L’equilibrio difficile tra salute individuale e della comunità
Alcune riflessioni a partire dalla storia di William Norman Pickles, medico di campagna e di comunità. Di Carlo Saitto

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Alcune riflessioni a partire dalla storia di William Norman Pickles, medico di campagna e di comunità. Di Carlo Saitto
Nel 1939, William Norman Pickles, un medico di Wensleydale, un piccolo centro dell’Inghilterra settentrionale, dava alle stampe un libro di centoventi pagine che si intitolava Epidemiology in country practice, che si potrebbe tradurre come l’Epidemiologia nella pratica clinica di campagna o, forse meglio, “di comunità”. Il dottor Pickles ragionava e, bisogna dirlo, ragionava molto e in forme assai sofisticate sul suo ruolo di sanità pubblica a partire da due malattie: la mialgia epidemica – la cui associazione con i virus coxsackie sarebbe stata evidenziata nel 1950 – e l’ittero catarrale, che sarà poi definito epatite virale di tipo A e il cui agente (hepatitis A virus) verrà identificato solo nel 1973.
“La mia esperienza di queste due malattie – scriveva Pickles nell’introduzione al proprio libro – illustra le opportunità di osservazione epidemiologica della popolazione e di osservazione clinica dei pazienti che vengono offerte ai medici di comunità. Ho cercato di raccogliere le mie considerazioni al meglio di quanto potevo ma sono consapevole che – rispetto alle dimensioni del fenomeno – esse rimangono tristemente inadeguate. Il medico di comunità si colloca sul fronte più avanzato di questa battaglia e la sua esperienza finisce per assumere un carattere individuale e una dimensione generale. Nessun medico specialista avrà mai la possibilità di seguire l’intero decorso di queste malattie così assiduamente come il medico di comunità proprio a causa della intensità del legame di quest’ultimo con i suoi pazienti. Nel dedicare questo libro alla gente di Wensleydale non posso infine che riconoscere in modo caloroso il contributo che tanti amici di questa comunità hanno offerto alla sua preparazione”.
Il servizio sanitario nazionale della Gran Bretagna, il National health service (Nhs), sarebbe nato quasi dieci anni più tardi, il 5 luglio del 1948, ma l’idea di un nesso molto stretto tra assistenza clinica e salute pubblica era già ben presente nella testa e nella pratica di questo “medico di campagna”. È evidente nelle sue parole l’aspirazione a essere vicino al paziente, a prendersene cura e a farsi interprete dei suoi bisogni; ed è evidente anche l’intenzione di essere agente di un interesse collettivo della sua comunità e oltre la sua comunità. Una funzione di agenzia che non si esercita solo per Wensleydale ma con Wensleydale, una funzione che non avrebbe potuto essere svolta senza il “contributo di tanti amici”.
I contributi del dottor Pickles | Su William Norman Pickles possiamo leggere in rete – oltre alla scheda su Wikipedia – anche i ricordi preparati dalla Royal society of Medicine. La bella rivista dell’associazione rende disponibile gratuitamente anche la copia anastatica di uno dei contributi più noti del medico inglese, Epidemiology in country practice, da cui muove anche Carlo Saitto in questa sua riflessione. Per come viene raccontata lungo tutto il libro, la complessità di questo progetto sembra dipanarsi in modo spontaneamente armonico. Certo, le numerose tabelle sull’occorrenza dei casi e sul loro andamento, i dubbi diagnostici, gli errori che talvolta vengono commessi e dichiarati suggeriscono l’impegno straordinario, quotidiano, e in una qualche misura ossessivo, dell’autore, ma questa tensione riguarda la fatica e la forma del lavoro non la sostanza di un disegno che appare senza conflitti e senza contraddizioni.
Il “medico di campagna” si propone come il perno, affaticato e tranquillo, di un sistema coerente di cura, di tutela e di consenso. A ben guardare, però, qualche smagliatura è apparente anche in questo mondo appartato e pacificato: le tabelle sono accurate ma i numeri sono piccoli: quello che raccontano è straordinario, ma rimangono storie circoscritte, istantanee di particolari senza una visione d’insieme, vediamo l’andamento di singole malattie ma ci sfugge la salute della popolazione, c’è la continuità però manca la profondità e rimane il sospetto che tutta questa attenzione e questa capacità di registrazione dei dati dipendano soprattutto dal difetto di strumenti efficaci di trattamento, il prendersi cura insomma, al posto della terapia, l’informazione e la segnalazione in assenza di un intervento sistematico sui problemi, una scala ridotta che analizza un universo circoscritto con toni, forse, leggermente autocompiaciuti.
In realtà le ambizioni di questo progetto professionale sono coerenti con gli strumenti di cui dispone e le sue contraddizioni si fanno manifeste solo a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, con la rivoluzione che la scienza provoca nella medicina clinica ma anche con il cambiamento sociale che accompagna la fine della guerra mondiale. Progressivamente il medico di famiglia non è più al centro di una comunità che si dilata e smarrisce la sua identità. Soprattutto nei Paesi che si dotano di sistemi di welfare il medico inoltre non è più un protagonista incontrastato. In un’evoluzione, per certi versi paradossale, il riconoscimento del diritto alla salute diventa per i cittadini uno strumento di rivendicazione individuale e il rafforzamento di terze parti, che sia lo Stato come assicuratore unico, che siano le associazioni mutualistiche o le assicurazioni private, complica enormemente il sistema di relazioni. Laddove era allora presente un medico con pochi strumenti ma in rapporto esclusivo con i suoi pazienti, con una sorta di monopolio sulla salute delle persone e sulla sanità pubblica, si confrontano ora, in termini spesso neppure dialoganti, le tecnologie, gli specialismi sempre più orgogliosi delle loro capacità di fornire risposte efficaci, la cresciuta autonomia culturale e decisionale dei singoli e le loro aspettative, il peso dei sistemi assicurativi, pubblici e privati, il peso degli interessi economici dei fornitori di prestazioni, di farmaci e di dispostivi.
In un contesto sempre più segmentato e complesso si frammentano dunque anche le responsabilità del medico di famiglia. Per lui integrare la dimensione individuale di cura con quella della salute di popolazione implica ormai un confronto permanente con una pluralità di attori e l’assunzione di obblighi diversi:
Questi obblighi aprono costantemente situazioni di potenziale conflitto tra il paziente e il medico, sulle scelte di trattamenti e di esami clinici, conflitti tra i pazienti per procurarsi celermente le prestazioni che considerano utili, conflitti tra il medico e gli specialisti, conflitti tra il medico e l’assicuratore, con i suoi vincoli e i suoi controlli.
Il problema principale per il medico è però soprattutto la gestione del conflitto tra gli interessi legittimi che è deontologicamente impegnato a difendere:
Le variabili di questa equazione sono le stesse che si trovava di fronte il dottor Pickles: dati, conoscenze, possibilità di trattamento, relazioni; è cambiata però la complessità di ciascuna delle variabili e l’equilibrio tra la dimensione individuale e quella collettiva si è fatto di conseguenza più difficile.
Una lettura sulla sanità pubblica per le persone | Le riflessioni proposte da Saitto in questo post possono suggerire approfondimenti in una letteratura molto vasta. Tra le molte possibili, la lettura di uno tra i capitoli più interessanti del libro La medicina impossibile del bioeticista Daniel Callahan (è possibile trovarne copie usate su eBay). Come spiega il fondatore dell’Hastings center, il dilemma tra medicina delle persone e medicina di popolazione è particolarmente sentito in un Paese come gli Stati Uniti dove prevale una cultura individualistica su un approccio solidale. “Inevitabilmente, interessandosi di tutti in generale e di nessuno in particolare, la sanità pubblica non è in grado di aiutarmi a risolvere nessuno dei miei problemi personali. Una sanità pubblica efficiente, insomma, può migliorare, e di fatto migliorerà, il livello di salute delle persone come gruppo, ma non sarà necessariamente di aiuto a me come individuo”.
Oggi, anni in cui la medicina altamente tecnologica è prevalentemente orientata al trattamento delle patologie acute, il potere seduttivo dell’innovazione (vera o presunta) come “soluzione” dei problemi individuali di salute è particolarmente forte. Quindi, il medico si trova spesso a dover negoziare con la persona che a lui ha affidato la gestione della propria salute un possibile, difficile equilibrio tra una medicina affascinante – promossa dai media, dall’industria e spesso anche da istituzioni – e una cura assai meno attraente, ma forse più umana e sostenibile.
Il medico di famiglia può forse rinunciare alla ricerca di questo equilibrio e alle continue negoziazioni che ne derivano, può farsi scavalcare e diventare il semplice veicolo delle domande del paziente o delle richieste del sistema, può insomma limitare il suo compito a quello di un ennesimo produttore di prestazioni molecolari. Una simile rinuncia sarebbe però paradossale perché molto più che nel passato è proprio questa nuova complessità a porre l’esigenza di un fulcro in grado di bilanciare le spinte contrastanti che condizionano la salute dei singoli e della popolazione. Oggi la riaffermazione del ruolo con tanta tenacia inseguito dal Dottor Pickles richiede però strumenti in grado di sostenere il sistema complesso di relazioni che il medico intrattiene con tutti gli altri attori presenti. Servono conoscenze cliniche organizzate e aggiornate, servono informazioni sui bisogni dei pazienti e sulle aree critiche nella salute della popolazione, serve disporre direttamente delle prestazioni necessarie ai percorsi di cura, serve contribuire ai programmi di protezione e di tutela e per fare tutto questo serve, soprattutto, una alleanza strategica tra il medico ed il servizio sanitario, in particolare tra il medico e il distretto, serve in altri termini una congiunzione strutturale tra la dimensione individuale e quella generale che non può essere affidata, come ai tempi di Pickles, all’iniziativa personale di un professionista o di una rete di professionisti. Il valore in più che questo collegamento può generare avvantaggia da un lato il medico mettendo al suo servizio il peso e la capacità di intervento che solo il Ssn è in grado di assicurare in modo integrato e dall’altro legittima il Ssn alleggerendo la sua ingombrante veste burocratica e mettendolo in comunicazione con i destini di salute dei singoli e delle comunità.
Le condizioni perché questo disegno si possa realizzare sono già diffusamente presenti in forma e consistenza diverse su tutto il territorio nazionale: una molteplicità di fornitori istituzionali e privati rendono infatti disponibili linee guida ed evidenze scientifiche secondarie utili a costruire programmi di intervento e monitorarne gli esiti, una serie di sistemi informativi delle Regioni e del Ministero della salute rendono conto delle prestazioni erogate, della loro distribuzione e dei loro costi, indicatori rappresentativi della salute dei cittadini vengo resi costantemente disponibili, la gran parte delle amministrazioni locali descrive periodicamente le caratteristiche demografiche e sociali delle popolazioni, la diffusione dell’informatica consente, sia pure con molti limiti, una facilità senza precedenti di accesso alle informazioni e di comunicazione tra gli attori.
Forse anche l’esperienza della pandemia ci solleciterà a riaprire con nuova curiosità le tabelle del dottor Pickles sulla diffusione dell’ondata epidemica di ittero catarrale rilanciando un rapporto sempre più stretto tra salute pubblica e assistenza alla persona.
Carlo Saitto
Medico di sanità pubblica
Già direttore generale di un’azienda sanitaria della Regione Lazio
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