Pandemia: ma che colpa abbiamo noi
Non possiamo mai avere una visione obiettiva delle prove. Mettiamo sempre in gioco le nostre personalità.

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Non possiamo mai avere una visione obiettiva delle prove. Mettiamo sempre in gioco le nostre personalità.
Foto di Peter Kurdulija / CC BY
“Non possiamo mai avere una visione obiettiva delle prove. Mettiamo sempre in gioco le nostre personalità, credo, e la mia purtroppo è molto ottimista ed è per questo che sono molto contento di non essere un consigliere del governo. Non penso sarei molto bravo perché tendo sempre a sperare il meglio e in qualche modo mi aspetto anche il meglio”. Non poteva essere più sincero David Spiegelhalter in un’intervista a BBC Desert Island Discs che possiamo riascoltare qui [1].
Ma di chi stiamo parlando?
Sir David Spiegelhalter è uno statistico britannico che per molti anni ha diretto il Centro per la comprensione del rischio presso la Cambridge university. La comprensibilità delle statistiche è al centro del suo interesse. Bravissimo didatta, i suoi tweet sono una palestra per chi volesse imparare i concetti chiave del comunicare i numeri (su Twitter è @d_spiegel). Il suo libro più recente è “Covid by numbers”. Da non perdere e da affiancare alle sue conferenze: questa, per esempio [2].
I dati possono rispondere ad alcune domande ma ne generano molte di più.
David Spiegelhalter
Spiegelhalter ha chiesto pubblicamente scusa per aver sottovalutato inizialmente la pandemia. A pochi giorni di distanza da altri ricercatori molto noti che hanno confessato al quotidiano britannico The Guardian i propri errori di valutazione [3]. Peter Openshaw, infettivologo all’Imperial college di Londra: “I vaccini si sono mostrati molto più efficaci di quanto sperassi. Come persona che ha studiato l’immunità ai virus per trent’anni, avrei dovuto essere in grado di prevederlo”. Allyson Pollock, famosa esperta di sanità pubblica e docente alla Newcastle university: “Sapevamo quasi subito, quando è stato introdotto il lockdown generale nel marzo 2020, che i bambini erano il gruppo meno a rischio e la loro istruzione avrebbe dovuto essere tutelata. Vorrei averlo detto in modo più forte. C’erano alcune aree del Paese che non avevano quasi nessun caso e avrebbe dovuto essere possibile mettere in atto un cordone sanitario attorno alle aree remote e rurali come le isole Orcadi. Le chiusure delle scuole non avrebbero dovuto durare più di qualche settimana”. Neil Ferguson, epidemiologo dell’Imperial college di Londra: “In primo luogo, abbiamo sottovalutato la percentuale di infezioni da covid importate nel Paese perché non rilevate dai test sui viaggiatori a febbraio/marzo 2020. Abbiamo stimato che fosse intorno al 70 per cento, mentre l’analisi retrospettiva indica che oltre il 90 per cento è passato inosservato. In secondo luogo, mentre mi aspettavo che il virus si evolvesse, l’entità dell’evoluzione è stata una sorpresa, sia quando è sorto per la prima volta l’Alfa, sia per quanto è aumentata la trasmissibilità (e, in misura minore, la gravità). Infine, con l’aumento dell’immunità nella popolazione (a causa di infezione e vaccinazione) nell’ultimo anno, le misure di distanziamento sociale sono state allentate e sono emerse nuove varianti, così che prevedere il corso futuro dell’epidemia, anche a breve termine, è diventato ancora più difficile di quanto mi aspettassi”.
Prevedere il corso futuro dell’epidemia è diventato ancora più difficile.
Neil Ferguson
Riconoscere di avere sbagliato non è cosa frequente. Abbiamo voluto parlarne con Walter Ricciardi, docente di Igiene e medicina preventiva all’Università cattolica di Roma, del quale è appena stato pubblicato da Laterza il libro “Pandemonio”. In queste pagine Ricciardi ricostruisce i due anni di pandemia, spiegando le ragioni delle sue posizioni – talvolta ascoltate dal Governo, altre volte meno – tracciando una descrizione molto interessante dei rapporti tra la ricerca in sanità pubblica e i decisori politici.
Cosa ci trattiene dall’ammettere di avere sbagliato, cogliendo così lealmente l’occasione per cambiare ciò che deve essere cambiato? “Credo che dipenda da un certo livello di arroganza e di presunzione, che poi tra l’altro è inversamente proporzionale alla competenza delle persone. Spiegelhalter è un ‘grande’ ed è stato molto umile. Altri che invece non sono né ‘grandi’ né altrettanto umili continuano a pontificare, a distanza di due anni, senza rimpiangere o pentirsi di aver detto cose sbagliate nei mesi passati. Il fatto drammatico è che i media e l’opinione pubblica li ascoltano. È una situazione connaturata alla natura della democrazia ed è l’attuale civiltà della comunicazione. Meglio però avere una democrazia imperfetta che una dittatura così perfetta che impedisce l’espressione di voci libere. Quindi teniamocele e cerchiamo però di combattere con un ruolo più attivo da parte delle istituzioni nel gestire la comunicazione”. Ancora oggi c’è grande discussione sul comportamento dell’Organizzazione mondiale della sanità. Qualcuna delle voci più critiche ha ammorbidito la propria posizione. Altri hanno cambiato idea nella direzione opposta. Eppure, c’è voluto solo un mese per dichiarare la “public health emergency of international concern”; a distanza di due anni non sembra essere un tempo eccessivo, qual è il suo giudizio sulla tempestività dell’Oms nel prendere le decisioni iniziali? “Certamente la colpa di un ritardo è da ascrivere alla mancanza di unanimità nel primo Comitato scientifico” risponde Ricciardi sul blog Sentichiparla. “Quindi non mi sentirei di addossarla al direttore generale, che quando appunto è stata raggiunta l’unanimità nel board ha subito preso una decisione. È chiaro, decisioni così importanti sono difficili da prendere, non mi sento di dire che ci sia stato un ritardo”.
In futuro nessuno potrà più dire che le pandemie sono eventi improbabili e imprevedibili. Ma sarà necessario ripensare al modo in cui la specie umana vive sulla Terra.
Walter Ricciardi
Nel suo libro, scrive che l’impreparazione italiana fu subito chiara dalla decisione di chiudere i voli dalla Cina, oltre a non prescrivere la quarantena per chi giungeva da quel Paese. Com’è possibile che a distanza di diciotto mesi l’errore si sia ripetuto nei riguardi del Sudafrica che segnalava la variante omicron? Quanto incidono decisioni del genere sui rapporti e sulla credibilità internazionale? “La mancanza di coordinamento ha giocato un ruolo importante; nella prima fase l’Italia ha preso una decisione unilaterale, insieme agli Stati Uniti, non seguita dall’Unione europea. Questo ha fatto sì che in Italia i cittadini contagiati siano arrivati tramite voli che avevano fatto scalo in altre nazioni, tanto è vero che quando la catena del contagio è stata ricostruita è stato appurato che il primo era arrivato dalla Germania. Chiaramente la situazione è adesso molto migliorata nell’Unione europea. Resta il punto debole del Regno Unito, che ha fatto penetrare la variante indiana e ha agevolato la diffusione della variante sudafricana. È chiaro che fino a quando non ci sarà un trattato pandemico globale e un’armonizzazione vera questi fenomeni si ripeteranno, incidendo negativamente sulle decisioni, sui rapporti e sulla credibilità internazionale”.
Centralizzare catena di comando e comunicazione [4]: dopo due anni, il pandemonio è diminuito o siamo rimasti ai livelli iniziali? “Non è migliorato. Di fatto sotto questo punto di vista siamo rimasti ai livelli iniziali, come spiego nel libro. Anche supportato da posizioni come quella del presidente emerito della Corte costituzionale Sabino Cassese, ho chiesto più volte che fosse avocata al centro la responsabilità per il coordinamento della catena di comando e di comunicazione. Questo non è stato fatto dal governo Conte. Credo quindi che – se non è stato fatto in una pandemia che provocava morti in modo incontenibile come sembrava in quella fase – non credo che sarà mai fatto. Penso che in Italia nell’assumere decisioni si scelga più un meccanismo di concertazione e di conciliazione; questo naturalmente va a detrimento della tempestività e dell’efficacia delle decisioni”. Lei definisce la pandemia da covid-19 come uno tra gli eventi più prevedibili della storia: cosa ha impedito che la preparazione fosse migliore? “Gli psicologi dicono che la mente umana non sa calcolare il rischio e poi tende a rinviare decisioni gravi e in qualche modo impopolari nel momento in cui i rischi sono percepiti come non immediati. Quindi, nonostante che dal 1995 con Laurie Garret [5], poi Peter Piot nel 2012 [6] e anche David Quammen nel 2013 [7] e sostanzialmente poi anche Bill Gates nel 2015 e nel 2017 [8] e l’Organizzazione mondiale della sanità nel 2019, questi allarmi non sono stati ascoltati. È in qualche modo la tendenza da parte dell’opinione pubblica a non voler sentire, anche attualmente; chi dice la verità è molto spesso accusato di essere un menagramo piuttosto che qualcuno che vuole evitare danni maggiori”.
Luca De Fiore
Il Pensiero Scientifico Editore
Bibliografia
1. https://www.bbc.co.uk/programmes/m0014644
2. Spiegelhalter D. Trustworthy communication of statistics and risk in the age of covid-19. You Tube, 9 dicembre 2020.
3. Devlin H, Davis N. ‘The case for masks became hugely stronger’: scientists admit their covid mistakes. The Guardian, 4 febbraio 2022
4. Ambrosino F. Da minaccia a emergenza nazionale. Un mese di comunicazioni ufficiali sul coronavirus. Sentichiparla.it, 9 marzo 2020.
5. Garret L. The coming plague. Londra: Penguin 1995.
6. Piot P. No time to lose. A life in pursuit of deadly viruses. New York City: W W Norton & Co Inc, 2013.
7. Quammen D. Spillover. New York City: W W Norton & Co Inc, 2013.
8. Gates B. La prossima epidemia? Non siamo pronti. TED.com marzo 2015
Questo articolo è stato pubblicato su Sentichiparla.it, il 15 febbraio 2022.
A cura di Elena Nave
Quattro enti diversi che hanno funzioni diverse ma alcuni elementi in comune.
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Kirsten Bibbins-Domingo. la prima donna nera come editor-in-chief di una delle riviste mediche più conosciute del mondo.