L’etica del medico nel rapporto tra ambiente e salute
Secondo Giuseppe Miserotti e Gianfranco Porcile occorre un contratto sociale tra il cittadino e il medico

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Secondo Giuseppe Miserotti e Gianfranco Porcile occorre un contratto sociale tra il cittadino e il medico
Foto di Life Once Wild Live / CC BY
Promuovere e tutelare la salute dei cittadini è un processo complesso che dipende da molti fattori. Le evidenze della letteratura più accreditata evidenziano come l’impatto su di essa esercitato dai servizi sanitari sia piuttosto modesto. Da oltre un ventennio si parla di determinanti di salute, con il ridimensionamento di alcuni di questi tradizionalmente ritenuti fino a poco tempo fa di importanza prevalente come sesso, età, fattori costituzionali. Oggi sappiamo che gli stili di vita e gli aspetti socioeconomici assumono un valore prevalente e assai più condizionante la salute e l’aspettativa di vita. Gli studi più recenti di diverse agenzie, tra cui l’Organizzazione mondiale della sanità, stimano che oltre un quarto delle malattie e dei decessi siano dovuti a fattori ambiente-correlati e più di un terzo delle patologie dell’età pediatrica sia condizionato dalle stesse cause [1].
La biologia molecolare con il suo enorme sviluppo e in particolare gli studi sul genoma hanno conferito un duro colpo al “dogma centrale” della genetica evidenziando come l’assioma di un danno ancorato a un modello lineare, statico e passivo, non corrisponda più alla realtà dei fatti. È emersa l’evidenza di un genoma molto più complesso, interattivo, dinamico, reattivo e condizionato in modo prevalente dal mondo esterno e dall’ambiente che ci circonda. Intendiamoci: già Ippocrate nella sua pratica medica, con grande intuizione, aveva notato gli effetti dell’ambiente sulla salute. Ma solo nel Ventesimo secolo si è posta la questione “ecologica” come elemento fondamentale per la conservazione di un buono stato di salute.
Sono decenni che si consumano veri e propri delitti ecologici con conseguenze sugli ecosistemi e sulla biodiversità: queste conseguenze (solo in parte conosciute e studiate) perdureranno per tempi lunghissimi. Abbiamo una eco-biosfera globalmente deturpata dall’umana insipienza. Le catene alimentari sono inquinate in modo preoccupante. Stiamo assistendo a deforestazione, desertificazione, cementificazione di territori sempre più estesi e sottratti alla loro vocazione primordiale naturale o all’agricoltura.
Aria inquinata e salute | Non passa giorno senza che non vi sia testimonianza di gravi danni agli ecosistemi. Si pensi al continuo susseguirsi di incendi di rifiuti pericolosi (spesso di carattere doloso), all’emissione di sostanze chimiche nei terreni e nelle acque (ivi compresi pesticidi, farmaci e loro metaboliti, plastiche e microplastiche). L’inquinamento atmosferico ha ampie responsabilità, in particolare in alcune aree del nostro Paese come la pianura Padana. La rilevante mole di studi condotti su scala mondiale riguardo alla correlazione fra inquinamento atmosferico e cancro al polmone evidenzia come per ogni 10 μg/m3 di pm 2,5 si registri un incremento tra l’8 per cento e il 14 per cento dei tumori del polmone. Ma le ricadute dell’inquinamento dell’aria riguardano anche l’aumento dell’incidenza di malattie cardiovascolari (ictus, infarti, aritmie), endocrine (insulino-resistenza e diabete) e di neurodegenerative (demenza, disturbi del neurosviluppo, deficit intellettivi).
Come ci ricorda uno studio di Lancet del 2017 esiste un problema di “salute planetaria” che riguarda ogni cittadino, nell’ambito delle personali decisioni della quotidianità. Ogni scelta individuale che riguarda i consumi (dal cibo, alla mobilità, al vestiario, alla scelta del tempo libero) produce un piccolo impatto, se valutata singolarmente, ma può avere un impatto collettivo enorme. La globalizzazione caratterizzata da rapidi e imprevedibili flussi di mutamento economico e sociale condiziona ulteriormente le interazioni complesse di un mondo in movimento continuo. Il cambiamento climatico, oltre ad essere causa diretta di mortalità per eventi estremi, diventa il motore principale per flussi migratori di cui è difficile prevedere l’evoluzione. Mutamenti così importanti, per certi versi esplosivi sia nel divenire che nelle conseguenze sanitarie, implicano un irrinunciabile adeguamento sia da parte dei decisori politici che da parte del mondo sanitario.
I medici devono sapere rispondere alle nuove necessità. Una parte della categoria, seppur minoritaria, mossa da sensibilità o curiosità intellettuale o – più comunemente ‒ per una riflessione approfondita sull’incremento dei casi di tumore o di patologie croniche in età sempre più precoci, ha compreso l’importanza dell’ambiente come determinante di salute.
Per la maggioranza dei medici le scarse nozioni sui rapporti tra medicina e ambiente sono relegate ai ricordi del corso di Igiene o di Medicina del lavoro durante gli studi universitari. Pertanto oggi appare più che mai stringente la necessità di uno specifico curriculum formativo di medicina ambientale, che sappia collegare una visione essenziale dell’uomo come sistema ecobiologico alle inevitabili ripercussioni sulla salute, provocate dall’alterazione del rapporto con l’ambiente che lo circonda. Esiste dunque la necessità di un rapporto istituzionale collaborativo tra gli Ordini professionali, il mondo universitario e le associazioni scientifiche che s’interessano al tema, per definire un curriculum di studi davvero indirizzato alla pratica professionale medica.
Già da molto tempo è superato il modello assistenziale biomedico, lineare e razionalista, prevalentemente tecnico-scientifico. Nel 1977, quindi ben 45 anni fa, George L. Engel proponeva con forza il cosiddetto modello “bio-psico-sociale”, che allargava gli orizzonti del medico agli aspetti affettivi, psicologici, spirituali fino a tenere in considerazione il contesto sociale in cui viveva il suo assistito [2].
Oggi questo modello è giustamente molto diffuso, ma ormai non è più sufficiente: è necessario un nuovo modello che potremmo chiamare “ecologico”, che tenga in considerazione il fatto che sia il medico sia il cittadino sano/malato si trovano ad essere parte integrante dello stesso “ecosistema”.
Ma la vera sfida si gioca sul terreno etico.
Recentemente un importante articolo è comparso su una rivista di etica medica del prestigioso BMJ Group, dove emerge chiaramente che la bioetica non deve far riferimento soltanto alla salute del singolo essere umano, ma anche a quella collettivo-sociale e ambientale (inclusi altri animali, piante e generazioni future) [3]. L’articolo fa ampio riferimento alle posizioni di Van Resselaer Potter (1911-2001), che è il “padre” della bioetica.
Ma, secondo noi, un altro insegnamento va tenuto ben presente: quello del filosofo bioeticista Hans Jonas (1903-1993). Ne Il principio responsabilità, edito nel 1979, Hans Jonas afferma con forza la necessità di applicare il principio di responsabilità ad ogni gesto dell’uomo: quest’ultimo “deve” prendere in considerazione le conseguenze future delle sue scelte e dei suoi atti. Egli dimostra la necessità di una nuova etica: in particolare afferma la necessità di una nuova e più forte unione tra uomo e la natura. Il suo nuovo imperativo categorico si discosta dall’insegnamento di Karl Kant per affermare: “Agisci in modo che le conseguenze delle tue azioni siano compatibili con la permanenza della vita sulla Terra”. Si tratta del principio di accountability, cioè il dover rendere conto delle conseguenze delle nostre scelte, in particolare nei confronti dell’ambiente e dei posteri.
E questo monito vale per tutti, medici inclusi [4].
“Esiste un divario tra le nostre capacità tecnologiche e la nostra capacità di esercitare una responsabilità morale nei confronti di altre forme di vita e delle generazioni future.”
E ancora:
“È lo smisurato potere che ci siamo dati, su noi stessi e sull’ambiente, ad imporci di sapere cosa stiamo facendo e di scegliere in quale direzione vogliamo inoltrarci.” (principio di precauzione)
Queste due profonde riflessioni di Hans Jonas sembrano cogliere con accorata sensibilità ed efficacia il tema di una intensa riflessione che, se da una parte dovrebbe valere sul piano politico, deve ancor più essere tenuta in considerazione dal medico, che deve riferirsi ai valori morali del suo agire.
Il motto della Associazione Isde – Medici per l’ambiente Italia recita per l’appunto: “L’uomo è responsabile per l’Ambiente. Il medico lo è due volte”. Ma questo non vuol dire che l’interesse del nostro singolo assistito è quello della tutela dell’ambiente siano in conflitto. Anzi.
La FNOMCeO nel codice deontologico del 2006 ha introdotto un importantissimo articolo destinato ad avere fondamentali ripercussioni sull’agire professionale. Si riportano qui le successive modificazioni dell’articolo 5, apportate nell’edizione del 2014:
Promozione della salute, ambiente e salute globale
Il medico, nel considerare l’ambiente di vita e di lavoro e i livelli di istruzione e di equità sociale quali determinanti fondamentali della salute individuale e collettiva, collabora all’attuazione di idonee politiche educative, di prevenzione e di contrasto alle disuguaglianze alla salute e promuove l’adozione di stili di vita salubri, informando sui principali fattori di rischio. Il medico, sulla base delle conoscenze disponibili, si adopera per una pertinente comunicazione sull’esposizione e sulla vulnerabilità a fattori di rischio ambientale e favorisce un utilizzo appropriato delle risorse naturali, per un ecosistema equilibrato e vivibile anche dalle future generazioni.
Tutto ciò non deve farci assolutamente pensare che l’interesse del nostro singolo assistito è quello della tutela dell’ambiente siano in conflitto. Anzi.
Quando noi giochiamo a scacchi, per vincere dobbiamo fare scacco matto; non importa quanti pezzi dobbiamo sacrificare per raggiungere questo risultato. La odierna Medicina deve raggiungere ugualmente lo scacco matto, cioè la guarigione o il massimo risultato terapeutico possibile: nessuno sconto, nessuna rinuncia. L’obiettivo è e rimane quello. Ma deve cercare anche di raggiungerlo con il minor dispendio di risorse (farmaceutiche, tecnologiche, di tempo, di personale, ecc.).
Il “meglio un esame in più che uno in meno” non è più valido. Oggi è chiaro che il nostro assistito ha diritto a tutte le prestazioni (diagnostiche e terapeutiche) che sono necessarie ma non una di più. “Fare di più non vuol dire fare meglio” è lo slogan di un progetto di Slow Medicine che è parte integrante del progetto internazionale Choosing Wisely, sotto il nome di Choosing Wisely Italy (www.slowmedicine.it).
Uno dei valori cui deve richiamarsi la professione del medico è quello della appropriatezza: non è assolutamente un modo surrettizio per risparmiare, piuttosto un modello assistenziale che implementa la comunicazione nel rapporto medico-paziente per decidere insieme quale scelta operare all’interno delle tante prestazioni che sono state catalogate come “a rischio di inappropriatezza”. Evitando prestazioni che potrebbero anche avere effetti collaterali negativi nei riguardi dell’assistito.
In conclusione, non è più pensabile che la medicina del futuro si limiti a una scienza indirizzata prevalentemente in senso diagnostico e curativo, con costi progressivamente crescenti e tendenzialmente insostenibili anche per l’eccessivo e a volte acritico ricorso alla medicina ipertecnologica. Ricordiamo con occhio critico il frequente e disinvolto abuso di esami radiologici, che provocano sia un impatto biologico sia ambientale non trascurabile. Si deve invece andare nella direzione della prevenzione primaria ambientale come elemento di etica per il professionista medico, sempre sospeso tra la politica del contenimento dei costi e la legittima rivendicazione del ruolo professionale che gli compete, rinsaldando l’alleanza con il cittadino.
È un dovere di tipo etico: il medico deve adottare anche il principio di responsabilità.
Al medico è dunque richiesta la responsabilità di intercettare circostanze di rischio ambientale prima che se ne manifestino le conseguenze. Ha altresì il compito di rendere consapevoli sull’importanza di tutelare la vita prenatale e dell’infanzia e di difenderla da esposizioni tossiche e inquinanti. È un dovere di tipo etico: il medico deve adottare anche il principio di responsabilità.
Lo sviluppo tecnologico ha migliorato la qualità̀ della vita, ma ha anche cagionato danni al pianeta generando preoccupazioni, dubbi e diffidenze per i gravi rischi alla salute e all’ambiente (effetto serra, riduzione della biodiversità, emissione di sostanze inquinanti, tossiche, radioattive, ecc.). Oggi più di ieri, per le sempre più evidenti contraddizioni sociali tra le quali emerge una preoccupante iniquità anche in campo sanitario, occorre un contratto sociale tra il cittadino e il medico, al quale è richiesto un ulteriore impegno che possa contribuire alla salute e al benessere dell’intera comunità.
Giuseppe Miserotti e Gianfranco Porcile
Isde – Italia
Bibliografia
1. Prüss-Ustün A, Wolf J, Corvalán C, et al. Preventing disease through healthy environment A globalassessment of the burden of disease from environmental risks. Geneve: World Health Organization, 2016.
2. Engel GL. The need for a new medical model. A challenge for biomedicine. Science, 1977; 196: 129-36.
3. Samuel G, Richie C. Reimagining research ethics to include environmental sustainability: a principled approach, including a case study of data-driven health research. Med Ethics 2022 ;0: 1–6.
4. Jonas H. Il principio responsabilità: un’etica per la civiltà tecnologica. A cura di Portinaro PP. Torino: Einaudi, 1990.
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