L’oblio oncologico per ricominciare
A partire dalla ricerca di parole nuove: a colloquio con Libero Ciuffreda e Sara Bustreo

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A partire dalla ricerca di parole nuove: a colloquio con Libero Ciuffreda e Sara Bustreo
Il disegno di legge 2548 sul diritto all’oblio oncologico permetterebbe alle persone guarite da un tumore di non fornire informazioni sulla loro malattia pregressa in circostanze in cui attualmente è richiesto. Come spiegano Libero Ciuffreda e Sara Bustreo, specialisti in oncologia, la guarigione clinica deve trovare il corrispettivo in una guarigione giuridica, a partire dalla ricerca di nuove parole.
Sara Bustreo Innanzitutto occorre collocare il tema in una cornice più ampia che racchiuda, da una parte, il percorso di riabilitazione del paziente oncologico e dall’altra un rinnovamento del processo comunicativo e della medicina narrativa su cui oggi sempre più si incardina l’oncologia contemporanea. Parlare di oblio ha un significato anche metaforico: significa avere l’opportunità, sia per il paziente sia per l’operatore sanitario, di valorizzare ciò che è stato positivo nel percorso di cura della patologia oncologica che ha portato alla guarigione. La guarigione clinica deve quindi trovare il corrispettivo in una guarigione giuridica. Parlare di oblio vuol dire far sì che il paziente guarito sia riabilitato completamente, cioè che abbia gli stessi diritti e le stesse possibilità delle persone che non si sono mai ammalate. Penso che riconoscere a livello giuridico l’oblio oncologico valorizzi e dia dignità al percorso umano che il paziente compie affrontando la malattia e dunque alla sua storia di guarigione.
Libero Ciuffreda Sensibilizzare la società su questi temi è fondamentale per allontanare lo stigma della patologia oncologia, ma è necessario che avvenga anche un cambiamento sul piano giuridico. La legge sull’oblio consentirebbe alla persona guarita di riappropriarsi completamente della propria vita, allontanando un’esperienza, quella della malattia oncologica, che dovrebbe costituire semplicemente una parentesi nella sua vita. Credo che, in quanto medici, dobbiamo impegnarci per tutelare le biografie di queste persone perché la malattia non limiti le loro prospettive future. Il nostro obiettivo è ridare alla persona che ha vissuto malattia oncologica una vita dove il senso profondo dell’essere si manifesta attraverso la reintegrazione sociale e lavorativa, e all’interno delle relazioni familiari e più intime.
Sara Bustreo Impegnarsi per cambiare prospettiva sulla malattia riguarda quella parte meno “tecnica” del nostro lavoro, ma più vicina alle storie personali dei pazienti. La malattia è una fase della vita in cui non ci si deve sentire soli e ci si deve sentire aiutati; ed è dovere di noi medici essere presenti non solo attraverso i farmaci e le nostre capacità cliniche, diagnostiche e terapeutiche, ma anche attraverso la parola che è altrettanto curativa. La relazione tra paziente e medico dovrebbe essere basata su un rinnovamento sempre più forte dell’uso delle parole in modo che esse possano accompagnare i pazienti durante i percorsi di cura e riabilitazione.
Libero Ciuffreda Sì, l’uso delle parole è un tema centrale: la parola “cancro” rimanda a significati nefasti ed esperienze negative, inoltre non tiene conto di quella che è l’arte medica in generale. Dovremmo dunque innanzitutto ripartire dal significato della parola cancro e avere il coraggio di depotenziarla. Il che implica un cambiamento culturale e una riflessione semantica per cercare nuove definizioni per questa malattia ancora troppo legata a un vecchio e ormai tramontato modo di concepirla. La malattia oncologica è più come pensavano gli antichi medici da Ippocrate a Galeno un qualcosa di morfologico, che cresce e si infiltra. Oggi è sempre più facile capire la malattia e tenerla sotto controllo se non sconfiggerla. Potremmo quindi abbandonare la parola “cancro” in quanto da esso, oggi sempre più spesso, si può rimanere in una condizione di cronicità gestibile oppure guarire. Quindi il primo messaggio che si lega all’oblio è proprio quello di acquisire una nuova definizione di questa malattia. A questo si deve aggiunge un cambio di prospettiva che metta a fuoco la persona e non solo le caratteristiche biologiche della malattia che sono sì fondamentali ma non devono farci dimenticare che non è l’organo che si ammala ma la persona. Questo è quello che l’oncologica contemporanea – ovvero il nostro modo di concepire questa disciplina della medicina sempre più importante – ci porta a dare come contributo per aprire una prospettiva diversa in oncologia così come in altri ambiti di patologie.
Il cambiamento deve essere trasversale all’interno della società per modificare la visione eccessivamente negativa della malattia oncologica e di trovare parole nuove.
Libero Ciuffreda
Libero Ciuffreda Il primo passo sarebbe rivedere il modello didattico e di formazione in modo da insegnare agli operatori sanitari nuove modalità di comunicazione con il paziente e nuove modalità di gestione della comunicazione tra equipe sanitaria e paziente. Ma non sarebbe sufficiente: il cambiamento deve essere trasversale all’interno della società per modificare la visione eccessivamente negativa della malattia oncologica e, sottolineo nuovamente, di trovare parole nuove. Faccio l’esempio del giornale che titola la pagina con “Un brutto male ci ha portato via un angelo”. Questo brutto male sicuramente lo è stato per quel paziente, per quel ragazzo, ma non può essere generalizzato. È una malattia che può essere vinta grazie agli strumenti che abbiamo, strumenti che anche il linguaggio e la cultura possono mettere a disposizione di tutti noi. Una comunicazione più sincera con il paziente, i familiari e con i cittadini tutti può rappresentare un elemento straordinario e prezioso. Per questo ci sarebbe bisogno dei linguisti, dei filosofi, dei bioeticisti, dei giornalisti, degli insegnanti e di chi si occupa di comunicazione.
Sara Bustreo Credo che vi sia una responsabilità sociale.I media e i decisori politici hanno una forte responsabilità nel poter rivoluzionare la percezione e il vissuto normativo delle patologie oncologiche. Allo stesso modo è anche fondamentale un cambiamento all’interno dei percorsi formativi, a partire dall’università, e anche dei corsi di aggiornamento di tutte le figure professionali coinvolte nell’arte della cura: la stessa attenzione che viene riservata agli insegnamenti scientifici dovrebbe essere riposta nell’insegnare l’importanza della comunicazione e dell’incontro tra medico e paziente. L’attenzione si dovrebbe spostare dalla cura al prendersi cura per concentrarsi sull’incontro tra l’operatore e il paziente, ciascuno con il proprio vissuto e la propria esperienza. Insegnare quindi gli strumenti per comunicare e per coltivare la relazione di cura con il paziente per evitare che dipenda esclusivamente dal talento e dalla sensibilità del singolo operatore sanitario. Certamente si sta iniziando a parlare di più di questi aspetti ma resta tanto su cui lavorare. Bisogna capire che ogni volta in cui non riusciamo a comunicare con il paziente stiamo venendo un po’ meno all’arte della cura. Inoltre, servirebbe recuperare il valore del lavoro in équipe per il paziente: lavorando insieme, in modo continuativo, si può trovare una rinascita della nostra ars medica che richiede oggi la somministrazione corretta non solo di farmaci ma anche di parole affinché i nostri pazienti possono sentirsi assistiti, aiutati e maggiormente riabilitati a quella che è la vita.
Lavorando insieme, in modo continuativo, si può trovare una rinascita della nostra ars medica che richiede oggi la somministrazione corretta non solo di farmaci ma anche di parole.
Sara Bustreo
Libero Ciuffreda Concluderei con una sorta di appello. Sostenere questa campagna di sensibilizzazione per allontanare lo stigma dalla malattia oncologica è fondamentale perché consente, alla persona che è guarita, di riappropriarsi pienamente della propria vita. Riprendendo lo slogan della campagna oblio oncologico “Io non sono il mio tumore”, quella persona è sé stessa e ha una propria biografia che trascende la malattia. E lo sguardo deve essere rivolto al futuro. Un futuro pieno e riabilitato sotto tutti i punti di vista.
L’intervista è stata rilasciata a luglio del 2022 quando Libero Ciuffreda, oncologo medico ora in pensione, era direttore dell’Oncologia medica presso il Centro oncologico ematologico Subalpino, dell’Aou Città della Salute e della Scienza di Torino. Nella stessa struttura Sara Bustreo esercita come oncologa medica dedicandosi all’attività oncologica assistenziale e di ricerca clinica nell’ambito delle neoplasie solide, in particolare del tratto gastroenterico.
Le persone guarite da un tumore devono essere libere di guardare al futuro, senza convivere con l’ombra della malattia. Di Sara Bustreo e Libero Ciuffreda
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