È il momento di ringraziare i medici di medicina generale, non di demoralizzarli: Martin Marshall, presidente del Royal college of general practitioners britannico.
“È il momento di ringraziare i medici di medicina generale, non di demoralizzarli”. Parola di Martin Marshall, presidente del Royal college of general practitioners britannico, ed egli stesso medico di medicina a generale a Londra, che nel suo blog sul BMJ interviene nel dibattito sull’equilibrio tra l’assistenza a distanza o in studio (1). Un dibattito accaloratosi nel Regno Unito quando, a metà settembre, una lettera del National health service (2) ha sollecitato i medici a garantire anche le visite di persona. Una lettera dai toni ammonitori, ha lamentato Marshall come molti altri medici e organizzazioni.
Toni che presupponevano, senza motivo, uno scarso impegno nel far sapere agli assistiti della possibilità di essere visitati dal vivo. E senza un cenno di gratitudine per tutto quanto fatto in questi mesi difficili, con un impegno duro per garantire le migliori cure possibili, che è stato essenziale per evitare che gli ospedali, giunti sull’orlo del collasso, lo varcassero. Oltretutto, rimarca Marshall, in contraddizione con quanto il governo stesso richiedeva solo due mesi fa, ovvero di privilegiare le visite a distanza.
Polemiche a parte, però, quel che conta è riflettere su cosa tenere dell’esperienza fatta e in corso; su come tornare a un’assistenza basata sulle visite di persona quando è necessario, senza rinunciare alle possibilità della telemedicina quando è indicata.
“Ieri in ambulatorio ho incontrato una giovane a cui per due volte era stato prescritta a distanza una terapia per una sospetta infezione. Così ho potuto esaminarla dal vivo, fare attenzione a tutti i segni fisici e prelevare un tampone. Cose importanti se i primi trattamenti non hanno funzionato” dice Marshall. Ma non solo. “Ho incontrato familiari preoccupati, garantendo che si sentissero ascoltati e dando loro quelle rassicurazioni che si possono avere solo quando ci si trova insieme nella stessa stanza” aggiunge.
“Come medico di di medicina a generale, e come presidente del Royal college of general practitioners, sul lungo termine non voglio vedere un sistema di cure di base offerte solo o in prevalenza in remoto”, che non funziona per tutti i pazienti e tutte le esigenze, e rischia di esacerbare le iniquità di salute, conclude.
“La precedente indicazione del governo, di visitare sempre da remoto salvo ragioni cliniche molto impellenti, è eccessiva. Ma molti medici non vorrebbero neanche tornare del tutto al modello pre-covid”, rimarca Martin Brunet (3), medico di di medicina a generale ed esperto di comunicazione con i pazienti, sempre su un blog sul BMJ.
Bisogna dunque riflettere su cosa tenere di questa esperienza, evitando però di farsi abbagliare da alcuni suoi aspetti positivi ma non replicabili. Molti medici, per esempio, hanno avuto più tempo libero e una migliore qualità della vita. Ma questo è dipeso dal calo complessivo delle richieste di visita, più che dal loro svolgersi in remoto. E le ricerche hanno mostrato che, in tempi normali, le visite digitali non riducono di per sé il carico di lavoro.
Il vero valore della medicina generale starà sempre, sopra ogni altra cosa, nel sedere nella stessa stanza col nostro paziente, faccia a faccia, dimostrando il valore delle cure primarie in quella peculiare interazione che è la visita col tuo medico di famiglia.
Martin Brunet
L’assistenza digitale ha senza dubbio vantaggi importanti, come praticità ed efficienza. Ma bisogna assicurarsi che non spogli la professione della sua anima; che salvaguardi le priorità e i valori che ne stanno al cuore. “Se chiedi a un giovane in formazione che cosa lo attira verso le cure primarie, non ti dirà quanto ama stare al telefono o condurre efficienti consultazioni per email. Ti parlerà del desiderio di conoscere i pazienti, dell’importanza della continuità assistenziale, e del valore della medicina basata sulla relazione” afferma Brunet.
Dobbiamo chiederci quindi come i nuovi modelli di cura si rifletteranno su questi aspetti: permetteranno di costruire una relazione personale col paziente? Altereranno la continuità assistenziale? Aiuteranno a migliorare la formazione dei giovani medici di medicina generale? Che effetti avrà questo modello tra dieci o vent’anni?
“Il vero valore della medicina generale starà sempre, sopra ogni altra cosa, nel sedere nella stessa stanza col nostro paziente, faccia a faccia, dimostrando il valore delle cure primarie in quella peculiare interazione che è la visita col tuo medico di famiglia” conclude Brunet.