Le linee guida e gli interessi in conflitto
Sei risposte a sei domande sul conflitto di interesse che mina la credibilità in medicina: Marco Bobbio

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Sei risposte a sei domande sul conflitto di interesse che mina la credibilità in medicina: Marco Bobbio
Foto di Smilla4 / CC BY
Gli interessi economici ottenuti dalla vendita dei prodotti sanitari, dai farmaci ai dispositivi medici, dalle protesi ai tutori, dagli integratori ai servizi assistenziali sono talmente rilevanti che la pressione per farli acquistare e consumare è inevitabile e agisce sui meccanismi che possono aver maggior influenza sulle scelte prescrittive dei medici: la stesura delle linee guida. Non c’è bisogno di scomodare giuristi, scienziati, esperti di etica per capire che chi riceve soldi, elargizioni e benefici è in qualche modo legato a chi lo ha finanziato. Proverbi di tutto il mondo illustrano con varie espressioni questo concetto, come per esempio quello inglese: “non morderai la mano di chi ti nutre”.
La letteratura scientifica degli ultimi decenni è ricca di ricerche che documentano il legame tra gli esperti invitati a redigere le linee guida e le industrie di prodotti sanitari. Già vent’anni fa Choudry e colleghi avevano dimostrato che l’87 per cento degli autori di linee guida aveva ricevuto finanziamenti da più industrie farmaceutiche; il 38 per cento era addirittura dipendente o consulente. In media gli autori avevano rapporti economici con 10 industrie diverse [1]. Dodici anni dopo Mitchell e colleghi, analizzando le dichiarazioni di 125 autori di linee guida in ambito oncologico pubblicate nel 2014, avevano osservato la stessa percentuale di legami tra esperti e industrie: l’86 per cento aveva dichiarato almeno un conflitto di interessi, per un valore medio di 10 mila dollari (con un massimo di oltre 100 mila) [2].
Molte ricerche concordano nel dimostrare che le raccomandazioni indicate nelle linee guida aumentano il mercato di prodotti farmaceutici. Nel 2013 l’American college of cardiology e l’American heart association avevano abbassato il valore soglia oltre il quale iniziare il trattamento con statine rispetto alle precedenti linee guida. Pencina e colleghi dimostrarono che le linee guida del 2013 avrebbero aumentato il numero di consumatori di statine negli Stati Uniti da 43 a 56 milioni, soprattutto a carico delle persone senza malattia cardiovascolare; in particolare tra gli adulti tra 60 e 75 anni senza malattia cardiovascolare la percentuale di quelli che avrebbero dovuto assumere una statina sarebbe aumentata dal 30 all’87 per cento [3]. L’incremento di potenziali consumatori determinato dall’abbassamento dei valori soglia indicati per avviare un trattamento farmacologico stimola le industrie a investire energie (e soldi) per condizionare la scelta e la stesura delle raccomandazioni.
Le decisioni degli esperti sono determinate dai risultati delle ricerche cliniche, ma quando le ricerche sono solo osservazionali o non ci sono dati scientifici a cui fare riferimento, le raccomandazioni vengono basate sull’opinione personali e su considerazioni speculative; in questi casi le decisioni sono maggiormente soggette a possibili manipolazioni. Faronoff e colleghi hanno analizzato le 2930 raccomandazioni elaborate dagli esperti dell’American college of cardiologiy e dall’American heart association pubblicate in sei linee guida [4]. Solo l’8,5 per cento delle raccomandazioni era stata classificata come livello di evidenza A (raccomandazione basata su risultati di più ricerche di elevata qualità o di metanalisi), il 50 per cento di livello di evidenza B (risultati di ricerche di moderata qualità) e il 41,5 per cento di livello di evidenza C (risultati di ricerche di tipo osservazionale, considerazioni di tipo fisiopatologico od opinioni degli esperti). Desta preoccupazione che la percentuale di raccomandazioni basate su dati di elevata qualità non è aumentata nel tempo e quindi il livello di affidabilità delle linee guida non migliora.
Le linee guida del 2018 dell’American college of cardiology e dell’American heart association per indicare se prescrivere un trattamento con statine in base ai valori di colesterolo plasmatico dichiarano: “nelle persone con più di 75 anni e livelli di colesterolo ldl tra 70 e 189 mg/dL può essere ragionevole iniziare un trattamento con statine a un dosaggio moderato”. Neil Skolnik dell’Università Thomas Jefferson di Philadelphia considera che i linguisti distinguono i significati denotativi da quelli connotativi [5]. Con il primo concetto ci si riferisce al significato letterale della frase e con il secondo a quello emotivo. L’espressione usata nelle linee guida “può essere ragionevole” equivale in termini denotativi all’opposto “può non essere ragionevole” (come nel caso dell’espressione del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto), ma in termini connotativi scrivere che “può essere ragionevole” incoraggia il trattamento farmacologico.
Negli ultimi vent’anni si è scritto molto sulle implicazioni del conflitto di interessi nella stesura delle linee guida, ma si è fatto poco. Finora ci si è limitati a sollevare il problema e a chiedere agli autori di dichiarare da quali industrie hanno ricevuto finanziamenti. L’attuale sistema dell’autocertificazione da parte degli autori è caotico, inconsistente e incompleto. Quando sono state confrontare le dichiarazioni di conflitto di interesse fornite dagli esperti delle linee guida, con le dichiarazioni dei pagamenti che le industrie hanno elargito agli stessi esperti, risulta che la concordanza è solo nel 9 per cento, indicando che il meccanismo di dichiarazione non funziona e che gli autori dichiarano molto meno di quello che ricevono [6].
È chiaro che non si può impedire agli specialisti di mantenere rapporti con le industrie né ipotizzare che solo chi non ha avuto ricevuto finanziamenti dall’industria possa partecipare ai comitati che redigono le linee guida; infatti, i primi hanno competenze che i secondi di solito non posseggono. Si potrebbero però attuare fin da subito alcune regole in grado di limitare l’indebito condizionamento. Innanzi tutto, si dovrebbero scegliere gli esperti che abbiano meno condizionamenti di tipo economico. Bisognerebbe distinguere i conflitti maggiori che devono essere considerati ostativi alla partecipazione ai comitati di stesura delle linee guida (come l’aver ricevuto ingenti somme di denaro, possedere titoli azionari di società operanti nel settore farmaceutico o diritti derivanti da proprietà intellettuali, tipo brevetti e marchi registrati, aver partecipato a comitati strategici, scientifici e direttivi) da quelli minori o irrilevanti. In secondo luogo, le Società Scientifiche dovrebbero scegliere esperti che abbiano competenze diverse e che quindi siano portatori di esigenze complementari e non univoche. Per esempio, non devono essere solo lipidologi a decidere quando e a chi prescrivere le statine, ma devono essere coinvolti anche cardiologi, internisti, geriatri, pediatri, dietologi, epidemiologi che forniscano una visione d’insieme del problema e non siano focalizzati solo sul livello ematico del colesterolo.
Il conflitto di interesse degli estensori delle linee guida è un grave problema che mina la credibilità delle raccomandazioni; non può essere eliminato, ma può essere limitato con qualche accorgimento che vada oltre l’autodichiarazione, in modo da rendere le linee guida il più possibile esenti da condizionamenti determinati dalle industrie che ottengono profitti dal tipo di scelte adottate dagli esperti.
Marco Bobbio
Medico, già primario Cardiologia
Ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo
Bibliografia
Questo articolo è una sintesi della relazione di Marco Bobbio su conflitti di interesse e società scientifiche, al convegno dell’OMCeO di Torino “Conflitti di interesse in sanità” che si è tenuto a Torino il 7 maggio 2022.
A cura di Maria Teresa Busca
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