Nelle scorse settimane il gruppo Undirittogentile ha discusso sulla questione dell’aiuto medico al morire. Dopo la decisione della Corte costituzionale che ha respinto la proposta di referendum, l’evento più rilevante è stato l’approvazione da parte della Camera del disegno di legge Bazoli-Provenza che ora è all’esame del Senato.
Il documento
La lettura del testo (del disegno di legge “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita”, ndr) ha suscitato nel gruppo molte e gravi perplessità sull’insieme del progetto.
A confronto con la legge 219/2017, che si segnala per lo sforzo di adeguare il linguaggio all’oggetto della disciplina, il linguaggio del progetto appare inutilmente e esasperatamente burocratico; l’approccio al problema, e la soluzione – rispetto a questioni come la manifestazione di volontà del paziente e la sua certezza – non sono commisurati alle esigenze e alla situazione del malato, ma seguono modelli formalistici difficilmente praticabili nelle condizioni – che la legge stessa prevede – in cui si trova la persona. Nell’insieme, la legge è pensata e scritta come se la richiesta di aiuto e la sua attuazione non fossero destinate a collocarsi in una relazione di cura tra medico e malato.
Le modalità di presentazione della richiesta ne risultano complicate e il percorso della stessa segnato da una serie di possibili rifiuti o rigetti avverso ai quali la tutela del paziente è affidata al ricorso “al giudice territorialmente competente”: prospettiva di arduo accesso e utilità per un paziente nelle condizioni che la legge stessa stabilisce.
L’organo di controllo (Comitati) non ha una chiara connotazione (se di carattere clinico o “etico” o di entrambi).
Quanto agli aspetti più strettamente attinenti al ruolo del medico, il testo sembra supporre una impropria e riduttiva concezione della palliazione, come approccio alternativo alle cure e non simultaneo: creando così un possibile equivoco anche nel rapporto tra palliazione e sedazione profonda.
Questo insieme segna un arretramento brusco e intenso rispetto al dovere del legislatore di considerare la complessa realtà dei rapporti e delle situazioni per rendere la norma idonea al suo scopo. Ci si chiede quale riflessione sui problemi reali del paziente che si avvicina alla morte e del medico che ne ha cura abbia preceduto e guidato ideazione e scrittura del testo.
****
La disposizione che suscita le maggiori perplessità è quella dell’art. 3, ai punti 1 e 2b.
Quanto al primo punto (art. 3, punto 1), si prevede come condizione di accesso alla domanda di aiuto al morire che la persona “sia stata previamente coinvolta in un percorso di cure palliative al fine di alleviare il suo stato di sofferenza e le abbia esplicitamente rifiutate”. Il testo è insidioso, perché può essere letto nel senso che la persona, per poter chiedere l’assistenza medica a morire, non solo debba previamente accedere ad un percorso di cure palliative, ma debba poi rinunciarvi e vivere senza alcun supporto per il dolore e la sofferenza per tutto il tempo in cui la pratica viene istruita.
Si propone quindi di sostituire il testo: “che sia stata previamente coinvolta in un percorso di cure palliative al fine di alleviare il suo stato di sofferenza e le abbia esplicitamente rifiutate” con il seguente: “che abbia già intrapreso un adeguato percorso di cure palliative il quale si sia rivelato insufficiente ad alleviare il suo stato di sofferenza psicofisica e a preservarne la dignità, o che lo abbia volontariamente interrotto o esplicitamente rifiutato”.
Quanto al secondo punto (art. 3, punto 2b) è qui che emerge la preoccupazione maggiore degli estensori e la scelta politica del progetto: quella di trasporre in legge le quattro “condizioni” che la Corte costituzionale pone per delimitare l’incostituzionalità della disposizione dell’art. 580 codice penale.
Scelta politica, si sottolinea, perché non necessaria. Mentre, com’è ovvio, una legge che prevedesse, anche sussistendo le quattro condizioni, una pena per chi aiuta il suicidio cadrebbe nel contrasto con la sentenza della Corte e conseguentemente nell’incostituzionalità, rimane invece libero il legislatore di seguire una politica diversa e scegliere, per legittimare l’aiuto al suicidio, di non prevedere una delle condizioni cui la Corte connette l’incostituzionalità dell’art. 580.
Ora, pare evidente che la condizione umana della persona che sia affetta da patologia irreversibile e che soffra perciò di sofferenze intollerabili sia in molti casi molto vicina, vicinissima a quella della persona che in situazione analoga è soggetta a trattamenti di sostegno vitale, considerata anche – cosa che forse non è stata meditata da chi ha steso la legge – la relativa ampiezza che la nozione di trattamenti di sostegno vitale assume quando si estende ai mezzi farmacologici, già affiorata in giurisprudenza.
Esiste quindi una evidente probabilità che, se il disegno sarà approvato dal Senato, la questione di incostituzionalità sia sollevata alla prima applicazione della legge a proposito della norma dell’art. 3. 2b per violazione del principio che richiede parità di trattamento in situazioni affini.
Pare quindi a chi sottoscrive questo documento che sia opportuno evitare una ulteriore incertezza del diritto e un ulteriore calvario per un paziente che si assuma l’onere di un conflitto processuale.
Si propone quindi di emendare il disegno di legge con lacancellazione del comma 2, lettera b dell’articolo 3.
Questo documento è stato sottoscritto da quaranta professionisti, parte dei quali afferiscono al gruppo Undirittogentile di bioeticisti, medici e giuristi, che si è costituito nella primavera del 2012 attorno a una proposta di principi condivisi “Per un diritto della dignità del morire”.
Un breve excursus sulle sentenze della Corte costituzionale che hanno portato al disegno di legge sull’aiuto medico al morire in discussione al Senato | [27 febbraio 2017] Un paziente italiano, affetto da una gravissima disabilità post-traumatica (dj Fabo), muore in Svizzera seguendo la procedura del suicidio medicalmente assistito, accompagnato da un membro dell’Associazione Luca Coscioni (Marco Cappato) che – dopo essersi autodenunciato per violazione dell’art. 580 del codice penale (“Istigazione o aiuto al suicidio”) – viene sottoposto a procedimento penale per il reato connesso. [24 settembre 2019] La Corte costituzionale, interpellata dalla Corte d’Assise di Milano in merito al caso Cappato, dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 580, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 219/2017 (“Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”),agevoli l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona nei casi in cui siano soddisfatti i quattro requisiti: (1) la persona è affetta da una patologia irreversibile e (2) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili; (3) la persona è tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, (4) ma è capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente (sentenza n. 242/2019). [15 febbraio 2022] La Corte costituzionale giudica inammissibile il quesito del referendum, che chiedeva l’abrogazione parziale dell’art. 579 del codice penale che vieta l’omicidio del consenziente, “perché non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone debole e vulnerabili” (sentenza n. 33/2022). [10 marzo 2022] La Camera dà il via libera al disegno di legge Bazoli-Provenza “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita” (atto Camera n. 3101), che recepisce la sentenza della Corte costituzionale n. 242 del 2019. Il disegno di legge è attualmente all’esame del Senato (atto Senato n. 2553).