Ci sono settimane in cui accadono cambiamenti che, in altri momenti, richiederebbero millenni, scrive Maurizio Ferraris. Come è successo nei due anni passati, ma “il virus” deve trasformare in meglio le nostre vite.
“Il virus è diventato prima di tutto un Elzevirus, un’occasione di scrittura in residenza coatta”. Già nelle prime pagine del suo libro più recente [1], Maurizio Ferraris ‒ docente di filosofia teoretica all’università di Torino ‒ indica l’oggetto della propria riflessione: la produzione di letteratura sulla pandemia, un fenomeno di proporzioni talmente rilevanti da indurre uno dei più grandi editori europei ‒ Gallimard ‒ “a scongiurare l’umanità di smettere di scrivere e di incominciare a leggere”.
Ferraris non è stato dissuaso dalla grande casa editrice francese e c’è da giurare che anche questa volta si sia divertito (o quasi) ad addentrarsi nella documentazione (quelle seicento sfumature di articoli, libri, post, relazioni citate nel sottotitolo) disponibile online per cercare di classificare e in certo modo recensire gli atteggiamenti e i comportamenti coi quali abbiamo reagito alla crisi che ancora stiamo attraversando. Ferraris ‒ uno studioso molto stimato, sempre originale nelle sue riflessioni e davvero capace di intrattenere il lettore ‒ mette presto in chiaro due cose.
Possiamo ascoltare e vedere Maurizio Ferraris al Circolo dei lettori di Torino in conversazione con Antonella Viola, lo scorso novembre: il video chiarisce alcuni aspetti toccati nel libro ed è disponibile su YouTube.
La prima è che pochi dei documenti pubblicati sono stati concepiti con la deliberata volontà di comunicare: questa iperproduzione di scritti è “semplicemente” frutto del nostro vivere. Ogni giorno produciamo documenti di ogni genere e la pandemia ha contribuito a metterli in evidenza, dalle registrazioni dei webinar ai verbali delle call, dalle lezioni scolastiche e universitarie svolte a distanza fino alle note che più o meno formalmente hanno documentato l’esperienza di qualcosa che ‒ anche se fosse stato atteso ‒ ci ha colti comunque di sorpresa. Esperienza che ha determinato uno choc e non (o non ancora) una “trasformazione”: anzi, è esitato in quello che Ferraris definisce “un solipsismo di massa” fatto di diari, memorie, confessioni dal lockdown, tutti strumenti della resilienza (parola chiave di questi anni) che hanno come obiettivo consapevole o meno il ritorno alla normalità. Resiliente, spiega Ferraris, è il metallo che è capace di tornare esattamente allo stato nel quale si trovava prima di una sollecitazione: non è questo che ci dovremmo augurare uscendo dall’emergenza sanitaria.
Percepiamo molto di più il complottismo perché è iper documentato.
Maurizio Ferraris
Una parte centrale del piccolo libro di Ferraris è riservata all’analisi di quelli che possiamo chiamare i modi di reagire alla crisi sanitaria: negando il problema, minimizzandone la portata, sostenendo che le questioni a cui pensare sarebbero “ben altre”, ipotizzando il complotto. I filosofi ‒ osserva l’autore ‒ sono stati tra i più capaci a difendere le posizioni più improbabili, del resto “solo un filosofo può chiedersi se l’albero che ha di fronte a sé esista”. La pandemia sarebbe una roba talmente complicata da smettere di essere un fatto per diventare “un’interpretazione”: leggendo queste righe ci passano davanti le dichiarazioni paradossali di studiosi emeriti e un tempo rispettati così come le affermazioni di chi ‒ in ambulatorio, sul taxi o in pizzeria (quando è stato possibile trascorrerci una sera) ‒ identificava la colpa dei migliaia di morti (e dei troppi aperitivi proibiti, precisava Ferraris nella conversazione con Antonella Viola al Circolo dei lettori di Torino) nei complotti concepiti e messi in atto dai “poteri forti globalizzati” o da non precisati circoli massoni o dalle banche internazionali.
I complottisti ‒ considerata la capacità di reazione alla crisi dell’economia ‒ potrebbero alla fine ritenere che il virus sia stato creato dalle case editrici per vendere più libri.
Maurizio Ferraris
Il vittimismo cerca molto spesso la responsabilità nella tecnica: scienziati pazzi, laboratori incapaci di impedire a virus letali di uscire dagli anfratti dove sono conservati… Una tecnologia che disumanizza e ci governa, dimenticando però che “quanto più una macchina è complessa, tanto più è dipendente dagli umani”. L’ironia di Ferraris torna protagonista quando scrive che “sentirsi i mandanti dei propri errori e delle proprie fissazioni non è un gran sentimento (…) ma è sempre meglio che imputarlo alla tecnica, ponendo la premessa di un complottismo in cui il Gestell o il Capitale o entrambi ci impongono di sterminare dapprima i dinosauri e poi qualunque altra forma di vita più moderna, compresa la nostra, in un funesto disegno di tirannia globale”. Serve dunque trasformare lo choc in esperienza utile che metta da parte ogni resilienza auspicando e provocando un cambiamento. In questo la tecnica non potrà che essere alleata e per un medico ‒ se così fosse ‒ sarebbe davvero un’ottima notizia.
Le pagine di questo tascabile di Ferraris (90 più bibliografia) sono ottimiste anche se ci spiazzano quando spiegano che consumare vuol dire provare desideri e soddisfarli: attività dello spirito, che mai potremo delegare a macchine e, per questo, essenzialmente umana. Ricollegandosi all’idea che ha provocato il libro: manifestare interessi e dar senso ‒ per soddisfare anche questi ‒ alla docusfera che una volta governata sottraendo potere ai proprietari delle piattaforme della Rete sarà in tutto e per tutto un’alleata preziosa di un nuovo welfare. Ferraris ci ricorda come nei primi mesi dell’emergenza sanitaria e sociale ci ripromettessimo di non tornare come prima una volta usciti dalla crisi (salvo poi progressivamente dimenticarci dei buoni propositi programmando un ritorno al passato proprio in virtù di un Piano di ripresa e ‒ ecco la parola magica ‒ resilienza): la catastrofe nasconde delle opportunità straordinarie, come quella di obbligarci a riflettere sui modi nei quali lavoriamo, sull’equilibrio tra il tempo per il lavoro e il tempo per sé, sulle opportunità offerte dalla tecnologia: tutto questo e molto altro potrebbe infine “liberare” il lavoro trasformandolo nella manifestazione della libertà e non della necessità.
Si può (ovviamente) non essere d’accordo con Maurizio Ferraris o restare perplessi di fronte ad alcune sue argomentazioni: ma l’intelligenza con la quale sono formulate e l’ironia che attraversa le sue digressioni (basti pensare al dialogo tra Rousseau e Voltaire riferito nel video al Circolo dei lettori) renderà difficile separarsi da questo piccolo libro per metterlo nello scaffale. Ogni volta che lo riapriremo troveremo qualcosa che ci sembrerà nuova, una frase colpevolmente sfuggita, un’interpretazione a cui non avevamo pensato…