“Pensare che il mondo è vasto e variegatissimo, che frequentare solo luoghi e persone che si conoscono diventa riduttivo, che il proprio bagaglio personale non può che essere arricchito dalla conoscenza, che il tempo davanti a sé non è infinito…” Sono parole di Robin Foà, che ha iniziato la propria vita di medico internista e ricercatore a Torino, subito dopo la laurea nel 1974, per poi proseguire come docente della facoltà di Medicina fino al 1999. “Ho sempre avuto una fortissima attrazione per la natura fin da piccolo – prosegue Foà spiegando la propria passione per la pratica della fotografia – e per quanto la natura riesce ad offrire e come riesca sempre a sorprenderci. È probabile che ci sia anche un desiderio di estraniarsi da una vita professionale estremamente piena e sempre in contatto con persone e con problematiche, spesso, assai gravi.”
Il mentore professionale di Foà fu Daniel Catovsky alla Royal Postgraduate Medical School dello Hammersmith Hospital di Londra. “I vicini di stanza (tra tanti) erano Sir John Dacie, David Galton e John Goldman. Tutte persone che hanno lasciato un segno indelebile nell’Ematologia mondiale.” Ma il Maestro dell’esercizio della fotografia è stato per Foà un altro medico, Piero Masera. Amico di Beppe Fenoglio e figlio di uno dei medici più stimati di Alba, la piccola cittadina nel cuore di Langa. Proprio il centro culturale albese intitolato all’autore de Il Partigiano Johnny racconta come “un grande sollievo [giungesse a Masera] dal doloroso impegno professionale veniva dalla fotografia, la sua grande passione, nella quale espresse la sua personalità sensibilissima con una capacità di sogno nel creare soggetti di storie fantastiche.” [1]
La pandemia ha nuovamente acceso le luci di fotografi sul medico e sul suo lavoro, riportando alla memoria lo straordinario lavoro di Maestri come Eugene Smith (qui il suo famoso lavoro su The country Doctor pubblicato dalla rivista Life) o Eugene Richards, che nel reportage The knife and the gun riuscì a restituire tutta la competenza e l’emozione del lavoro in un dipartimento di emergenza di un grande ospedale degli Stati Uniti. Ma la ricerca fotografica di Foà e, ancor prima, di Masera ci sollecitano a riflettere su un altro aspetto, ugualmente intrigante: dove si poggia lo sguardo del medico? Lo abbiamo chiesto a Marco Vergano, medico anestesista e rianimatore a Torino.
Medicina e fotografia possono entrambe essere praticate a diversi livelli. La medicina certo non può essere un hobby o uno svago, ma esattamente come la fotografia può essere tutto il resto: una passione, un lavoro o un servizio. Può essere un semplice gesto tecnico o una fonte di guadagno, ma anche un’attività di ricerca, un terreno di sperimentazione, una testimonianza, una presa di posizione, un percorso di crescita individuale, persino una forma d’arte. Si può avvertire un senso di appartenenza a una comunità – nell’essere medici o fotografi – ma allo stesso tempo ci si può specializzare (o iperspecializzare) in entrambe le pratiche, tanto da faticare a riconoscere alcuni colleghi come tali.
La fotografia obbliga inevitabilmente a una consapevolezza del punto di vista, che si esprime attraverso la regolazione di esposizione, profondità di campo e messa a fuoco, ma soprattutto attraverso la scelta della prospettiva e dell’inquadratura (il framing).
Nel mondo sanitario viviamo tra sovraccarico di informazioni, pressioni crescenti, automatismi, richieste non sempre appropriate, aspettative talvolta illusorie. Ci troviamo spesso a dover scattare una fotografia decente con un pessimo rapporto segnale/rumore.
In tutto questo, la capacità di framing può aiutare i medici in tre compiti:
mantenere l’attenzione su ciò che è essenziale (ciò che è davvero nel miglior interesse dei propri assistiti);
includere nell’inquadratura non solo “il soggetto” ma tutto ciò che conta (gli obiettivi di cura, ma anche la “rete di prossimità” che la persona malata desidera includere nella relazione di cura);
lasciar fuori tutto il resto.
Marco Vergano Anestesista e rianimatore Ospedale San Giovanni Bosco, Torino
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