A cura di Maria Teresa Busca
Una serie di fattori ha sollecitato all'inizio del secolo la necessita di mettere al centro dell’attenzione normativa la persona umana.
Deriva dal latino, dove “persona” significava “maschera teatrale, personaggio”. Dai giuristi romani proviene l’uso del termine per indicare il soggetto di diritti, contrapposto allo schiavo. Il vocabolo verrà adoperato anche a proposito del dogma della trinità dove si parla delle tre persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. Nel pensiero moderno Locke assegna al termine “persona” un significato specifico, identificandola con l’io, o coscienza, sotto l’aspetto morale, costituita dall’identità con sé stessa attraverso il tempo e per ciò suscettibile di responsabilità. Per Kant l’uomo e persona in quanto portatore della legge morale, capace di autonomia, degno di rispetto, dotato di dignità e, contrariamente agli oggetti, senza prezzo. Hegel limita il significato di persona al senso meramente giuridico, come detentore di diritti.
Sarà con la dottrina del personalismo che il concetto di persona acquisisce una portata centrale. Una serie di fattori, all’inizio del secolo scorso, sollecitò la necessita di mettere al centro dell’attenzione normativa la persona umana, o la dignità della persona umana. Furono varie e concomitanti le riflessioni, da quelle giuridiche al rinnovamento del Concilio Vaticano II, e la centralità della persona fu uno dei pochi punti di convergenza unanime. Infatti, l’attenzione alla persona è andata contro la formulazione tradizionale della morale che era astratta e legalistica. A questo si oppone il personalismo relazionale, una proposta innovativa per rinnovare gli studi della morale con un’apertura alle esigenze umane. Hanno spinto a questa visione due tendenze: innanzitutto un movimento generale di carattere filosofico che ha portato a considerare la persona come costituita dalle relazioni che la caratterizzano e, secondariamente, il grande processo di secolarizzazione che ha investito il mondo occidentale a partire dagli inizi dello scorso secolo.
Se si abbandona l’idea di natura, si deve riconoscere che la moralità è un’istituzione sociale per cui non ci sono essenze da individuare per costituire l’autentica persona alla base della vera relazione umana.
Il limite principale è quello di voler arrivare all’essenza della realtà relazionale pur abbandonando la nozione di natura. Perché se si abbandona l’idea di natura, si deve riconoscere che la moralità è un’istituzione sociale per cui non ci sono essenze da individuare per costituire l’autentica persona alla base della vera relazione umana. Inoltre, il termine “relazione” è diventato una specie di jolly che viene adoperato in vari modi, e questo ne ha favorito la diffusione perché su questa base si possono sostenere posizioni anche molto diverse. Anche l’analisi dei problemi bioetici, a seconda di come viene presentata la relazione, può, ad esempio, essere contro oppure a favore dell’aborto. Si è cercato quindi un fondamento più solido dell’appello alla relazione e su questa strada si è giunti al personalismo ontologicamente fondato che è stato elaborato soprattutto da monsignor Elio Sgreccia.
Per Sgreccia il riferimento alla persona non basta, ci vuole un presupposto più stabile che è fornito dall’ontologia, ovvero dalla prospettiva che rimanda alla metafisica, alla dimensione sovrannaturale, che sarebbe l’unica a poter soddisfare le esigenze etiche poiché qui i valori morali rimandano al trascendente. Dunque un’antropologia filosofica con una precisa concezione della natura umana che prevede la dimensione metafisica. Il personalismo ontologicamente fondato è diventato in breve tempo una delle posizioni più influenti della bioetica cattolica romana con un impatto culturale consistente. In Italia ha condizionato l’intero dibattito sulla legge 40/2004 (“Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”) e, più in generale, ha rilanciato il diritto naturale dandogli rispettabilità teorica e, infine, ha favorito l’unita bioetica dei cattolici.
La persona è l’unione di corpo e anima, dove anima sta a indicare le funzioni superiori, precisando che il corpo è individuale
Come si è visto, le definizioni sono molte e ognuna di esse comporta diversità di pensiero e di posizione in campo bioetico. Sarà dunque opportuno avere una definizione minima che possa essere accettata da tutti. Si può pertanto dire che la persona è l’unione di corpo e anima, dove anima sta a indicare le funzioni superiori, precisando che il corpo è individuale. Già Tommaso d’Acquino aveva definito persona “ogni individuo dotato di natura razionale”. Due, quindi, le condizioni perché ci sia una persona: l’individualità somatica e la razionalità.
Maria Teresa Busca Gruppo di ricerca bioetica, Università degli studi di Torino Scuola superiore di bioetica della Consulta di bioetica onlus
Questo testo è tratto dal libroLe parole della bioeticaa cura di Maria Teresa Busca e Elena Nave (Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2021). Per gentile concessione dell’editore.