L’etica al letto del malato: una presenza in diverse modalità
I diversi modi in cui l’etica si può presentare contano, la riflessione di Sandro Spinsanti

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I diversi modi in cui l’etica si può presentare contano, la riflessione di Sandro Spinsanti
Come si presenta e si pratica l’etica nella cura? Come viene accolta dall’operatore sanitario? Che cosa differenzia l’etica applicata in modalità ideologica da quella che rientra nella consulenza nella e per la pratica clinica? A queste e ad altre domande risponde Sandro Spinsanti, esperto di bioetica e pioniere in Italia delle medical humanities, in questa raccolta di riflessioni con “l’ambizione di suggerire un cambio di Gestalt, invertendo il rapporto tra figura e sfondo e mettendo a fuoco non tanto che cosa afferma l’etica, ma il modo in cui lo propone”.
Qui la prima puntata.
Di che cosa parliamo quando viene invocata l’etica nel contesto di cura e, più in generale, in ambito biomedico? La domanda suona superflua: si tratta di temi esplorati in lungo e in largo, talvolta anche in profondità. L’etica è una presenza obbligata sullo scenario della cura. Da sempre; ma con maggiore vivacità da quando si è qualificata come bioetica e ha affrontato in modo innovativo le questioni relative al nascere e al morire, e in generale al potere che i progressi della scienza e della tecnologia hanno messo in mano ai cittadini nell’ambito della cura, scompaginando i rapporti tradizionali in medicina. Possiamo dare quindi per scontato che siamo consapevoli dei contenuti associati alla questione del profilo che spetta alla buona cura e di come distinguerla da quella di segno negativo. L’attenzione tuttavia è in genere concentrata su che cosa evochi l’etica in medicina, ovvero sull’oggetto della riflessione etica, piuttosto che su come questa si presenti. Poco o nessun interesse è rivolto alle modalità con cui la riflessione etica viene esercitata. Ci siamo focalizzati su che cosa è accettabile e che cosa invece andrebbe rifiutato nella cura; il modo in cui l’etica interviene è scivolato invece sullo sfondo.
Ci siamo focalizzati su che cosa è accettabile e che cosa invece andrebbe rifiutato nella cura; il modo in cui l’etica interviene è scivolato invece sullo sfondo.
L’interesse spostato sul modo in cui l’etica si presenta nello scenario della cura fa emergere un ventaglio di pratiche molto differenziate. L’accoglienza dell’etica sia da parte dei professionisti della salute, sia da coloro che fanno ricorso ai loro servizi dipende in modo determinante dalle modalità in cui si presenta, più che dai contenuti stessi. La riflessione qui proposta ha l’ambizione di suggerire un cambio di Gestalt, invertendo il rapporto tra figura e sfondo e mettendo a fuoco non tanto che cosa afferma l’etica, ma il modo in cui lo propone.
Le modalità sono molteplici e non di rado si sovrappongono. Per chiarezza, le passeremo in rassegna in modo differenziato. La finalità è quella di contrastare una proposta dell’etica come estranea al mondo della cura e di farla emergere dall’interno in modo “gentile”. La gentilezza in ambito sanitario non la chiediamo solo al diritto: non meno importante è che caratterizzi l’etica.
Menzioni l’etica e l’associazione mentale più spontanea è quella con l’etica vestita di ideologia. Il termine è plurivalente: ci trasporta sia nei territori auspicabili nei quali l’ideologia si identifica con un deposito di valori capaci di dare un senso a una comunità, sia in braccio al fanatismo, dove l’ideologia equivale a una dottrina astratta che acceca e induce a falsare la realtà. Ridotta in termini colloquiali, l’etica che si presenta in modalità ideologica corrisponde alla convinzione soggettiva di sapere che cosa sia auspicabile e che cosa sia riprovevole nella cura. La convinzione può reggersi su fondamenti religiosi – venendo piuttosto a corrispondere a una morale confessionale – o su argomentazioni razionali.
L’etica che si presenta in modalità ideologica corrisponde alla convinzione soggettiva di sapere che cosa sia auspicabile e che cosa sia riprovevole nella cura.
Soprattutto la diffusione del dibattito sulla bioetica ci ha reso familiare una modalità argomentativa che, pur appellandosi alla razionalità, lascia intravvedere motivazioni religiose. Queste possono richiamarsi al rispetto della natura umana (come quando l’omosessualità viene condannata come “comportamento innaturale”), o alle esigenze della persona (tanto da dar origine a una bioetica autoqualificatasi come personalismo), o alla difesa della dignità umana. Nel contesto cattolico, per esempio, l’enciclica Donum vitae, del 1987, ha utilizzato quest’ultima argomentazione per prendere posizione sul trattamento degli embrioni; ha fatto appello alla dignità anche per opporsi ai movimenti che, partendo dalla nozione di qualità della vita, sostengono che gli individui possono disporre della propria vita: è il caso di chi è favorevole a una “morte degna” e difende il suicidio medicalmente assistito.
È interessante notare che l’argomento della dignità della vita umana può servire contemporaneamente sia a promuovere un determinato comportamento, sia a giustificare il suo contrario; può essere invocato sia a favore di una concezione autonomista per giustificare un’azione che metta fine a una vita che il soggetto giudichi indegna di essere vissuta, sia per fondare l’interdizione, sempre in nome della dignità umana, a disporre della vita, anche nelle sue primissime fasi embrionali. A illustrare fin dove possa condurre l’appello alla dignità ci si può riferire al programma proclamato dal Ministero per la repressione del vizio e la promozione della virtù nella repubblica fondamentalista dell’Iran – come già nell’Afganistan talebano – dove la repressione dei comportamenti indesiderati delle donne malvestite è stata giustificata trionfalisticamente: “Vogliamo che le nostre sorelle vivano con dignità!”.
La questione fondamentale rimane chi definisce la dignità di qualcuno: se la persona stessa o chi pretende di avere potere e autorità su di essa, e quindi di difenderne la dignità a suo beneficio.
In generale siamo più attrezzati a riconoscere il peso dell’ideologia nelle posizioni altrui. Basti pensare all’ideologia teocratica-maschilista dell’Islam fondamentalista, che abbiamo evocato. Più difficile discernere l’ideologia nelle prese di posizione che circolano nel proprio ambito culturale.
Un aiuto è offerto dal modo in cui si cerca di tradurre in pratica le convinzioni etiche. Nei casi estremi l’adesione a un’etica ideologica genera fanatismo e sconfina nella violenza. Basti pensare ai sostenitori dei movimenti pro-life e antiabortisti che negli Stati Uniti organizzano attentati alle cliniche dove vengono fatte interruzioni di gravidanza e si spingono fino all’omicidio di medici che assistono le donne in queste circostanze. Anche senza raggiungere estremi di questo genere – e tanto meno quello dei regimi teocratici islamici nei quali si rischia di venire impiccati “per inimicizia con Dio” – i sostenitori dell’etica ideologica possono anche proporla in modo irenico e dichiararsi disposti a discutere con chi ha una diversa visione; purché alla fine la conclusione sia sovrapponibile alle loro convinzioni. Perché le posizioni si reggono su principi che, esplicitamente o meno, sono considerati non negoziabili.
Quando questa modalità prevale, abbiamo l’impressione che l’etica percorre il territorio della cura calzando scarponi chiodati, che lasciano il segno dove camminano.
Ciò vale per le posizioni ideologiche di ispirazioni religiosa come per quelle che si nutrono di laicità. I principi fanno sentire la loro presenza minacciosa soprattutto nell’ambito delle scelte riproduttive, dei limiti alle cure e delle decisioni di fine vita. Ma la rilevanza di principi diversi e plurali, con i quali si deve confrontare la pratica terapeutica, anche la più quotidiana, veicola la possibilità di frequenti conflitti, a seconda della priorità attribuita all’uno o all’altro. Quando questa modalità prevale, abbiamo l’impressione che l’etica percorre il territorio della cura calzando scarponi chiodati, che lasciano il segno dove camminano.
Naturalmente il pluralismo etico è una condizione in cui deve vivere ogni società democratica e aperta. Scoprire “la verità degli altri”, secondo la formulazione di Giancarlo Bosetti [1], può anche essere esaltante; in ambito sanitario così come in ogni altro settore della vita sociale. Non tutti hanno questa disposizione interiore. C’è chi aderisce totalmente alla propria visione ed evita i confronti, con la stessa determinazione con cui non di rado si cambia marciapiede per scansare l’incontro non gradito con qualche membro di una setta che intende indottrinarci. Tuttavia anche quando si è disposti all’ascolto e al dialogo e si eviti lo scontro di stampo fondamentalistico, la modalità ideologica di confrontarsi con l’etica fa continuamente capolino, anche nelle forme più soft della contrapposizione.
Come ha reagito il mondo sanitario al diluvio di “giusto” e “sbagliato” che si è riversato sulle pratiche della biomedicina, comprese le innumerevoli sfumature prodotte dalla riflessione bioetica? Tutto sommato, la seduzione del dibattito ideologico non ha conquistato la maggior parte dei professionisti sanitari. Tendenzialmente la si rimanda agli specialisti, filosofi o bioeticisti. I tentativi di introdurre l’etica nella formazione di base e in quella continua sono stati recepiti come un peso necessario, più che come un’opportunità. Più felice è stata la ricezione quando l’etica è stata presentata in connubio con il diritto e con la medicina legale, suggerendo la prevalenza della “medicina sicura” rispetto alle pratiche richieste dalla cultura del nostro tempo.
Sandro Spinsanti
Fondatore e direttore Istituto Giano per le medical humanities
Bibliografia
La altre due puntate
– L’etica in medicina: tra comportamenti leciti e indirizzi di scelte (seconda parte)
– Le diverse facce dell’etica nella cura, dal counseling all’esortazione (terza parte)
Esplorare la frontiera della morte con empatia, la nota di Ines Testoni
L'ospedale, Il medico e il paziente davanti a decisioni complesse. Di Sandro Spinsanti
Quando il Dottor Laennec inventò lo stetoscopio.
Di Alberto Chiantaretto