischio, o su segnalazione, fa perdere opportunità preziose di intervento precoce. Ciò che serve – essenzialmente – è una visione d’insieme che coinvolga tutte le componenti della società e consideri le famiglie come interlocutore necessario. Le politiche devono essere indirizzate per rafforzare il lavoro con quanti diventano o stanno per diventare genitori.
Degli esempi italiani di come intervenire ci sono, come per esempio il progetto Nati per Leggere, oppure i Centri Genitori e Bambini che si ispirano alla Maison Verte della Francia e ripresi dai Villaggi per crescere che coinvolge più attori (pubblico, privato, no profit). Un efficace sistema integrato per l’infanzia richiede un approccio universalistico e proattivo nel lavoro con le famiglie, strumenti di formazione multiprofessionale, il coinvolgimento di tutti gli attori della comunità, la promozione delle buone pratiche per lo sviluppo, una valutazione dei benefici e della loro distribuzione possibilmente con strumenti e disegni comuni. Innanzitutto è importante costruire consapevolezza e integrazione: ogni attore del sistema deve sentirsi parte di un sistema che richiede reciproco riconoscimento e collaborazione. Agire in questa direzione è vitale oltre che urgente; ed è possibile solo se governi, amministrazioni locali, servizi sociali e operatori sociosanitari e pediatri fanno sistema e collaborano tra di loro. È una questione culturale, come lo sono – ad esempio – la prevenzione e la lotta ai cambiamenti climatici. Se allarghiamo lo sguardo e superiamo lo scoglio culturale siamo già a metà strada per l’effettività dei diritti dell’infanzia e possiamo costruire quelle politiche e quei servizi che mettano i giovani nella condizione di recuperare la fiducia nel futuro e di poter considerare di far nascere e di poter crescere i figli.
Anche qui serve una visione lungimirante gli economisti hanno ampiamente dimostrato che “costa meno” e dà maggiori ritorni economici intervenire nell’infanzia piuttosto che in adolescenza o in età adulta. Agire “prima” sia per promuovere il bene che per prevenire il male, è più efficace. Circa il contrario di quanto si è soliti fare. Ma ritengo che costruire una comunità ideale per bambini e famiglie non sia un’utopia. Abbiamo le conoscenze e abbiamo le competenze per partire bene. Sicuramente serve investire in un servizio sanitario pubblico solido e in cure primarie integrate con una attenzione specifica alla formazione dei pediatri, in particolare quanti andranno a lavorare come pediatri di famiglia, al dialogo con i genitori sullo sviluppo, alla collaborazione con altre figure professionali, al lavoro di gruppo che dovrebbe costituire la normalità e non l’eccezione e che tra l’altro consente una migliore cura anche delle proprie attitudini professionali. Serve dunque agire – subito – con politiche mirate di supporto a tutti i servizi pubblici (sanitari, educativi, sociali e culturali) per costruire attorno alle nuove famiglie sistemi coerenti di supporto. Non abbiamo tempo da perdere.
Dieci passi per investire nell’infanzia e nell’adolescenza
1. Sostenere genitori e caregiver, sia negli aspetti materiali e nelle opportunità (reddito, lavoro, conciliazione, congedi), sia nelle loro conoscenze e competenze genitoriali.
2. Iniziare presto, prima della nascita, utilizzando la potenzialità dei servizi di salute, pre-, peri- e postnatali, per garantire un contatto universale e precoce con le famiglie e avviare con loro un dialogo sullo sviluppo del bambino.
3. Promuovere, congiuntamente tra servizi sanitari, educativi e culturali, le buone pratiche genitoriali che “nutrono” la mente e la relazione e si prendono cura dell’ambiente: lettura condivisa, esperienza musicale, gioco, espressione artistica, attività motoria e “cura della Terra”.
4. Garantire l’accesso universale ai servizi educativi 0-3 e completare l’offerta dei servizi educativi 0-6 con attività strutturate per genitori e bambini in compresenza.
5. Adottare strategie proattive di informazione, contatto e coinvolgimento di tutte le famiglie.
6. Dare priorità alle periferie geografiche e sociali, alle famiglie e alle comunità in condizioni di svantaggio socio-culturale e quindi a rischio di povertà educativa.
7. Definire e attuare una strategia complessiva, comprendente prevenzione, cura e riabilitazione, per la salute mentale di infanzia e adolescenza, adeguando le risorse strutturali e umane a questo dedicate in tutto il territorio nazionale.
8. Sostenere la formazione multiprofessionale per gli operatori dei servizi dedicati a infanzia e adolescenza per promuovere la creazione e attuazione a livello locale di efficaci reti collaborative attorno alle famiglie.
9. Coordinare le azioni tra i diversi settori (sanitario, educativo, sociale e culturale) attivi sulla fascia 0-6 a livello di Comuni, di ambiti territoriali sociali o di municipi nelle aree metropolitane, facendo sistema e assicurando pianificazioni congiunte degli interventi.
10. Assicurare, tramite un meccanismo di coordinamento interministeriale, coerenza nell’implementazione dei diversi piani e programmi nazionali su infanzia e adolescenza, con meccanismi di finanziamento che garantiscano continuità nel tempo, e offrendo sostegno tecnico-amministrativo agli Enti locali per il pieno utilizzo dei fondi europei e nazionali.
Tratto da la libro: Giorgio Tamburlini. I bambini in testa Prendersi cura dell’infanzia a partire dalle famiglie. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2023.
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