L’orecchio che vede dentro: stetoscopio, medico e paziente
Quando il Dottor Laennec inventò lo stetoscopio.
Di Alberto Chiantaretto

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Quando il Dottor Laennec inventò lo stetoscopio.
Di Alberto Chiantaretto
… il dottore estraeva dalla borsa la «trombetta», interponendola tra il suo orecchio e il mio torace. “Si chiama stetoscopio”, mi disse una volta. “Stetoscopio vuol dire strumento che guarda dentro il torace: in questo modo il mio orecchio si trasforma in occhio e io vedo dentro di te”. Questa faccenda dell’orecchio che si trasformava in occhio mi colpì moltissimo: il medico mi appariva una sorta di mago che vedeva l’invisibile.
Giorgio Cosmacini
Medici nella storia d’Italia
(Bari: Laterza, 1996)
Quando nella pratica medica entra in uso un nuovo strumento diagnostico, medico e paziente si trovano a dover fare i conti con un inevitabile cambiamento di coinvolgimento professionale e personale. Nel corso della storia moderna della medicina, la prima volta ciò accadde negli anni ‘20 del diciannovesimo secolo quando il medico incominciò ad ascoltare, descrivere e trasformare in segni patognomonici i “rumori” che produceva respirando una persona sana e una persona malata, ascoltandoli dapprima con l’orecchio appoggiato sul suo torace – auscultazione diretta –, per poi arrivare all’auscultazione mediata da un nuovo strumento interposto tra orecchio del medico e torace del paziente: lo stetoscopio.
Cercheremo di illustrare quando, dove, come e perché successe che monsieur le docteur René Theophile-Hyacinthe Laennec arrivò alla questa grande invenzione.
Nel Settecento il riferimento dei medici, del sapere e della pratica è rappresentato da Ippocrate, da Galeno e dal sistema umorale. Il medico lavora con la testa, il chirurgo con le mani: entrambi si tengono lontano dal corpo che è anche il campo di azione di tutti gli “irregolari” della medicina (ciarlatani, conciaossi, cavadenti, chirurghi delle ernie e delle cataratte).
La “bussola diagnostica” dei medici è costituita dai sintomi e dalle narrazioni che i pazienti fanno dei loro vissuti di malattia, credibili o no che siano, ma su questi apporti soggettivi i medici costruiscono – in latino – la loro diagnosi, integrata da una più o meno accurata ispezione dell’“involucro esterno” (facies ippocratica, tumori, gonfiori, ernie, scrofole ecc.), da una osservazione della lingua, della pelle per il colorito e per il calore delle febbri, dell’urina. L’udito serve per tosse, respiro irregolare. Si sente il polso (rallentato o veloce, regolare o erratico). L’approccio medico, alla luce del sistema umorale, vedeva nei sintomi gli effetti della lotta tra la malattia e l’organismo nel suo complesso e non poteva ipotizzare un processo morboso localizzato in un organo interno [1].
Negli ultimi cinquant’anni del diciottesimo secolo due opere, di anatomia normale e di anatomia patologica, prefigurano le tappe successive del sapere medico e della pratica medica.
Nel 1761 Giovanni Battista Morgagni, professore di anatomia a Padova, pubblica il De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis e illustra – con il risultato di 646 autopsie da lui eseguite – che i processi morbosi sono localizzati negli organi interni, che i sintomi delle malattie corrispondono a lesioni anatomiche precise e che i cambiamenti organici patologici sono i responsabili delle manifestazioni delle malattie. Nel 1800 l’anatomista e fisiologo Francois Xavier Bichat pubblica il Traité des membranes en general et de diverses membranes en particulier, con l’esperienza di più di 600 autopsie. Sulla scia di Morgani passa dall’anatomia degli organi all’identificazione dei tessuti (membranes) che li compongono e li identifica come sedi primarie del processo patologico, nei termini localistici dell’anatomia dei chirurghi senza utilizzare il microscopio.
Il corpo non è più un contenitore di parti solide e di umori che lo percorrono e bersaglio di malattie che sono la conseguenza del loro squilibrio. Sarà il riscontro autoptico della lesione anatomica a dare la conferma più sicura della diagnosi clinica. “Aprite qualche cadavere e vedrete subito sparire l’oscurità che l’osservazione da sola non aveva potuto dissipare!”. L’esortazione di Bichat ai medici sembra potersi realizzare nella pratica della “medicina nelle corsie” degli ospedali dove il tasso di mortalità molto alto (un paziente su cinque) rende il riscontro autoptico pratica necessaria per i medici e dimostrazione di anatomia patologica per gli studenti inseriti nella vita della corsia dopo le riforme del 1794 [2].
In quell’anno, il secondo della Repubblica francese, la Convenzione promulga la legge che istituisce tre nuove écoles de santé (non più “di medicina” ma di “salute”, diritto primario di tutti i citoyens), a Parigi, Montpellier e Strasburgo, per la formazione dei nuovi medici in luogo delle sorpassate facoltà di medicina dell’ancien régime, soppresse nel 1790. “Quello che è mancato finora alle scuole di medicina, la pratica stessa dell’arte, l’osservazione al letto del malato saranno parte fondamentale del nuovo insegnamento”. “Essendo unica l’arte del guarire” viene abolita la separazione di medici e chirurghi. Abolito il latino. Insegnamenti comuni e dedicati: clinica interna (medicina) e clinica esterna (chirurgia). Gli studenti entreranno nelle corsie degli ospedali per fare pratica. La scuola di Parigi viene dotata di un anfiteatro per le dissezioni anatomiche [3].
Su questo scenario di cambiamenti profondi nel 1800, il giovane bretone René-Thèophile Hyacinthe Laennec (1781-1826) completa la sua formazione di medico all’École de santé de Paris dove segue le lezioni del chirurgo Guillaume Dupuitren (clinique externe) e del medico Jean Nicole Corvisart (clinique interne) quest’ultimo medico personale del Primo console e poi Imperatore Napoleone Bonaparte [4]. Corvisart nel 1808 ha tradotto L’Inventum Novum ex percussione thoracis humani, ut signo abstrusos interni pectoris morbos detegendi del medico austriaco Leopold Auerbruggen, un piccolo trattato sulla diagnosi mediante percussione del torace, accolto nel 1761 con scarso interesse nell’ambiente medico di Vienna. La sua è una medicina di rinnovamento: ricerca dei segni clinici patognomonici sul paziente in vita e riscontro anatomopatologico sul cadavere. Inserisce la percussione toracica e l’auscultazione diretta nell’esame fisico del paziente, aprendo con l’utilizzo di queste due tecniche la strada all’opera dei suoi allievi Bayle e, soprattutto, di Laennec.
Gli allievi di Corvisart, tra i quali si distingue il giovane Laennec, compilano i resoconti delle visite e delle autopsie, raccolti e poi pubblicati come Aphorismes de Corvisart. A leggere quelli raccolti da Laennec si ricava che l’auscultazione diretta (orecchio appoggiato al torace del/della paziente) in realtà non è affatto utilizzata con continuità nella pratica delle visite in corsia dal Maestro: è difficile da praticare e insoddisfacente nei risultati per motivazioni sia di pudore personale che di tecnica. Non si può certo appoggiare l’orecchio sul torace di una Signora o su quello di un paziente non propre. I motivi strutturali sono il rumore d’ambiente sempre presente e il rumore respiratorio del paziente che si confonde con quello del medico, la difficoltà di eseguire su gabbie toraciche anatomicamente non ben conformate: dove è più opportuno appoggiare l’orecchio? Ma soprattutto Laennec stesso definirà “disgustoso” “il dover appoggiare l’orecchio sul torace dei malati in corsia”.
Nel 1816 il médecin en chef dell’ospedale Necker, con la responsabilità di un service di cento letti, continua a lavorare con le procedure messe a punto e praticate insieme a Gaspard-Laurent Bayle (1774-1816), collega e Maestro, definite da quest’ultimo come un “procedimento di mutua rettificazione”, che per arrivare a una diagnosi precisa doveva fare affidamento sull’esame fisico del paziente in vita e sull’autopsia del cadavere senza mai trascurare nessuna delle due procedure.
Laennec esegue quotidianamente visita ed esame fisico dei pazienti con ispezione, palpazione, percussione e auscultazione diretta del torace, e con quest’ultima incontra le stesse difficoltà e gli stessi scarsi risultati già incontrati da Corvisart e da Bayle. In uno dei suoi scrupolosi resoconti di visita, del 1816, Laennec racconta di come arrivò a “inventare” il cylindre: prese un semplice quaderno, lo arrotolò a formare un tubo con un piccolo lume centrale di pochi millimetri e lo appoggiò sul torace di una paziente, molto grassa e corpulenta, nella quale l’auscultazione diretta risultava assai difficoltosa e poco soddisfacente, “scoprii che si sentiva molto meglio e in quel momento intuii che il cylindre poteva diventare uno strumento molto importante per l’esame fisico del paziente” [5]. Poi lo disegnò e lo progettò; sperimentò vari materiali e, infine, optò per il legno come miglior conduttore del suono. Costruì un cylindre tornendolo in legno di cedro: lo stetoscopio era pronto.
Nel 1819 la casa editrice parginina Brosson & Chaudé stampa 3500 copie del Traité de l’auscultation médiate, ou Traité du diagnostic des maladies des poumons et du coeur, fondé principalement sur ce nouveau moyen d’exploration di René-Théophile-Hyacinthe Laënnec. Per due franchi e mezzo in più rispetto al prezzo di copertina di 13 franchi, viene fornito un cylindre, il prototipo dello stetoscopio che il medico francese autore del trattato, abile bricoleur, ha personalmente tornito in 3000 esemplari in legno di cedro: lunghezza 30 centimetri, diametro esterno 4 centimetri, diametro condotto interno 4 millimetri. Il cylindre appartiene alla stessa categoria di apparecchi acustici il cui capostipite è il “cornetto acustico”, un semplice corno usato ormai da due secoli dai deboli di udito per non essere isolati dal mondo esterno. Ma quello di Laennec viene puntato sul torace per ascoltare i suoni provenienti dal mondo interno del malato che l’orecchio non poteva ascoltare in modo agevole.
L’opera in due tomi di 928 pagine era divisa in 49 capitoli di cui 22 sul cuore e 27 sul polmone, 58 referti di autopsie. Le prime tre parti trattano dell’esplorazione della voce, della respirazione e dei suoni patologici del polmone e l’ultima tratta dell’esplorazione cardiaca. Il Traité ebbe un grande successo di diffusione; dopo solo due anni comparve la traduzione in inglese. Delle 160 tesi discusse alla Facoltà di Medicina di Parigi, tra il 1818 e il 1824, 110 riguardavano l’utilizzo dello stetoscopio [6].
Qual è il progetto medico-scientifico esposto da Laennec nel Traité?
“Tre sono gli scopi dei miei studi: 1. identificare sul cadavere un caso patologico in cui i caratteri fisici presentino l’alterazione dell’organo; 2. riconoscerlo sul vivente da segni clinici certi e il più possibile fisici e indipendenti dai sintomi. 3. combattere la malattia.”
Che cosa sente Laennec con lo stetoscopio?
“Il corpo produce solo rumore, non manda messaggi visto che per un messaggio è necessario un codice di significazione e di espressione che il corpo non possiede. La malattia si accontenta di fare rumore ed è già abbastanza” [7]. Tutto il resto lo fa la medicina. Il punto di partenza dell’auscultazione è l’ascolto del rumore del corpo, la voce degli organi: chiudere le orecchie agli altri rumori disturbanti; sentire gli elementi e definire i caratteri che permettono il riconoscimento del messaggio e la loro individuazione; determinare le regole di sostituzione che permettano di decodificare se sono segni di salute o di malattia e cioè distinguere quegli elementi del messaggio che gli consentono di metterli in correlazione con quelli elementi di una malattia o una lesione già definita.
Come “descrive i messaggi” che sente?
“È come il ronfare del gatto quando lo accarezzate; un’ape che ronza dentro un vaso di porcellana; un cane che lappa; una campana che finisce di suonare, il rumore fatto dal cuoio nuovo, il suono del sale che scoppietta in una padella, il tubare di un piccione, un piagnucolio” [8]. È lo sviluppo di una nuova semeiotica uditiva nella quale l’uso della metafora [9] – e non con un lessico scientifico – gli permette di far comprendere senza ambiguità il suo “sentito”, di trasmetterlo agli altri medici “auscultatori” e di passare dal suo sensorio alla trasmissione codificata di un giudizio su una malattia [10].
Laennec conferma il valore diagnostico dei suoni sentiti attraverso lo stetoscopio dimostrando che le lesioni anatomiche ipotizzate con il suono apparivano significativamente nel cadavere. L’innalzamento dei suoni al livello di solida realtà reggeva solo per lo stretto legame tra suono e lesione visibile all’autopsia. Poi sta al medico d trasformare il messaggio in una immagine da poter “vedere”. Dunque, l’orecchio diventa occhio attraverso l’auscultazione [11].
Alla comparsa del nuovo strumento tra i medici ci furono gli entusiasti e i contrari, anche tra i pazienti. Non era facile imparare la nuova tecnica che richiedeva un lungo allenamento e che era più agevole per medici in ospedale che per i colleghi con attività privata: sostenevano questi ultimi che non c’era alcun miglioramento portato per una diagnosi con lo stetoscopio rispetto “a prima”. Ma nel giro di pochi anni lo stetoscopio diventa lo strumento principale del medico, il suo status symbol, e chi non ne fa uso non viene giudicato un buon medico [12].
I pazienti, in particolare i borghesi e i nobili, non vedo di buon occhio le novità e sono scontenti di quella intimità forzata con il medico. Tutti pero dovevano scoprirsi per l’auscultazione, uomini e donne, ricchi e poveri. E tutti dovevano imparare a seguire le istruzioni del medico: come respirare, trattenere il fiato, tossire a comando. I pazienti accettano tutto ciò “perché era giusto” (lo dice il medico e lo fa per il loro bene). Ma si chiedono perché il medico non ascolta più come prima il racconto delle loro sofferenze. Forse non ci crede?
In Storia della medicina e della Sanità in Italia, Giorgio Cosmacini scrive che “da un lato si rinnova ex novo il rapporto medico/paziente: mentre il medico si avvicina sempre più alla realtà fisiopatologica del malato per mezzo dell’apparato tecnologico di cui dispone, questo stesso apparato tecnologico allontana sempre più la realtà antropologica del malato dalla considerazione del medico. Realtà o apparenza? L’epoca del contatto fisico tra i due, del dialogo, del rapporto interumano, trapassa nell’epoca in cui l’antropologia medica del malato cede gradatamente il passo alla tecnologia medica della sua malattia” [13].
Il passaggio “vincente” attraverso lo stetoscopio dall’ascolto della voce narrante del paziente all’ascolto dei rumori del suo corpo ha contribuito a confinare la soggettività del paziente in un uno spazio “non scientifico” – soggettività che da quel momento in poi sarà sempre più “ingombrante” nella relazione medico-paziente. Nello stesso tempo per identificare, decodificare e trasmettere i risultati della sua percezione uditiva senza equivoci di comprensione e per farli diventare “scientifici”, il medico ha solo un linguaggio a disposizione: quello delle similitudini e delle espressioni figurate che attinge alle esperienze quotidiane e comuni a tutti i pazienti rivalutandole. Con l’uso del “come” – come il ronzio di un’ape in un barattolo, il belare di una capra, come un gatto che fa le fusa quando lo accarezzate, il cinguettare degli uccelli – in un certo qual modo si ricompone una nuova vicinanza tra il medico e il paziente. Ed è questa che Laennec utilizzò.
Aberto Chiantaretto
Coordinatore Commissione interna “Medicine non convenzionali”
OMCeO di Torino
Bibliografia
1. Porter R. The rise of physical examination. In: Bynum WF, Porter R. Medicine and the five senses. Cambridge: Cambridge University Press, 1993.
2. Risse B. La Synthèse entre l’anatomie et la clinique. In: Grmek MD. Histoire de la pensée mèdicale en Occident – 2. De la Renaissance aux lumières. Paris: Seuil, 2014.
3. Ackerknecth EH. La médecine ospitalière à Paris (1794-18489). Ann Economies, sociétés, civilisations 1988; 5: 1172-3.
4. Voisin M. Tradition et modernité chez Laennec. Académie des Sciences et Lettres de Montpellier 2013, pp. 67-78.
5. Grmek MD. L’invention de l’auscultation médiate, retouches à un cliché historique. In: Revue du Palais de la Découverte – N° spécial 22, 1981.
6. Boutaric JJ. L’auscultazione mediata: la sua diffusione durante la prima metà del XIX secolo e la sua applicazione ai casi di Balzac e di Chopin (tesi di laurea). Parigi, 2003.
7. Foucault M. Naissance de la clinique. Une archéologie du regard médical. Paris: PUF,1963.
8. Foucault M. Message ou bruit? In: Archivio Foucault, Volume 1, Follia Scrittura Discorso 1961-1970, pp 133-6.
9. Sterne J. Mediate auscultation, the stethoscope, and the “Autopsy of the living”: Medicine’s Acoustic Culture. Journal of Medical Humanities 2001; 22: 115-36.
10. Hamraoui É. La conceptualisation anatomo-clinique de la tuberculose pulmonaire dans l’œuvre de Laennec. C BMH/BCHM / Volume 23:2 2006 / p. 499-539.
11. Reiser SJ. Medicine and the reign of technology. Cambridge: Cambridge University Press,1978.
12. Lachmund J. Between scrutiny and treatment: physical diagnosis and the restructuring of 19th Century medical practice. Soc Health Illn 1998; 20: 779-801.
13. Cosmacini G. Storia della medicina e della Sanità in Italia, p. 354. Bari: Laterza, 2005.
Le riflessioni conclusive di Sandro Spinsanti, per un’integrazione armoniosa dell’etica nella cura
Con il coinvolgimento di genitori, insegnanti e professionisti formati: la nota di Ines Testoni
Il punto di vista di Maurizio Mori, filosofo