L’intenzione a trattare
La maniera consigliata dagli esperti quando il protocollo viene violato. Di Renato Luigi Rossi
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La maniera consigliata dagli esperti quando il protocollo viene violato. Di Renato Luigi Rossi
Gli studi randomizzati e controllati arruolano spesso migliaia di persone e durano anni. Durante questo periodo può succedere che una percentuale più o meno elevata di partecipanti non rispetti il protocollo: alcuni pazienti smettono di assumere il farmaco (non complianti) oppure assumono il farmaco anche se erano assegnati al gruppo placebo (pazienti cross-over) per i più diversi motivi. La mancata compliance può dipendere, per esempio, dal fatto che il trattamento produce degli effetti collaterali che inducono il paziente a smettere l’assunzione. I pazienti cross-over, invece, possono iniziare ad assumere il farmaco perché ritengono che sia loro utile e non intendono più “non sapere” (essendo in cieco) se a loro è toccato il farmaco vero oppure il placebo.
Di fronte a questa violazione del protocollo vi sono essenzialmente tre modi di procedere: l’analisi dell’outcome secondo “l’intention to treat” (intenzione a trattare), “per protocol” oppure “as treated”.
Bisogna però, dei soggetti che hanno violato il protocollo, conoscere il destino, cioè sapere se alla fine dello studio sono andati incontro all’outcome oppure no. Nel caso non si conosca l’esito si parla di pazienti “persi al follow-up o drop-outer”. Questo fenomeno, oltre un certo livello, può creare problemi all’intero trial e merita una trattazione a parte.
Eseguire l’analisi considerando il gruppo a cui i pazienti non complianti erano originariamente randomizzati (analisi secondo l’intenzione a trattare) è la maniera consigliata dagli esperti. Supponiamo per esempio che uno studio abbia arruolato 1000 soggetti, randomizzati a trattamento (n = 500) e a controllo (n = 500). Durante lo studio 50 soggetti del gruppo di trattamento smettono il farmaco mentre altri 50 del gruppo di controllo cominciano ad assumere il farmaco del gruppo trattamento.
L’analisi “intention to treat” prevede di considerare nel gruppo di trattamento sia i 20 decessi verificatisi nel gruppo che ha continuato ad assumere il farmaco sia gli 8 decessi avveratisi nel gruppo che ha violato il protocollo. Allo stesso modo nel gruppo di controllo si conteggiano sia i 25 decessi del gruppo che ha continuato il protocollo sia i 3 decessi del gruppo che lo ha violato. In altre parole si conteggia l’outcome considerando il gruppo al quale il soggetto era stato originariamente randomizzato, indipendentemente dalla terapia assunta. In tal modo viene mantenuta intatta la randomizzazione, vale a dire quella procedura artificiale messa in atto per garantire che i due gruppi fossero confrontabili.
Un altro modo di analizzare i dati viene definito “per protocol”: si considerano solo i soggetti che hanno rispettato il protocollo, quindi solo i 20 decessi su 400 del gruppo trattato e i 25 decessi su 400 del gruppo di controllo.
Infine, un ulteriore modo di analizzare i dati viene definito “as treated”: si conteggiano i decessi in base al trattamento effettuato dai partecipanti senza considerare il gruppo a cui originariamente erano randomizzati.
L’analisi “per protocol” e quella “as treated” sembrano le più logiche e le più appropriate. In realtà non è così. Infatti potrebbe verificarsi che i partecipanti cross-over siano più sani di quelli non complianti. Se si effettua un’analisi “per protocol” dal gruppo di trattamento escono quelli meno sani e dal gruppo di controllo quelli più sani. I due gruppi risultano perciò squilibrati a svantaggio del gruppo placebo. Lo stesso fenomeno si può realizzare se si effettua un’analisi “as treated”: il gruppo che ha assunto il farmaco risulta avvantaggiato perché ha un maggior numero di partecipanti sani. Ovviamente potrebbe verificarsi anche il fenomeno opposto: quelli che violano il protocollo nel gruppo di trattamento sono più malati di quelli che lo violano nel gruppo di controllo. Anche in questo caso, però, verrebbe meno la randomizzazione originaria.
Solo se si effettua un’analisi secondo l’intenzione a trattare si rispetta la randomizzazione iniziale e quindi quel delicato equilibrio che rende confrontabili i bracci di uno studio. Le altre due modalità di analisi rischiano di spezzare questo equilibrio e di creare delle distorsioni che possono rendere inaffidabili i risultati del trial. Generalmente gli autori di uno studio esplicitano le modalità con cui è stata effettuata l’analisi. Talora viene effettuata un’analisi sia secondo l’intenzione a trattare che “per protocol”.
Solo se si effettua un’analisi secondo l’intenzione a trattare si rispetta la randomizzazione iniziale e quindi quel delicato equilibrio che rende confrontabili i bracci di uno studio.
Renato Luigi Rossi
Medico di famiglia
Questo testo è tratto dal libro “Come leggere uno studio clinico” di Renato Luigi Rossi (Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2021). Per gentile concessione dell’editore.
A cura di Demetrio Neri
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