Si può negare il diritto di cura a chi rifiuta di vaccinarsi? È giusto far pagare loro i costi delle cure? Tra i pochi, pochissimi effetti positivi della pandemia di covid-19 c’è quello di aver costretto l’opinione pubblica a riflettere sull’importanza di un diritto, quello alla salute e alle cure, che nei Paesi più sviluppati viene dato quasi per scontato.
Se il dibattito tra favorevoli al vaccino e antivaccinisti risulta privo di qualsiasi significato perché vede contrapporsi posizioni supportate da dati scientifici incontrovertibili a tesi ideologiche e irrazionali, quello in merito all’opportunità di garantire le stesse cure ai vaccinati e ai non vaccinati è decisamente più interessante. Si tratta infatti di una discussione che interessa la medicina, l’etica, il diritto, definendo i princìpi che regolano le collettività, rivelandone i valori più profondi.
I non vaccinati continuano a costituire in modo sproporzionato la maggior parte dei casi gravi e in terapia intensiva e mettono a dura prova il nostro sistema sanitario.
Ong Ye Kung, ministro della sanità di Singapore
A Singapore, che vanta uno dei sistemi sanitari più efficienti al mondo, dall’8 dicembre scorso chi non si vaccina per scelta dovrà pagarsi le cure in caso di ospedalizzazione. Il ministro della sanità del Paese asiatico ha annunciato il provvedimento con queste parole: “I non vaccinati continuano a costituire in modo sproporzionato la maggior parte dei casi gravi e in terapia intensiva e mettono a dura prova il nostro sistema sanitario”, affermando che era necessario “dare loro un segnale”. La notizia ha fatto il giro del mondo e ad oggi lo Stato asiatico è l’unico ad aver adottato questa politica sanitaria.
Solidarietà sociale e ingiuste disparità
Ma la discussione è in corso in diversi Paesi europei, negli Stati Uniti e nel Regno Unito, e non riguarda soltanto l’opportunità di garantire la gratuità delle cure per i no vax, ma anche le decisioni da prendere nel caso in cui le terapie intensive risultassero sature e si dovesse ricorre alla drammatica scelta tra chi curare e chi no. “È possibile stabilire che chi si è vaccinato abbia la priorità rispetto a chi non lo ha fatto?”. Posta sotto forma di proposta concreta, sfogo o provocazione, questa è la domanda che si pongono sempre più spesso politici e medici ad ogni latitudine.
In Germania, per esempio, il presidente del Bundesland della Turingia Bodo Ramelow ha ventilato l’ipotesi di non curare più i no vax nel caso in cui si dovesse arrivare alla saturazione delle strutture ospedaliere; mentre in Francia il direttore sanitario degli Ospedali di Parigi Martin Hirsch, durante un dibattito televisivo, ha espresso la propria frustrazione nel vedere i costi della sanità lievitare “per colpa del comportamento irresponsabile di chi mette a rischio la solidarietà sociale”. “Quando è disponibile uno strumento di prevenzione gratuita – ha domandato Hirsch – riconosciuto dalla comunità scientifica come qualcosa di utile, e qualcuno vi rinuncia, è giusto che questa rinuncia non debba portare nessuna conseguenza?”. “Noi offriamo le cure, ma perché non dovrebbero esserci conseguenze per chi rifiuta il vaccino, dal momento che a causa di questo comportamento ci saranno conseguenze per quelli che invece si sono vaccinati e che avremo difficoltà a curare?”. C’è sicuramente frustrazione, forse anche rabbia, nelle parole di chi si ritrova a dover fare sforzi straordinari per curare – e troppo spesso veder morire – persone che si sarebbero potute salvare grazie a un semplice vaccino. In Europa, dove il concetto di welfare pubblico è nato ed è più forte, questi sfoghi, per quanto comprensibili, non si sono tradotti in provvedimenti concreti.
Anche negli Stati Uniti, dove il diritto all’assistenza sanitaria non è su base universale, il dibattito è in corso. Ma, interrogati dalla stampa, importanti professionisti della salute si sono detti contrari ad adottare priorità e trattamenti diversi per chi ha il vaccino e chi si è rifiutato di farlo.
Non possiamo usare il sistema sanitario per fare giustizia. Noi non puniamo le persone per le loro scelte.
Matthew Wynia, The Atlantic
Per Matthew Wynia, medico, bioeticista e direttore del Centro per la Bioetica dell’Università del Colorado, ridurre le cure per i non vaccinati non si tradurrebbe necessariamente in un miglioramento della qualità delle cure per gli altri. Intervistato da The Atlantic, ha evidenziato come il compito di far rispettare la giustizia è proprio dei tribunali e non degli ospedali: “Non possiamo usare il sistema sanitario per fare giustizia. Noi non puniamo le persone per le loro scelte”. Negli Stati Uniti, analizzando le differenze socioeconomiche tra chi ha scelto di vaccinarsi e chi non lo ha fatto, si è osservato come tra i non vaccinati la percentuale di coloro che non possiedono un’assicurazione sanitaria è doppia rispetto alla popolazione che invece ha ricevuto il vaccino. Secondo Carla Keirns, professoressa di etica medica presso l’Università del Kansas, negare il diritto alle cure ai no vax vorrebbe dire “aumentare le ingiuste disparità che questi già si trovano ad affrontare”.
Si cura chi ha bisogno
Quanto all’Italia, avevano suscitato clamore le dichiarazioni dell’assessore alla sanità della Regione Lazio Alessio D’Amato, che in un’intervista al Messaggero aveva dichiarato l’intenzione di far pagare le cure ai no vax, prima di fare marcia indietro parlando di “provocazione”. Per chiudere ogni possibile proposta di discriminazione medica nel nostro Paese, sono intervenuti il ministro della salute Roberto Speranza, dichiarando che “se una persona sta male, va curata. Non conta se uno è ricco, il colore della pelle, dove è nato. Non conta nemmeno se è vaccinato” e il costituzionalista Sabino Cassese, che ha affermato come sia impossibile, dal punto di vista legale, escludere i non vaccinati dalle cure mediche, mentre sarebbe possibile far pagare loro il conto.
Se una persona sta male, va curata. Non conta se uno è ricco, il colore della pelle, dove è nato. Non conta nemmeno se è vaccinato.
Roberto Speranza, ministro della salute
Ripensare il codice etico di priorità | Il tema sulla scelta a chi dare la precedenza in situazioni di emergenza e di poche risorse era stato ampiamente dibattuto all’inizio della pandemia: a fronte di risorse ospedaliere limitate i medici erano purtroppo costretti a dover scegliere quali pazienti salvare e quali lasciar morire. Per dare una guida e un supporto in queste scelte eticamente e clinicamente difficili, la Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva aveva formulato delle raccomandazioni etiche da seguire nella cura dei pazienti covid-19 critici in terapia intensiva, tra necessità e risorse disponibili. Ora le condizioni sono diverse, ma la discussione è ancora attuale e non riguarda solo le priorità nella cura di pazienti covid e non covid, vaccinati e non vaccinati. In un comunicato stampa la Consulta di bioetica ha sollecitato una riflessione sul perché va ripensato il codice etico di priorità in caso di scelta tragica.
Dieci anni fa, nel tentativo di screditare un chirurgo che aveva deciso di girare il mondo curando le popolazioni di Paesi colpiti dalla guerra e dalla fame, alcuni politici lo accusarono di “curare i talebani”. Lui rispose attraverso una lettera su La Repubblica con queste parole: “Noi curiamo anche i talebani. Certo, e nel farlo teniamo fede ai principi etici della professione medica. (…) Li curiamo, innanzitutto, per la nostra coscienza morale di esseri umani che si rifiutano di uccidere o di lasciar morire altri esseri umani. Curiamo chi ha bisogno, e crediamo che chi ha bisogno abbia il diritto ad essere curato”. Si chiamava Gino Strada, aveva fondato Emergency e quando è morto, nell’agosto del 2021, alcuni no vax hanno fatto circolare la vergognosa bufala secondo cui a ucciderlo sarebbe stato il vaccino. Lui, che i no vax li definiva senza mezzi termini “cretini” e “irresponsabili”, li avrebbe curati ugualmente.
Alessandro Magini, Il Pensiero Scientifico Editore