La guerra in Ucraina: un punto di vista sanitario
Di Pirous Fateh-Moghadam
La prevenzione della guerra è compito dell’intera società, in particolare dei professionisti sanitari. Cosa fare?

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Di Pirous Fateh-Moghadam
La prevenzione della guerra è compito dell’intera società, in particolare dei professionisti sanitari. Cosa fare?
Foto di Marco Vergano
Il 24 febbraio 2022 l’esercito russo invade l’Ucraina violando il diritto internazionale e scatenando una guerra sanguinosa di aggressione che perdura da circa tre settimane nel momento di stesura di queste note. La responsabilità della decisione dell’invasione e conseguente conflitto armato ricade unicamente sul governo Putin che persegue da due decenni una politica imperialista ultrareazionaria. La nostra solidarietà di professionisti sanitari va al Paese aggredito e alla sua popolazione e a coloro che in Russia si oppongono alla politica bellicista del proprio governo.
La Nato e diversi dei singoli Paesi occidentali che la compongono perseguono a loro volta una politica imperialista che nella storia ha, a più riprese, fatto ricorso all’uso della guerra, violando il diritto internazionale e provocando stragi tra la popolazione civile. Questo fatto, incontestabile, non può tuttavia essere addotto come attenuante della politica scellerata del governo russo.
Obiettivo della riflessione che segue è di dimostrare che analizzare l’attuale situazione dal punto di vista sanitario, vale a dire dal punto di vista della difesa e promozione della salute intesa come benessere fisico, psichico e sociale, può invece costituire una guida per trovare un posizionamento genuinamente umanitario rispetto alla guerra in corso e far intravvedere contemporaneamente un percorso di fuoriuscita dall’attuale disordine globale verso un mondo più pacifico, resiliente ai cambiamenti climatici e con salute e benessere per tutti. Per assumere il punto di vista sanitario non occorre essere medici o infermieri, ma chi esercita una professione sanitaria ha una scusa in meno per non farlo.
La conduzione da manuale di una guerra moderna prevede la distruzione di dighe, centrali elettriche, sistemi di approvvigionamento idrico, ospedali, strade, ponti, ferrovie, aeroporti, industrie. L’attuale conflitto in Ucraina non si distingue da quanto è stato già osservato durante gli interventi di alleanze Onu (Golfo 1991), o della Nato (Repubblica federale di Jugoslavia, 1999), e della coalizione angloamericana (Afghanistan 2002, Iraq 2003) o della Russia in Cecenia e in Siria, di Israele a Gaza e nel Libano, ecc. Obiettivo finale è sempre quello di distruggere deliberatamente l’ambiente fisico e sociale di un intero Paese/territorio.
Caratteristiche comuni ai conflitti armati con il coinvolgimento di moderni eserciti
1. Il ricorso ad armamenti e strategie militari che rendono impossibile la discriminazione tra obiettivi civili e militari. l’importanza degli effetti indiretti nella determinazione delle conseguenze sanitarie immediate e a lungo termine.
2. La sottrazione di risorse economiche al settore sociale e sanitario a favore di quello militare.
3. L’aumento delle diseguaglianze sociali (sia nel Paese aggredito sia in quello aggressore).
4. La parziale privatizzazione della guerra (mercenari) e l’erosione dei diritti civili (sia nel Paese aggredito sia in quello aggressore).
5. Il rischio di utilizzo di armi termonucleari (anche per errore) e la spinta per lo sviluppo di esse.
6. L’erosione di limiti spaziali, temporali e giuridici nel quadro di un crescente disordine mondiale.
Non abbiamo a disposizione dati attendibili su morti e feriti dell’attuale conflitto in Ucraina a causa del blackout di informazioni, invariabilmente un prodotto della guerra stessa. Tuttavia è noto che anche soltanto per gli effetti diretti si conta solitamente almeno un morto civile ogni soldato ucciso. Inoltre sappiamo anche che morti e feriti per effetti indiretti rappresentano un multiplo di quelli diretti.
Gli effetti indiretti sulla salute possono essere provocati dalla distruzione o dai danneggiamenti del rifornimento con energia elettrica, delle strutture sanitarie, dell’approvvigionamento alimentare, idrico/smaltimento liquami; dal bombardamento di industrie (chimiche, o di centrali nucleari); dagli effetti a lunga latenza di armi (nucleari/chimiche, mine, bombe a grappolo e altri ordigni non esplosi); dall’interruzione delle attività culturali e dell’istruzione; dal caos generale; dalle migrazioni forzate di profughi. Inoltre le priorità cambiano, le persone sono comprensibilmente concentrate sulla sopravvivenza immediata e problemi quali la salvaguardia dell’ambiente o la promozione della salute a lungo termine diventano irrilevanti.
Un esempio concreto di questo concetto (tra i tanti possibili) emerge da un’analisi dei conflitti armati sul continente africano [1] nella quale viene documentato che il numero di bambini morti per cause indirette risulta maggiore di 3-4 volte rispetto al numero di bambini morti durante la fase dei combattimenti. L’effetto perdura inoltre per molti anni dalla fine del conflitto con un alone fino a 100 chilometri dalla zona dei combattimenti ed è tale da essere equiparabile a quello della malnutrizione.
Quindi, le caratteristiche dei conflitti armati moderni – in particolare, la mancanza di limiti di spazio, di tempo e giuridici; l’impossibilità di discriminare tra obiettivi militari e civili; gli effetti indiretti a lungo periodo e la sempre possibile evoluzione in guerra atomica – sono tali per cui nessun fine umanitario può giustificare il ricorso a un tale mezzo. L’unico atteggiamento possibile è quello dell’opposizione e della prevenzione.
La prevenzione della guerra è compito dell’intera società, ma chi esercita una professione sanitaria ha una scusa in meno per non impegnarsi in quanto la guerra rappresenta un importante fattore di rischio per la salute pubblica mondiale. Da un punto di vista di sanità pubblica, militarismo e guerra devono essere considerati almeno al pari di altre cause prevenibili di malattie e morte. Analogamente agli altri ambiti di sanità pubblica, anche nella prevenzione della guerra possono essere distinti tre livelli:
1) la prevenzione primaria: prevenire lo scoppio di guerre o fermare una guerra cominciata;
2) la prevenzione secondaria: prevenire e ridurre al minimo le conseguenze su salute e ambiente di una guerra in atto;
3) la prevenzione terziaria: trattamento delle conseguenze della guerra (tra cui l’accoglienza dei profughi).
In tale senso va anche l’appello delle associazioni dei medici in formazione specialistica sulla guerra in Ucraina e la crisi umanitaria in corso in Europa [2] “per fermare questo conflitto, coadiuvando una soluzione che preveda la cessazione immediata delle ostilità”. Nell’appello si sottolinea inoltre l’essere chiamati non solo ad alleviare le sofferenze e a curare le malattie ma anche ad affrontare i determinanti della salute.
Chi scrive è convinto che tra questi vanno considerati anche i determinanti delle guerre per affrontare correttamente i compiti di prevenzione primaria prima descritti. Occorre quindi interrogarsi sul ruolo delle professioni sanitarie (e non solo), nell’affrontare e contrastare in maniera esplicita il militarismo, l’esistenza stessa di un sistema militare (che provoca danni ingenti alla salute e all’ambiente anche in tempi di pace) e impegnarsi attivamente per la riduzione/eliminazione delle spese militari, per la messa al bando delle armi nucleari nel mondo, del commercio di armi, ecc. La fornitura di armi in una zona in guerra è da questo punto di vista un punto nevralgico, che attualmente divide l’opinione pubblica italiana ed europea. Valutare quanto la fornitura di armi alla popolazione civile ucraina sia in coerenza con gli obiettivi sanitari di prevenzione o di cessazione immediata delle ostilità può essere una utile bussola per orientarsi meglio in questo dibattito e prendere posizione da un punto di vista professionale.
Valutare quanto la fornitura di armi alla popolazione civile ucraina sia in coerenza con gli obiettivi sanitari di prevenzione o di cessazione immediata delle ostilità può essere una utile bussola per orientarsi meglio in questo dibattito e prendere posizione da un punto di vista professionale.
Così facendo risulta evidente che l’invio di armi sul teatro di guerra in Ucraina, benché possa essere discutibile sul piano politico, sia in contraddizione rispetto ai doveri di sanità pubblica e debba essere contrastato da parte di chi si pone in un’ottica di promozione della salute. La richiesta di armi o di altro sostegno militare da parte di chi è impegnato in una lotta armata di difesa all’aggressione subita è legittima. Altrettanto legittimo deve essere considerato il rifiuto di tale richiesta per motivi di prevenzione di una ulteriore escalation del conflitto e in applicazione del principio medico del primum non nocere.
Sul ruolo professionale degli operatori sanitari nell’ambito della prevenzione delle guerre devono far riflettere le seguenti parole di Giorgio Cosmacini in riferimento alle prime due guerre mondiali [3]:
“Il fatto che nessuno – o pochissimi – tra i protagonisti della medicina (…) si sia posto il problema della prevenzione di una tra le più micidiali pandemie della storia delle società umane, deve far riflettere sull’effettiva coerenza di una scienza medica che, nel mentre si professa al servizio della vita, rifiuti di accamparsi e si dichiari neutrale. (…) Se l’ideologia e la politica al potere portano seco, o non contrastano efficacemente, una calamità sociale e biologica come la guerra, la medicina, se non vuol essere ‘un modo del potere’, deve esercitare una critica coraggiosa del calamitoso contesto ideologico-politico. (…). I medici devono esplorare una nuova provincia della medicina preventiva: la prevenzione della guerra”.
I medici devono esplorare una nuova provincia della medicina preventiva: la prevenzione della guerra.
Giorgio Cosmacini
Difficile negare che il militarismo, la presenza di armi nucleari (anche sul suolo italiano), le spese militari e il commercio delle armi fanno parte di quello che Cosmacini chiama “calamitoso contesto ideologico-politico”.
Richieste di sanità pubblica da promuovere anche attraverso le diverse società scientifiche del settore e da parte degli ordini dei medici potrebbero quindi comprendere un appello pubblico al governo italiano a favore della firma e della ratificazione del trattato di messa al bando delle armi nucleari (ancora non firmato dall’Italia); l’impegno a favore della riduzione delle spese militari, da convertire a favore della promozione della salute globale (se vuoi la pace investi in salute e benessere) da sbloccare subito per poter essere impegnate per l’assistenza delle vittime della guerra in corso e a sostegno delle strutture sanitarie ucraine; della trasformazione dell’esercito in una organizzazione di protezione civile disarmata; dell’accoglienza di tutti i migranti costretti a lasciare il proprio Paese a causa di conflitti, condizioni politiche, ambientali ed economiche disastrose.
Ad alcuni questi obiettivi sembreranno incidere troppo poco sul conflitto attualmente in atto. La nostra impotenza è in effetti frustrante. Tuttavia raggiungerli sarà fondamentale per evitare che uno storico del 2050 debba fare una riflessione analoga a quella di Cosmacini a commento del futuro che abbiamo davanti.
In verità l’unica utopia in questo ambito è la convinzione di poter evitare future guerre lasciando immutate le condizioni economiche e sociali che le favoriscono.
Ad altri invece questo approccio apparirà utopistico. In verità l’unica utopia in questo ambito è la convinzione di poter evitare future guerre lasciando immutate le condizioni economiche e sociali che le favoriscono. Come ha osservato trent’anni fa Rodolfo Saracci in un editoriale su Epidemiologia e Prevenzione [4] “tentativi dell’ultima ora per evitare una guerra, quando tutte le condizioni determinanti sono ormai operanti, porteranno invariabilmente all’insuccesso. (…) La prevenzione della guerra deve cominciare ben prima attraverso azioni di lungo respiro alle quali noi, in qualità di professionisti di sanità pubblica, siamo chiamati a contribuire”.
Se non ora quando?
Pirous Fateh-Moghadam
Responsabile Osservatorio epidemiologico
Dipartimento di prevenzione
Azienda provinciale per i servizi sanitari Provincia autonoma Trento
Bibliografia
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