L’informazione e i conflitti di interesse
Il sistema della comunicazione soffre di problemi strutturali legati tra loro. Inoltre manca una “governance” delle relazioni tra pubblico e privato. Da dove ripartire? Di Luca De Fiore

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Il sistema della comunicazione soffre di problemi strutturali legati tra loro. Inoltre manca una “governance” delle relazioni tra pubblico e privato. Da dove ripartire? Di Luca De Fiore
Lo conosciamo come un calciatore del Barcellona, squadra di calcio che negli ultimi anni “ha vinto tutto” (prima di perdere Messi). Ma Gerard Piqué è anche tra i proprietari di una società – la Kosmos – che ha mediato l’accordo tra la Federazione calcio spagnola per portare la Supercoppa di Spagna in Arabia Saudita. 240 milioni di euro in 6 anni, di cui 40 per la Kosmos. Considerati il ruolo di Piqué e i rapporti tra lui e la Federazione, qualcuno ha alzato il sopracciglio parlando di conflitti di interesse. Meglio, di “incompatibilità” che avrebbe dovuto suggerire maggiore prudenza [1].
Un calciatore che non pensa solo al calcio, insomma. È sempre più difficile trovare anche editori che non pensino solo ai libri o alle riviste. Dopo la crisi dell’ultimo decennio del Novecento, l’editoria si è riscoperta strumento per dare risonanza a attività imprenditoriali di tipo diverso [2]. Infatti, nel secolo scorso numerose case editrici hanno svolto un ruolo importante per la crescita culturale dell’Italia e spesso la loro attività era legata al contributo di intellettuali che svolgevano un ruolo politico-culturale attraverso l’impegno professionale: narratori, giornalisti, poeti. Questa funzione esplicitamente pedagogica dell’editoria è stata messa in crisi dall’esaurirsi della stagione politicamente più coinvolgente e conflittuale e, allo stesso tempo, dall’emergere di nuovi modelli di gestione che hanno affidato la conduzione aziendale a dirigenti più attenti ai risultati economici che al lavoro culturale e ai benefici in termini di immagine che questo impegno può garantire. Con l’inizio del nuovo millennio, l’editoria italiana e internazionale ha iniziato a essere dominata da multinazionali proprietarie dei marchi storici dell’editoria e gestite in maniera spesso impersonale.
È sempre più difficile trovare anche editori che non pensino solo ai libri o alle riviste.
L’editoria scientifica si è mossa con un ampio anticipo rispetto a quella di altri settori. Da quando è diventata parte di holding che si occupano di un insieme di attività diverse – dall’informatica al commercio di armi – il ramo “comunicazione” di queste multinazionali ha fatto crescere alcune tra le imprese più redditizie del pianeta. I grandi attori dell’editoria medico scientifica internazionale (Elsevier Relx, Wolter Kluwer, Springer Nature, Wiley, Taylor and Francis) ottengono a fine anno un ritorno degli investimenti che arriva al 140 per cento sul capitale investito. Più di qualsiasi altro tipo di impresa [3,4]. Sbaglieremmo se pensassimo che questi risultati siano dovuti solo alla capacità di pubblicare migliaia di riviste accademiche (ne nascono tre ogni giorno dell’anno, in media) o manuali universitari sempre più innovativi. Queste cose sono importanti, ma contano molto anche i nuovi servizi che queste aziende sono in grado di garantire ai propri partner.
Vediamo alcuni servizi offerti da Elsevier | Pharmapendium guida le aziende farmaceutiche a minimizzare i rischi di fallimento nello sviluppo di nuovi farmaci. Expert lookup è uno strumento per il reclutamento di opinion leader utili per il lancio di prodotti sul mercato di farmaci e dispositivi. Elsevier funding solution supporta i centri di ricerca nell’azione di raccolta fondi mettendo in connessione i diversi attori. Viene da farsi una domanda: in uno scenario così intricato, quali sono le “incompatibilità” di cui qualcuno ha parlato a proposito di Piqué? Esistono “incompatibilità”? I manager delle multinazionali farmaceutiche e delle multinazionali della comunicazione devono rispondere ai propri azionisti, che spesso sono le stesse persone. Il capitalismo etico prevede delle incompatibilità? Con quale rigore nel controllo? Stiamo parlando di aziende molto grandi per fatturato e numero di dipendenti. A livello di management i temi eticamente sensibili – stando ai rapporti annuali – riguardano l’ambiente, i diritti, la sostenibilità, la trasparenza. A livello di gestione editoriale, c’è una gran produzione di codici etici che riguardano direttamente il publishing, spesso promossi e curati da associazioni che da anni si muovono in questi ambiti.
Alcuni codici etici per editori, direttori di riviste e autori | Il Committee on publication ethics offre nelle proprie Core practices una specie di elenco delle malefatte che accadono puntualmente ogni giorno, ovunque, e senza che le cose accennino a migliorare. Passando dai publisher agli editor (direttori delle riviste) la European association of science editors affronta il problema con una checklist che si rivolge agli autori degli articoli. Come a dire, “ragazzi il problema siete voi, fate i bravi”. Per poi arrivare ai giornalisti scientifici, altri importanti attori di questo gioco, ai quali pensa l’Ethical journalism network che sintetizza in cinque punti chiave le questioni etiche che agitano l’ambiente.
Ma se le regole ci sono e se tutti dicono di volerle osservare, perché discutiamo ancora di interessi conflittuali?
Ma se le regole ci sono e se tutti dicono di volerle osservare, perché discutiamo ancora di interessi conflittuali? Molti studi condotti negli ultimi trent’anni hanno provato a dare delle risposte: per qualche industria è più facile promuovere i propri prodotti facendo dei regali ai medici, per qualche medico è difficile o è conveniente accettare dei regali, soprattutto perché quasi sempre si tratta di cose di poco valore… Poi c’è una risposta, ugualmente frequente, che ci spiega che “è impossibile che un bravo medico o ricercatore non abbiano rapporti con le industrie”. Di questa domanda abbiamo discusso decine di volte in convegni, seminari, incontri, dibattiti di ogni tipo. Mai – invece di dichiararsi d’accordo o in disaccordo con quell’affermazione – qualcuno ha posto la domanda chiave: “Siamo contenti di aver costruito un sistema per cui non è impossibile che un medico o un ricercatore abbiano rapporti con le imprese? Era davvero questo che volevamo?”
Difficile rispondere a questa domanda, ma diversi indizi suggeriscono che il sistema della comunicazione soffra ormai di problemi strutturali legati tra loro. Una rapida inchiesta de Il Post spiega come i giornalisti (anche scientifici) siano pagati pochissimo: tra i dieci e i 50 euro ad articolo dal Corriere della sera, Repubblica o la Stampa. Il Fatto e Domani tra i 30 e i 90. Gli istituti di ricerca sono una fonte importante di disinformazione: quattro comunicati stampa su 10 esagerano i risultati degli studi e di conseguenza quattro articoli su cinque pubblicati dai media amplificano questa esagerazione [5, 6]. Un’attività forse ancora più pericolosa di quella dell’industria, che almeno è controllata dal codice di Farmindustria. Ancora: le istituzioni pubbliche investono in informazione risorse residuali, sia quelle nazionali, sia quelle regionali. In questo, la Biblioteca virtuale per la salute della Regione Piemonte rappresenta un’avventura formativa e informativa che ha pochi rivali in Italia.
La questione del conflitto di interessi è stata a lungo dibattuta negli ultimi decenni e continua ad attirare l’attenzione dei professionisti, delle industrie e anche dei legislatori: recentemente la commissione Affari sociali della Camera dei deputati ha approvato all’unanimità e in via definitiva il disegno di legge – già approvato dal Senato – concernente la trasparenza e il diritto alla conoscenza dei rapporti, aventi rilevanza economica o di vantaggio, intercorrenti tra le imprese produttrici (di farmaci, strumenti, apparecchiature, beni e servizi, anche non sanitari) e i soggetti che operano nel settore della salute (comprese le organizzazioni sanitarie), il cosiddetto Sunshine act (vedi la notizia su Quotidiano sanità). Non si deve però perdere di vista la complessità del problema e soprattutto che il conflitto di interessi costituisce una condizione di rischio e non l’accertamento di una colpa (Nerina Dirindin spesso ricorre al paragone con il camminare su un sentiero nella neve che potrebbe nascondere insidie).
La questione del conflitto di interessi è stata a lungo dibattuta negli ultimi decenni e continua ad attirare l’attenzione dei professionisti, delle industrie e anche dei legislatori.
Dobbiamo infine considerare come sia difficile sollecitare una maggiore autonomia e indipendenza dall’industria del medico e del ricercatore quando il mantra dei nostri anni è la partnership tra pubblico e privato o la misurazione di impatto del sistema universitario sembra ormai essere legata più alle domande di brevetto e al numero di spin-off che alla soddisfazione degli studenti. In una sostanziale assenza di “governance” delle relazioni tra pubblico e privato – nella più complessiva mancanza di un governo attivo della ricerca – ricondurre la grande questione delle incompatibilità alla relazione tra il singolo medico e l’industria o di una determinata redazione di un media scientifico a uno sponsor probabilmente non avvicina alla soluzione. I risultati degli studi svolti ci hanno dato ogni informazione necessaria per costruire una strategia nuova, che devono guidare decisioni collettive [7].
Servono meno regole ma fatte insieme da tutti gli attori del sistema.
Tre suggerimenti per ripartire. Il primo: servono meno regole ma fatte insieme da tutti gli attori del sistema. Secondo, fare meno ricerca ma utile, rilevante per i bisogni di salute dei cittadini [8]. Terzo avviare programmi di educazione alla valutazione critica a partire dalla scuola dell’obbligo: ripartiamo prevedendo delle ore di dialogo e di insegnamento nelle scuole primarie e secondarie, coinvolgendo bambini e adolescenti nella costruzione di un sapere scientifico che li protegga dalle false verità e dall’informazione condizionata [9].
Luca De Fiore
Direttore Il Pensiero Scientifico Editore
Past president Associazione Alessandro Liberati
Bibliografia
1. Pique’s businesses represent potential conflict of interest. Marca, 18 aprile 2022. Ultimo accesso 30 giugno 2022.
2. De Fiore L. Il ruolo formativo dell’editoria. Riv Sper Freniatria 2022; 1: 153-68.
3. Hagve M. The money behind academic publishing. Tidsskriftet, 20 agosto 2020. Ultimo accesso 30 giugno 2022.
4. Larivière V, Haustein S, Mongeon P. The oligopoly of academic publishers in the digital era. PloS One 2015; 10: e0127502.
5. Sumner P, Vivian-Griffiths S, Boivin J, et al. The association between exaggeration in health related science news and academic press releases: retrospective observational study. Bmj 2014; 349.
6. Sumner P, Vivian-Griffiths S, Boivin J, et al. Exaggerations and caveats in press releases and health-related science news. PloS One 2016; 11: e0168217.
7. Dirindin N, De Fiore L, Rivoiro C. Conflitti di interesse e salute. Bologna: Il Mulino, 2018.
8. Glasziou P, Chalmers I. Research waste is still a scandal—an essay by Paul Glasziou and Iain Chalmers BMJ 2018; 363 : k4645.
9. Rasoini R, Formoso G, Alderighi C. La comunicazione della ricerca scientifica: informare (e formare) generando fiducia. Recenti Prog Med 2022; 113: 151-6.
Questo articolo è una sintesi della relazione di Luca De Fiore su conflitti di interesse e informazione, al convegno dell’OMCeO di Torino “Conflitti di interesse in sanità” che si è tenuto a Torino il 7 maggio 2022.
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