Perché la gravidanza per altri è moralmente buona e va promossa
Il punto di vista di Maurizio Mori, filosofo

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Il punto di vista di Maurizio Mori, filosofo
Si usa ripetere che la storia sia maestra di vita, anche se non si sa bene che cosa di per sé possa insegnare o davvero insegni. È tuttavia vero che lo studio del passato a volte è liberante: ci mostra com’era e come cambia la coscienza morale, e la consapevolezza di questo ci rende più avvertiti circa il presente. Per prendere solo un esempio, due decenni fa in Italia i partiti conservatori di centro-destra guidati da Silvio Berlusconi hanno messo al bando le tecniche di riproduzione assistita approvando con convinzione la legge 40/2004: normativa bandiera che ammetteva la fecondazione omologa solo in caso di accertata infertilità di coppia, vietava la crioconservazione degli embrioni (a Milano fu creata un’apposita “casa dell’embrione” per ospitare quelli già creati in attesa di più idonea destinazione) e condannava la donazione dei gameti (la cosiddetta “eterologa”) che avrebbe inesorabilmente frantumato l’unità della famiglia.
I divieti erano tanto pesanti che la stessa Corte costituzionale è presto intervenuta. Senza modificare l’impianto della legge, ha alleggerito la situazione rendendo meno difficoltoso l’accesso alle nuove tecniche riproduttive. La fecondazione assistita si è presto diffusa anche nel nostro Paese, tanto che nel 2022 alla clinica Mangiagalli di Milano il 7,2 per cento di tutti i nati pare sia venuto al mondo grazie alle nuove tecniche. Forse anche per questo, la Regione Lombardia – a guida centro-destra – il 16 ottobre 2023 ha stanziato 14 milioni di euro “per favorire la natalità e la salute riproduttiva”, alcuni dei quali destinati a sostenere la fecondazione assistita: incluso l’acquisto di gameti (maschili e femminili) e forse anche la crioconservazione di embrioni. Poiché c’è una bella differenza tra il lasciare che la gente di propria iniziativa ricorra alla fecondazione assistita (“eterologa” inclusa) e il favorire, sostenere o promuovere la pratica, il programma varato in Lombardia è un fatto storico che merita di essere segnalato: vent’anni fa i partiti conservatori del centro-destra vietavano con nettezza la donazione dei gameti, ora non solo l’ammettono ma anche la favoriscono e la finanziano.
Non so bene che cosa possa insegnare questo dato storico, ma la consapevolezza del cambiamento riguardo al tema fa sorgere almeno una domanda: se vent’anni fa i conservatori del centro-destra condannavano senz’appello la donazione dei gameti che oggi invece promuovono, non è che tra qualche tempo verranno a promuovere la “gravidanza per altri” (Gpa) che oggi aborrono al punto che vogliono diventi “reato universale” perseguito in tutto il globo terracqueo? Non è mai facile fare previsioni circa il futuro. Ma, tenendo presente il cambiamento rilevato, voglio cercare di chiarire i problemi etico-normativi che si presentano circa la Gpa.
Il punto di partenza è prendere atto che, in meno di cent’anni, abbiamo acquisito il controllo della riproduzione umana. Da sempre, dai primordi dell’umanità, la trasmissione della vita è stata avvolta in un fitto mistero. È solo del 1924 la “legge di Ogino” che, prima nella storia, ha descritto scientificamente il ciclo della donna. Sino al 1960, l’anno in cui è stata commercializzata la “pillola”, si può dire che il processo riproduttivo sia proceduto su un proprio binario indipendente basato sull’accoppiamento sessuale tra uomo e donna e regolato dal matrimonio.
Il punto di partenza è prendere atto che, in meno di cent’anni, abbiamo acquisito il controllo della riproduzione umana.
Grazie alla fecondazione assistita, nel 1978, è nata Louise Brown e questo ha cambiato tutto, nel senso che la nuova tecnica ha enormemente aumentato la capacità di controllo della riproduzione umana. Da allora il quadro normativo invalso da millenni è radicalmente cambiato. Non c’è stata un’immediata e nitida consapevolezza, anche perché la nuova tecnica è stata presentata come una “terapia per l’infertilità” (tesi accolta dalla legge 40/04), ma la realtà è che la fecondazione in vitro è una nuova forma di riproduzione umana. Il suo avvento segna una svolta epocale, qualcosa di analogo all’invenzione della ruota o della scrittura, cioè i passi che hanno portato a nuovi livelli di civiltà. Allo stesso modo, il nuovo controllo della riproduzione oggi possibile ci fa entrare in un “mondo nuovo” radicalmente diverso da quello del passato.
La grandiosità dell’innovazione è stata solo avvertita, ma ha subito generato un enorme sconcerto. Anche il mondo scientifico, più aperto al nuovo, ci ha messo ben 32 anni prima di assegnare a Bob Edwards il premio Nobel per la medicina 2010 (ndr, per le sue ricerche sulla fecondazione in provetta): riconoscimento dell’enorme progresso compiuto. Altri settori della società, più legati alle tradizioni come le religioni, hanno subito condannato le nuove tecniche riproduttive perché scindono la sessualità dalla riproduzione e per presunti esiziali danni ai nati. I danni paventati non si sono verificati, e la scissione denunciata è risultata buona, avendo allargato le opportunità di realizzazione dei piani di vita delle persone in ambito sessuale, familiare e riproduttivo e rispondendo così al primo imperativo morale, che è quello di “fare il bene”.
Il dibattito sulla gravidanza per altri è in corso, e non sappiamo come andrà a finire. Possiamo però valutare la logica e la razionalità degli argomenti in campo.
L’iniziale impegno di blocco delle nuove tecniche riproduttive (anni ‘70 circa) non ha sortito gli effetti sperati e le nuove tecniche si sono diffuse. Si è cambiata allora la strategia, e (anni ‘90 circa) l’impegno di contrasto si è spostato sulla crioconservazione degli embrioni, proposta come “crimine contro la vita”; e sulla donazione dei gameti (la cosiddetta “eterologa”) presentata come pratica sfasciafamiglie. La legge 40/2004 è espressione di questa strategia, che però non ha avuto successo. Nel frattempo, grazie alle nuove tecniche riproduttive, erano nati tanti bimbi sani (a oggi sono circa 12 milioni) che hanno portato gioia in molte famiglie normali, e quindi le critiche alla “eterologa” e alla crioconservazione sono evaporate come la nebbia al sole. Oggi queste tecniche sono previste dai Lea (Livelli essenziali di assistenza) e – come si è rilevato – in Lombardia sono favorite e promosse anche dai partiti conservatori del centro-destra.
L’opposizione alle nuove tecniche riproduttive si è oggi spostata sulla Gpa, pratica in cui i futuri genitori provvedono alla creazione di embrioni in vitro, la cui gestazione è poi affidata a donna terza (gestatrice) che accetta di avere la gravidanza sapendo di dover poi lasciare il nato (e non essere madre). La Gpa si è diffusa di recente, e si obietta che è immorale perché comporta la distruzione del “materno” come modello archetipo della maternità, e perché sottoporrebbe la gestatrice a una bieca “mercificazione” e a un inaccettabile “sfruttamento”. Per questo i partiti di centro-destra chiedono oggi a gran voce che la Gpa diventi “reato universale”.
Si obietta che la gravidanza per altri è immorale perché comporta la distruzione del “materno” come modello archetipo della maternità, e perché sottoporrebbe la gestatrice a una bieca “mercificazione” e a un inaccettabile “sfruttamento”.
Il dibattito sulla Gpa è in corso, e non sappiamo come andrà a finire. Possiamo però valutare la logica e la razionalità degli argomenti in campo. Poiché la critica principale è che la Gpa distruggerebbe il “materno”, è opportuno cominciare col precisare la nozione di “maternità”, qui intesa come caso specifico della più generale “genitorialità”. Al riguardo in via preliminare va detto che tra gli umani la maternità non è riducibile al processo fisiologico: una puerpera può non essere la madre del nato che ha partorito, e una donna può essere madre del proprio figlio anche senza averlo mai partorito. La maternità non dipende dalla mera biologia. Anche quando non c’era la fecondazione assistita e la riproduzione richiedeva l’accoppiamento, non erano i fattori biologici in sé a determinare la maternità. Essi erano rilevanti perché la loro presenza era segno di atti sessuali del cui effetto la donna avrebbe dovuto avere o doveva avere una speciale responsabilità: aspetto quest’ultimo che era determinato dal diritto. Il nucleo della maternità sta nell’ascrizione di una speciale responsabilità per il nato, la “responsabilità materna” che è stabilita da apposite norme giuridiche. Ecco perché si può dire che la maternità è condizione “spirituale” o “sociale” non riducibile ai fattori biologici: genetici (gameti) o fisiologici (gravidanza).
In Italia, questa ratio informava l’ordinamento familiare anche prima che si cominciasse a avere un qualche controllo tecnico della riproduzione. Allora, però, non era facile cogliere il punto per via dell’unitarietà del processo sessual-riproduttivo. A quel tempo l’esercizio della sessualità era lecito solo nel matrimonio, l’istituto deputato a regolare la trasmissione della vita o, come si diceva nella terminologia dell’epoca, a garantire la “integrità della stirpe”. Entro questo quadro condiviso la responsabilità materna era ascritta automaticamente in presenza del contratto matrimoniale e i figli (legittimi) nascevano solo dal matrimonio (rato e consumato) e in costanza di matrimonio. Solo per questi (per i “legittimi”) la moglie ipso facto acquisiva la responsabilità materna, responsabilità che non era prevista per gli “illegittimi” (nati fuori dal matrimonio) o per gli “adulterini” (nati contro il matrimonio). Illegittimi e adulterini erano “nati” senza essere “figli”, in quanto la donna li aveva partoriti ma non era la loro “madre”, non prevedendo il diritto alcuna precisa responsabilità materna verso di essi, e anzi a volte prevedendo addirittura l’obbligo di non averne affatto (l’adulterino non poteva crescere in casa e doveva essere collocato in orfanatrofio).
Con l’avvento delle nuove tecniche riproduttive la scissione di sessualità e riproduzione ha posto nuovi problemi.
Con gli anni la situazione è cambiata, sia per via di un generale indebolimento del matrimonio, istituto che comunque non riesce più a regolare la trasmissione della vita, sia perché con l’avvento delle nuove tecniche riproduttive la scissione di sessualità e riproduzione ha posto nuovi problemi. Si prenda per esempio la donazione di gameti femminili (ovodonazione): pratica recente che consente a donne prive di ovuli propri di avere una gravidanza attraverso una sorta di “eterologa femminile”. A chi va ascritta la responsabilità materna per il nato? Alla donna che dona l’ovulo o a quella che lo riceve? La prima, dando l’ovulo, fornisce l’aspetto genetico; l’altra, provvedendo alla gravidanza, fornisce l’aspetto fisiologico: quale dei due aspetti è più rilevante per l’ascrizione della responsabilità materna? Perché l’uno invece che l’altro?
Gli interrogativi posti circa l’ascrizione della responsabilità materna si presentano perché oggi è possibile scomporre l’originaria unità del processo riproduttivo in almeno quattro diversi aspetti: l’aspetto della intimità (sessualità), l’aspetto genetico (l’ovulo), l’aspetto fisiologico (la gravidanza) e l’aspetto psico-sociale (l’educazione). Da sempre i critici della riproduzione assistita hanno condannato la scissione di sessualità e riproduzione, e quindi hanno anche criticato l’ovodonazione che di quella scomposizione è un frutto avvelenato: frutto che, a loro dire, avrebbe portato alla distruzione del “materno” archetipo oltre che a un’indegna “mercificazione” e un bieco “sfruttamento” della donatrice. Per ottenere i gameti femminili si richiede un intervento clinico abbastanza indaginoso, per cui va previsto un compenso che rivelerebbe sia l’uso strumentale del corpo della donna sia la mercificazione e lo sfruttamento cui la donna sarebbe inevitabilmente sottoposta.
Il cambiamento di posizione dei conservatori del centro-destra lombardo fa cadere l’intera critica, e al tempo stesso arricchisce la riflessione che può far conto su due nuovi punti.
Primo, la scomposizione dell’aspetto genetico (donazione di ovulo) dal resto del processo riproduttivo di per sé non distrugge affatto il “materno”. Anzi, l’esperienza fatta negli anni attesta che l’ovodonazione è pratica che valorizza il “materno” stesso, in quanto aiuta le famiglie a crescere e ad aprirsi. La responsabilità materna è ascritta non alla donatrice dell’ovulo (che pure può mantenere un ruolo significativo) ma alla donna che assume il compito di educare e crescere il nato: questa è la madre, in linea col criterio sopra individuato.
Secondo, per poter acquisire ovuli ci vuole un intervento clinico indaginoso, e all’inizio si pensava che ciò necessariamente comportasse mercificazione e sfruttamento della donatrice. L’esperienza concreta ha mostrato che ci sono procedure eque che evitano le presunte iniziali difficoltà. Di fatto l’ovodonazione ha consentito la maternità a donne che altrimenti non avrebbero potuto di essere madri, e per questo è positiva.
L’ovodonazione è pratica specularmente opposta alla Gpa, nel senso che nell’ovodonazione l’aspetto genetico (ovulo) è in capo a donna terza (donatrice), la quale lascia poi alla donna che ha scelto di dare inizio al processo riproduttivo il compito circa l’aspetto fisiologico (gravidanza). Nella Gpa, invece, l’aspetto genetico (ovulo) è in capo alla donna che ha scelto di dare inizio al processo riproduttivo, la quale lascia poi a donna terza (gestatrice) il compito circa l’aspetto fisiologico (gravidanza).
Se questa è la situazione, chi ammette e promuove l’ovodonazione,non ha ragioni di principio per opporsi alla Gpa. Se è lecito sostituire l’aspetto genetico (ovulo) con l’ovodonazione, perché ceteris paribus non dovrebbe essere altrettanto lecito sostituire l’aspetto fisiologico (gravidanza) con la Gpa? Perché privilegiare l’aspetto fisiologico rispetto a quello genetico? Nel momento in cui si ammette la bontà morale della sostituzione di un aspetto, si ammette anche la sostituzione di un altro, e la scelta dell’uno o dell’altro aspetto dipende da ragioni esterne e pratiche, senza peraltro non pregiudicare l’ascrizione della responsabilità materna.
Si può insistere dicendo che ci sono differenze significative tra le due pratiche, e che queste giustificano la condanna dell’una e l’approvazione dell’altra. Nel concreto una gravidanza può comportare un onere maggiore di una ovodonazione. Inoltre, l’ovodonazione richiede un tempo più breve (qualche giorno) passato nello spazio “privato” dei centri di riproduzione assistita. La Gpa invece comporta un processo di lunga durata e ben visibile nello spazio “pubblico”. Forse per via della sua natura pubblica e prolungata, per la Gpa sono stati poi apprestati anche puntuali contratti riguardanti la gestazione e previste garanzie sanitarie e sociali a tutela dei soggetti coinvolti (analisi mediche, stili di vita, rimborsi, compensi, ecc.). Tutte queste “novità” mostrerebbero che la Gpa comporta una inaccettabile “mercificazione” e “sfruttamento” delle donne gestatrici: di qui la richiesta di proibire la pratica con un “divieto universale”.
È vero che oggi c’è maggiore clamore pubblico contro la Gpa rispetto all’ovodonazione, ma la presunta eventuale “mercificazione” del corpo della donna o il suo presunto “sfruttamento” è dello stesso tipo nell’una e nell’altra pratica. Entrambe riguardano lo stesso processo riproduttivo e la differenza sta nel fatto che l’uso strumentale del corpo riguarda aspetti diversi: quello fisiologico (la gravidanza) nella GPA, quello genetico (ovulo) nell’ovodonazione. Ecco perché ciò che vale per l’una vale anche per l’altra. Se l’ovodonazione è promossa è perché si è visto che di per sé non comporta “mercificazione” o “sfruttamento”, e lo stesso vale per la Gpa. Non si può escludere poi che nella pratica concreta un caso particolare di Gpa o di ovodonazione comporti in effetti una “mercificazione” o “sfruttamento”. Questo, però, è problema diverso da esaminare a parte.
Qui, invece di entrare nei dettagli dei casi particolari, è importante cercare di capire perché la Gpa di per sé non comporti gli obbrobri paventati. Per farlo è bene osservare che l’obiezione principale è che la Gpa di suo comporta “mercificazione” e “sfruttamento” perché richiede un uso strumentale del corpo della donna circa l’aspetto fisiologico del processo riproduttivo, che inevitabilmente viene usato come mezzo per fini altrui. La formulazione data ci consente di vedere dove si annida l’errore al riguardo: sta nel credere che ci sia qualcosa di male nell’uso strumentale del corpo degli altri per nostri fini, cioè che sia moralmente sbagliato usare un altro come mezzo per nostri obiettivi. In realtà, come Kant stesso ha osservato [1], non c’è nulla di male nell’usare un altro come mezzo per i propri scopi, e di fatto lo facciamo sempre perché questo è espressione di collaborazione, cooperazione e socialità. Per esempio lo facciamo quando chiediamo a un insegnante di spiegarci il teorema di Pitagora, a un cameriere di portarci gli spaghetti, o a un idraulico di riparare la doccia. Se diamo l’equa ricompensa, non solo non c’è nulla di male nel chiedere il servizio, ma è anzi positivo. L’eventuale male sta non nell’usare l’altro “come mezzo” ma nell’usarlo “come mero mezzo”, cioè come puro e semplice strumento senza alcuna considerazione e rispetto delle sue esigenze personali. Ciò avviene quando manca l’equa ricompensa (sfruttamento) o si è ridotti a cosa (mercificazione).
La gravidanza per altri suscita oggi critiche e scalpore perché la collaborazione proposta riguarda l’ambito riproduttivo, che fino a ieri procedeva su un binario proprio, avvolto in un’aura sacrale, e regolato dal matrimonio.
La differenza tra usare l’altro “come mezzo” e usarlo invece “come mero mezzo” ci consente di dire che nella vita sociale è lecito (buono) ricorrere agli altri usandoli come mezzi per i nostri scopi, perché questo è un aspetto della collaborazione prevista dalla socialità umana. La Gpa suscita oggi critiche e scalpore perché la collaborazione proposta riguarda l’ambito riproduttivo, che fino a ieri – come abbiamo visto – procedeva su un binario proprio, avvolto in un’aura sacrale, e regolato dal matrimonio: istituto che in automatico stabiliva le garanzie sociali circa la maternità sulla scorta dell’unità del processo sessual-riproduttivo che connetteva inscindibilmente i vari aspetti di tale processo – dall’intimità fino alla maternità, passando per gli aspetti biologici (genetico e fisiologico). È sulla scorta di quest’assunto che qualsiasi tipo di intervento esterno che intacchi l’unità del processo sessual-riproduttivo viene rappresentato come “uso strumentale” che comporta necessariamente “mercificazione” o “sfruttamento”.
Questo quadro (invalso da millenni) si è infranto perché la scissione di sessualità e riproduzione ha desacralizzato o secolarizzato il processo riproduttivo, così che tale ambito è oggi simile ad altri in cui si ha cooperazione e collaborazione sociale. Prima la cooperazione riproduttiva era solo e esclusivamente tra moglie e marito, e tutto rientrava nel pacchetto del contratto matrimoniale. Ora la possibilità di scomporre il processo riproduttivo rende disponibili i singoli aspetti e apre a una socializzazione più ampia. Per esempio, la separazione dell’intimità sessuale dall’aspetto genetico fa sì che l’ovodonazione non sia affatto più una sorta di “adulterio mascherato”, ma un gesto di cooperazione di una donna che dona un ovulo a un’altra. Allo stesso modo nella Gpa una donna coopera sostituendo l’altra nell’aspetto fisiologico (la gravidanza).
In breve, le accuse che la Gpa implicherebbe di per sé “mercificazione” e “sfruttamento”, in realtà, non sono altro che una protesta contro la “secolarizzazione” del processo riproduttivo che è intervenuta dopo che la scissione di sessualità e riproduzione ha reso possibile scomporre i vari aspetti del processo e aprire a nuove forme di collaborazione sociale. Fino a poco tempo fa, quello riproduttivo (dall’intimità alla maternità) era un processo unitario che stava in capo alla donna, la quale faceva tutto da sola. Ora può essere scomposto e c’è spazio per la cooperazione (varie donne, operatori sanitari, tecniche, etc.). Può darsi che ciò alleggerisca l’onere della donna, ma anche il suo potere. La Gpa rende più evidente tutto questo e sconvolge gli assetti sociali invalsi. Ecco perché è al centro di vivaci controversie. Sul piano etico-normativo, resta che le critiche alla Gpa non sono altro che una variazione sul tema di quelle mosse alla scissione di sessualità e riproduzione. Visto che in vent’anni i conservatori di centro-destra sono arrivati ad accettare l’ovodonazione, si può prevedere che a breve daranno il benvenuto anche alla Gpa.
La gravidanza per altri è moralmente buona perché consente la nascita di un nuovo nato che altrimenti non nascerebbe: senza di essa, lui, quello specifico individuo, non verrebbe al mondo.
La recente opposizione alla Gpa è l’ultima fase dell’impegno di contrasto al controllo della riproduzione, e come le altre è prevedibile che si dissolverà presto. Ci sono almeno due ragioni a sostegno di questa tesi. La prima è che la Gpa è moralmente buona perché consente la nascita di un nuovo nato che altrimenti non nascerebbe: senza di essa, lui, quello specifico individuo, non verrebbe al mondo. Poiché, se nasce in buone condizioni esistenziali, per il nato è meglio nascere che non nascere affatto, la Gpa è buona. Le modalità di nascita sono secondarie rispetto al grande beneficio della sua venuta al mondo (in condizioni adeguate). Questa considerazione è decisiva, perché mostra che, ceteris paribus, la Gpa è tecnica benefica che non reca alcun danno.
Siamo solo agli inizi di un processo storico grandioso in cui è come se fossimo tra la polvere e il fumo di una battaglia, impossibilitati a vedere con chiarezza i contorni dello scenario.
La seconda ragione è che la Gpa è buona anche per la donna che ha oggi maggiori opportunità con cui diventare madre. Prima c’era un unico modo: il matrimonio rato e consumato. Le nuove tecniche hanno allargato le possibilità: si può diventare madri a prescindere dall’accoppiamento; si può scegliere il tempo in cui diventarlo (congelando i propri gameti); e ora lo si può fare anche lasciando gestire la gravidanza a donne terze che cooperano; non è da escludere che tra qualche decennio la gravidanza sarà affidata a una macchina (con l’ectogenesi). La situazione pare simile a quella dell’allattamento, che in partenza era solo al seno della madre, poi si è allargato al baliatico, e infine al biberon: un progressivo aumento di opzioni a favore della donna e del nato.
Siamo solo agli inizi di un processo storico grandioso in cui è come se fossimo tra la polvere e il fumo di una battaglia, impossibilitati a vedere con chiarezza i contorni dello scenario. Viviamo in una situazione chiaroscurale in cui alcuni insistono nel dire che la Gpa comporterebbe nientemeno la distruzione del “materno”, mentre il ragionamento fatto ci porta a sostenere che la nuova pratica verrà ad affinarlo e ad arricchirlo. La Gpa allarga le opzioni con cui diventare madre, aumenta le opportunità di scelta al riguardo e non comporta coercizione, per cui è prevedibile che migliorerà le condizioni per l’assunzione di responsabilità materna da parte della donna con benefici per tutti.
Dopo l’ampia riflessione in corso sulla gravidanza per altri si arrivi a un ripensamento più ampio dell’intero sistema di genitorialità e di filiazione
Più in generale, non è escluso che, dopo l’ampia riflessione in corso sulla Gpa si arrivi a un ripensamento più ampio dell’intero sistema di genitorialità e di filiazione: abbiamo acquisito un maggiore controllo della riproduzione umana e ora dobbiamo individuare nuovi valori adatti alla nuova situazione storica in cui stiamo rapidamente entrando o già siamo entrati. In questo senso la proposta del “divieto universale” di Gpa va subito abbandonata sia perché frutto di atavici pregiudizi e di irrazionali superstizioni sia perché danno positivo alle persone.
Maurizio Mori
Consulta di bioetica onlus
Comitato nazionale per la bioetica
Bibliografia
1. Mori M. Lettera aperta Enrico Rossi. Bioetica 2023, numero 2, pp. 267-92.
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