Obama: Internet indebolisce la democrazia
Secondo l’ex presidente degli Stati Uniti servono nuove regole per contrastare la disinformazione in rete

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Secondo l’ex presidente degli Stati Uniti servono nuove regole per contrastare la disinformazione in rete
Foto di Pat Bianculli / CC BY
“Vogliamo lasciare che la nostra democrazia si indebolisca o vogliamo migliorarla?”: domanda retorica, quella pronunciata da Barack Obama nel proprio intervento al convegno “Challenges to democracy in the digital information realm” promosso dallo Stanford cyber policy center e dalla Obama foundation allo Stanford campus il 21 aprile scorso. L’ex presidente degli Stati Uniti – dal 2009 al 2017 – ha affrontato un argomento forse non originale ma terribilmente attuale nei giorni in cui Elon Musk – imprenditore e investitore visionario, oltre che multimiliardario – ha concluso l’acquisto di Twitter per circa 44 miliardi di dollari (più o meno un sesto del suo patrimonio). La tecnologia ha trasformato il modo in cui le persone creano, usano e “consumano” i media, rendendo il mondo della comunicazione qualcosa di completamente differente da ciò che era solo pochi anni fa. Una sintesi del discorso di Obama è disponibile sul sito della Stanford university.
Come ogni boomer che si rispetti – è nato nel 1961 – Obama ha ricordato come negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, gli statunitensi fossero abituati a sintonizzarsi su una delle tre reti televisive principali e come questa assenza di scelte abbia a suo tempo contribuito a costruire una cultura condivisa, tutto sommato basata su un’informazione corretta, accurata e responsabile: “Quando si trattava di notizie, almeno, i cittadini di tutto lo spettro politico tendevano a basarsi su un insieme condiviso di fatti”. Dai bei tempi andati, siamo arrivati alla situazione di oggi, con un accesso più o meno universale a feed di notizie individualizzati alimentati da algoritmi che premiano la voce di chi strilla di più o è più potente. Dinamiche perverse dalle quali le aziende tecnologiche traggono profitto. “I contenuti proliferano e sia le informazioni sia il pubblico si frammentano, rendendo la democrazia più complicata”.
Barack Obama ha fatto un accenno diretto anche alla sempre più frequente difficoltà di ricondurre ad autori reali molti contenuti diffusi in rete. Accenno che ha preceduto di pochi giorni una dichiarazione importante di Elon Musk (che preannunciava proprio su Twitter di voler “autenticare tutti gli umani”) ma che ha suscitato anche commenti polemici, come quello di Jeff Kosseff, autore di un libro importante uscito da poco, The United States of anonymous: “Non credo che le frasi di Obama colgano correttamente i costi e i benefici dell’anonimità. Affermazioni di questo tipo potrebbero portare a pericolose restrizioni nella comunicazione che non risolverebbero il problema di fondo. Alcuni account anonimi sui social media diffondono informazioni errate? Assolutamente sì. Ma la disinformazione si diffonde anche attraverso un sacco di account con la spunta blu (si tratta del simbolo che connota sui social gli account verificati, ndr). E con la televisione e la radio. Molta comunicazione di valore viene diffusa in modo anonimo e utilizzando degli pseudonimi perché ne sono autori persone che non possono pubblicare con i loro veri nomi. Potrebbero esporsi nei confronti dei loro datori di lavoro o di funzionari governativi, o potrebbero desiderare di condividere un punto di vista impopolare nella propria comunità in rete”.
Uno dei cambiamenti di internet denunciati da Obama è realmente sotto gli occhi di tutti: “Le piattaforme di ricerca e i social media non sono solo la nostra finestra su internet. Servono come fonte primaria di notizie e informazioni e nessuno ci dice che l’immagine che vediamo da questa finestra è sfuocata, soggetta a distorsioni di cui non ci accorgiamo e a sottili manipolazioni”. Di nuovo, niente di particolarmente nuovo, come del resto anche il richiamo al bias di conferma: “All’interno delle nostre bolle d’informazione, le nostre supposizioni e pregiudizi non sono messi alla prova ma rafforzati e siamo naturalmente più propensi a reagire negativamente nei riguardi di coloro che sostengono fatti e opinioni diverse. Un insieme di cose che approfondisce le divisioni razziali, religiose e culturali già esistenti”. Insomma: argomenti noti, a cui Obama ricorre anche di fronte a un uditorio competente come quello dell’università nel cuore della Silicon Valley.
Anche quest’ultimo passaggio ha fatto alzare qualche sopracciglio, per esempio quelli di Thomas Zeitzoff, che insegna alla School of public affairs dell’American university: nel discorso di Obama, “l’impatto delle fake news è sopravvalutato” ha commentato Zeitzoff su Twitter. “La disinformazione è un sintomo della disfunzione democratica e non una sua causa. I social media hanno avuto un grande impatto sul modo in cui le persone si relazionano con i politici, si avvicinano alle informazioni politiche e più in generale parlano di politica, in particolare le persone più attive politicamente. Ma per me non è la causa principale della disfunzione: uno dei più grandi e poco studiati effetti dei social media è l’interazione tra le notizie partigiane diffuse dalle televisioni e i social media stessi”.
L’intervento di Obama è poi passato dall’impatto della rete sugli individui alle politiche delle multinazionali dell’informatica, “dominatrici” di internet e dei social media in particolare. Pur ammettendo che razzismo, sessismo e misoginia nascono tutti ben prima di internet, la tecnologia avrebbe contribuito ad amplificarli: “Risolvere il problema della disinformazione non curerà tutto ciò che tormenta le nostre democrazie o lacera il tessuto del nostro mondo, ma può aiutare ad abbattere le divisioni e permetterci di ricostruire la fiducia e la solidarietà necessarie per rendere la nostra democrazia più forte”. Secondo Obama i social media hanno alimentato violenza ed estremismo in tutto il mondo e leader di Paesi come Russia, Cina, Ungheria, Filippine e Brasile hanno sfruttato i social per manipolare le popolazioni. “Autocrati come Putin hanno usato queste piattaforme come arma strategica contro i Paesi democratici che considerano una minaccia”. Non poteva mancare a questo punto un accenno ai rischi insiti nella diffusione dell’intelligenza artificiale: “Ho già visto dimostrazioni della tecnologia deep fake che mostrano su uno schermo uno che mi assomiglia e che dice cose che non ho detto. Sì, una strana esperienza… Senza delle norme di condotta, le implicazioni di questa tecnologia sono profonde e fanno spavento per le nostre elezioni, per il nostro sistema legale, per la nostra democrazia, per le prove in tribunale, per il nostro intero ordine sociale”.
Obama ha paragonato la Costituzione degli Stati Uniti a un software gestionale: “Aveva un design davvero innovativo ma anche bug significativi” per la presenza di molti determinanti di discriminazione, per esempio: razziali, di genere, economici. Ma gli emendamenti alla Costituzione hanno permesso di continuare a perfezionare l’Unione alla stregua di patch di software. Bisogna metterci una toppa, insomma, ha suggerito Obama. Da dove iniziare? Governi e aziende dovrebbero essere disposti a introdurre cambiamenti per migliorare la discussione onesta online e ridurre la quantità di disinformazione: “Internet è uno strumento. I social media sono uno strumento. In fin dei conti, gli strumenti non ci controllano, ma siamo noi a controllarli. Possiamo ricostruirli: sta a ciascuno di noi decidere a cosa dare valore e poi usare gli strumenti che ci sono stati dati per promuovere quei valori”.
Le aziende informatiche si oppongono con fermezza a qualsiasi tentativo di regolamentazione ma sbagliano: “Le aziende si lamentano sempre che le regole deprimono l’innovazione e distruggono le imprese, ma la verità è che un buon ambiente normativo di solito finisce per stimolare l’innovazione, perché migliora la sicurezza e la qualità”.
La regolamentazione, dunque, deve essere parte della risposta, secondo Obama, anche non trascurando la possibilità di rendere i grandi player del web corresponsabili dei contenuti che corrono in rete. Serve trasparenza e condivisione della struttura informatica di prodotti e servizi. Ma serve responsabilità anche da parte dei cittadini: “Dobbiamo prenderci la responsabilità di diventare migliori fruitori di notizie, controllando le fonti, riflettendo prima di condividere e insegnando ai nostri figli i modi per valutare criticamente le fonti e distinguere le opinioni dai fatti”.
L’accenno di Barack Obama alla necessità di sviluppare il pensiero critico nelle bambine e nei bambini è un’occasione per segnalare il progetto Informed health choices che da qualche anno è oggetto di sperimentazione anche in Italia. L’obiettivo di questo programma – avviato da una sperimentazione disegnata e condotta da ricercatori internazionali molto conosciuti – è proprio quello di trasmettere fin dalla giovanissima età la capacità di filtrare in modo critico e consapevole – in una parola informato – i contenuti scientifici che riguardano la salute. Il progetto è presentato e discusso anche nel convegno “Scuola per pensare e giudicare” in programma il 6 maggio dalle 8.30 alle 17.30 in modalità online. L’incontro (qui c’è il programma) sarà coordinato da Camilla Alderighi, membro del direttivo dell’Associazione Alessandro Liberati – Cochrane affiliate centre e, insieme a Raffaele Rasoini, promotrice del progetto in Italia.
L’Europa sta agendo in modo rapido ed efficace promuovendo una legislazione assai più radicale di quella statunitense per limitare gli abusi dei grandi player tecnologici. È probabile che Obama si sia riferito al digital services act da poco messo a punto dall’Unione europea per fornire regole chiare per la moderazione dei contenuti, la responsabilità della piattaforma, i prodotti illegali e i rischi sistemici riconducibili alla rete. “Dovremmo essere in grado di guidare queste discussioni a livello internazionale, non [essere] nelle retrovie. Coordinarci con altre democrazie. Dobbiamo trovare la nostra voce in questa conversazione globale”.
Conversazione che si è ulteriormente animata nelle ultime settimane. È intervenuta anche Shoshana Zuboff, docente emerita della Harvard business school e autrice di The age of surveillance capitalism, un libro imperdibile per chi si interessa di questi argomenti. Con un lungo thread su Twitter ha dato – a modo suo – il benvenuto al padrone di Tesla: “Il signor Musk vuole unirsi agli dei che governano lo spazio dell’informazione e controllare le risposte alle domande essenziali del nostro tempo riguardo la conoscenza, l’autorità e il potere: chi sa? Chi decide chi sa? Chi decide chi decide? Non abbiamo mai eletto queste persone per governare. Abbiamo bisogno di leggi, non di uomini”.
Bibliografia
Il racconto dell’anziano medico Asher Caro nel libro di Eshkol Nevo
I modelli del machine learning potranno essere utili ma solo come strumento complementare. Di Giampaolo Collecchia
Alcune riflessioni a partire dalla storia di William Norman Pickles, medico di campagna e di comunità. Di Carlo Saitto