A cura di Matteo Cresti e Vera Tripodi
Ad oggi è l’acronimo più inclusivo per indicare la comunità delle persone non eterosessuali e di genere non conforme.
È l’acronimo di: lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer, intersessuali, asessuati, pansessuali (cioè chi riferisce di provare interesse erotico ed emotivo a prescindere dal sesso e dal genere di questi; secondo altri la P sta invece per poliamorosi, ossia coloro che intrattengono più di una relazione o sperimentano più sentimenti amorosi per persone diverse allo stesso momento), kinky (chi prova interesse o sperimenta pratiche sessuali non convenzionali, come sadomaso e giochi di ruolo). È la forma più inclusiva della più frequente sigla Lgbtq+, dove il simbolo “+” sta a indicare l’intenzione di tenere insieme più gruppi sessuali. Vi sono anche altre varianti dell’acronimo in cui l’ordine delle lettere cambia. Le versioni più comuni sono Lgbt e Glbt. A oggi, non esiste un unico termine corretto per riferirsi alla comunità gay, lesbica, bisessuale e transgender. Né vi è un modello standard dell’acronimo convenzionalmente adottato per l’ordine delle lettere che compongono la sigla. Oltre alle versioni in cui diversa è solo la posizione delle lettere “l” o “g”, esistono varianti meno comuni dell’acronimo in cui anche le altre lettere menzionate appaiono in posizioni diverse. Le varianti dell’ordine delle lettere sono legate alle preferenze individuali o alle scelte dei singoli gruppi sessuali.
L’acronimo Lgbtq+ rappresenta oggi la più ampia comunità gay. Negli anni Quaranta e Cinquanta, il termine inglese gay veniva usato per riferirsi agli omosessuali sia maschi sia femmine. Su spinta del movimento femminista, negli anni Sessanta, il termine lesbica fu adottato per differenziare le donne omosessuali dagli uomini omosessuali e per attirare una maggiore attenzione sui problemi vissuti dalle donne all’interno della comunità gay. Per decenni, bisessuali e transgender hanno combattuto per essere raggruppati sotto i termini gay e lesbica. Agli inizi del 2000, le organizzazioni in sostegno delle persone omosessuali hanno modificato la loro terminologia al fine di includere la comunità Glbt. Negli anni successivi, l’abbreviazione fu nuovamente cambiata in Lgbt per concedere alle lesbiche una maggiore visibilità.
A oggi la situazione dei diritti delle persone Lgbtq+ è assai variegata. In alcuni Paesi occidentali una quasi sostanziale parità è stata raggiunta ma in molti altri Paesi non si riconosce loro alcuna protezione o diritto.
La storia del movimento Lgbtq+ e strettamente legata ai moti di Stonewall, una serie di violenti scontri che ebbero inizio il 27 giugno del 1969 fra gruppi di omosessuali e la polizia a New York. Questa data è oggi considerata simbolicamente la nascita del movimento di liberazione gay. Il 28 giugno è stato anche scelto come “Giornata mondiale dell’orgoglio Lgbt” o Gay pride. La storia del movimento di liberazione sessuale può essere divisa in tre tappe principali. La prima, subito dopo la seconda guerra mondiale, sotto la spinta della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, vede la nascita di associazioni che rivendicano l’uguaglianza anche sulla base dell’orientamentosessuale. In molte nazioni, infatti, erano in vigore leggi che proibivano gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso (in Texas queste norme sono state abolite solo nel 2003).
L’obiettivo di questi primi movimenti era quello di far accettare l’omosessualità attraverso la conformazione al ruolo di genere prescritto dalla moralità convenzionale. La seconda fase si ha negli anni Sessanta, quando fioriscono uno stuolo di locali semi-clandestini in cui prende vita quella sub-cultura gay che sono soliti raccontare film e libri: sesso libero, prostituzione, drag queen e travestiti. I movimenti che sorgono in questi anni non cercano l’assimilazione con la società che li circonda e con la sua moralità bensì propongono un suo totale capovolgimento. Con gli anni Ottanta il movimento ha mutato ancora il suo volto, passando dalla protesta politica all’attivismo sanitario (la prevenzione e cura per le malattie sessualmente trasmissibili, come l’Hiv) e all’attività lobbistica per l’ottenimento dei diritti.
A oggi la situazione dei diritti delle persone Lgbtq+ è assai variegata. Sebbene nei Paesi occidentali una quasi sostanziale parità sia stata raggiunta (matrimoni e unioni civili, possibilità del cambio legale di sesso, leggi antidiscriminazione e così via), in molti altri Paesi, soprattutto africani e asiatici, non solo non si riconosce loro alcuna protezione o diritto, ma spesso sono ancora in vigore leggi che puniscono la condotta omosessuale con il carcere o la pena di morte. Permangono inoltre anche nei Paesi occidentali stereotipi, resistenze e gruppi d’odio che limitano l’effettiva libertà delle persone di poter esprimere la propria sessualità e identità di genere.
Matteo Cresti Dottore di ricerca in Filosofia morale presso il consorzio di dottorato Fi. N.O. – Università degli studi di Torino
Vera Tripodi Dipartimento di Filosofia “Piero Martinetti” dell’Università degli studi di Milano La Statale
Questo testo è tratto dal libro Le parole della bioeticaa cura di Maria Teresa Busca e Elena Nave (Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2021). Per gentile concessione dell’editore.