La costituzione dei comitati per l’etica nella clinica come segno dei tempi e atto di responsabilità delle istituzioni
La nota di Gaia Marsico

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La nota di Gaia Marsico
La bioetica in Italia non ha trovato un terreno fertile e si è sviluppata soprattutto a livello teorico, questo ha comportato ritardi e non ha favorito la permeabilità di medici e personale sanitario rispetto alle evoluzioni della medicina e ai mutamenti di paradigmi nella società [1]. Partecipo alle attività di comitati etici da venticinque anni, con esperienze in Regioni diverse, nell’ambito dell’etica nella clinica e della sperimentazione/ricerca (non solo farmacologica), e ritengo che le ragioni principali che hanno impedito il realizzarsi dei comitati per l’etica nella clinica siano fondamentalmente di tipo culturale.
Il Comitato nazionale per la bioetica ha dedicato ai comitati etici quattro documenti [2] (ed è intervenuto sul tema nel contesto di riflessioni su temi specifici [3]), valutando in diverse occasioni l’opportunità del loro “radicarsi” nel nostro sistema sanitario. È interessante e urgente chiedersi: quale ruolo può effettivamente avere un comitato per l’etica nella clinica (termine non sempre usato ma che risulta essere il più appropriato). Quali sono state in contesti reali le ricadute del lavoro di un comitato di questo tipo nelle relazioni di cura, nell’assistenza sanitaria e nelle politiche sanitarie?
Personalmente, per la lunga esperienza maturata, reputo che un comitato possa portare davvero un contributo rilevante [4]. In primis le motivazioni di questa ricchezza risiedono nel fatto che esso è costituito da un gruppo pluridisciplinare che, in quanto tale, offre una molteplicità di sguardi e approcci; un’altra ragione è data dalla mancanza di subordinazione gerarchica nei confronti della struttura ove opera e dalla presenza di componenti esterni (in misura spesso rilevante). L’indipendenza, caratteristica fondante di ogni comitato (pur se la maggior parte dei componenti sono nominati dalle direzioni generali delle aziende sanitarie), non è sempre semplice da gestire; può talvolta provocare tensioni anche molto forti, quando un componente o il comitato prende distanza da politiche, scelte/decisioni della direzione.
Questo costituisce un momento significativo di crescita e ricchezza per tutti i soggetti coinvolti, momento in cui si verifica l’aderenza al ruolo che dobbiamo svolgere. Sono circostanze molto delicate in cui il comitato ha l’opportunità (il dovere) di essere realmente garante dei diritti, dare voce ad ogni tipo di vulnerabilità/fragilità, affrontando anche questioni “divisive” con grande capacità di mediazione ma anche con il coraggio di restare sulle proprie posizioni e stimolare, nel contesto in cui opera, riflessioni di grande valore culturale.
Il ruolo dell’esperto/a in bioetica che, oltre ad avere alle spalle percorsi di studio specifici, matura una competenza sul campo data dal confronto continuo con molteplici tipi di professionalità, problematiche, situazioni e contesti.
Sono diversi gli ambiti in cui un comitato per l’etica nella clinica può incidere nelle relazioni di cura e nelle politiche aziendali in modo diretto e/o indiretto. Quelli che seguono sono solo alcuni esempi, senz’altro tra i più significativi:
In tutto questo il ruolo della bioetica è naturalmente centrale, come cruciale può divenire il ruolo dell’esperto/a in bioetica che, oltre ad avere alle spalle percorsi di studio specifici, matura una competenza sul campo data dal confronto continuo con molteplici tipi di professionalità, problematiche, situazioni e contesti.
Purtroppo in Italia la bioetica, i comitati per l’etica nella clinica e l’esperto/a in bioetica, non sono riusciti a radicarsi. La bioetica non è normalmente insegnata nelle scuole superiori come in altri Paesi (nonostante qualche testo di filosofia timidamente le dedichi un capitolo), e ancora troppo poco nelle facoltà universitarie. L’esperto/a in bioetica non ha un riconoscimento chiaro (contrariamente a quanto accade in diversi altri Paesi), tant’è che il Comitato nazionale per la bioetica nel 2021 ha ritenuto “non più differibile la proposta di un ampio e approfondito dibattito sulle competenze di chi opera nei diversi ambiti della bioetica, auspicando, altresì, il coinvolgimento dei ministeri competenti, delle università, degli enti di ricerca, delle società scientifiche e delle associazioni che si occupano di bioetica” [5]. Il parere del Comitato nazionale per la bioetica prende in esame il problema, tuttavia ritiene che “i tempi non siano ancora maturi per indicare già ora una formalizzazione dei diversi percorsi formativi per acquisire le competenze essenziali per l’esperto di bioetica” – abbastanza strano visto che anche in Italia, da circa trent’anni, esistono corsi di dottorato, master, corsi di perfezionamento in bioetica.
A completare il quadro, si deve sottolineare che i comitati per l’etica nella clinica non si trovano su tutto il territorio nazionale, a differenza dei comitati etici territoriali che si occupano di sperimentazione e che, per ragioni organizzative ed economiche, da anni sono stati istituiti ovunque.
Purtroppo anche in Toscana, come nelle Regioni dove vi sono realtà simili, i comitati non ricevono alcun finanziamento, cosa che rende il lavoro molto faticoso
La Toscana (come il Veneto), invece, alla fine degli anni ’90 ha costituito la rete dei comitati che si occupano di etica nella clinica (oggi ComEC, comitati per la pratica clinica, prima chiamati comitati etici locali, per la loro diffusione capillare). La rete ha funzionato e ha permesso di presidiare i percorsi eticamente sensibili e portare un contributo fattivo. Purtroppo anche in Toscana – come nelle Regioni dove vi sono realtà simili – i comitati non ricevono alcun finanziamento, cosa che rende il lavoro molto faticoso. In un contesto così organizzato e in assenza di indicazioni ministeriali, i comitati devono affidarsi alla buona volontà di alcuni/e che con dedizione, alta competenza, senso di responsabilità, mettono a disposizione, a titolo personale, molto del loro tempo per gestire questioni complesse che invece meriterebbero la massima attenzione a livello istituzionale.
Cartina tornasole di tutto questo scenario è la situazione attuale italiana che si sta creando in merito all’applicazione della sentenza 242/2019 della Corte costituzionale sul caso Antoniani-Cappato. La Corte ha individuato il comitato etico, per la “delicatezza del valore in gioco” che richiede l’intervento di un organo collegiale terzo, munito delle adeguate competenze, il quale possa garantire la tutela delle situazioni di particolare vulnerabilità”. Il problema “aperto” riguarda l’attribuzione di competenza e l’individuazione dei comitati che dovrebbero occuparsi di questo e che sono chiamati a farsi strumento di consulenza, di tutela del paziente, del suo spazio di dignità e di scelta, e di mediazione bioetica. Come ha ben delineato nel 2020 il documento della Commissione regionale di bioetica della Regione Toscana, i comitati per l’etica nella clinica sono i più adatti a svolgere il ruolo di organismo collegiale “terzo” che individua la sentenza e “la loro competenza è quella che più precisamente risponde alle premure della Corte costituzionale”. Per questo, l’Azienda Usl Toscana nord ovest, per prima in Italia, si è dotata (dopo attenta riflessione con il proprio ComEC) di una procedura applicativa della sentenza 242/2019 che ha stabilito quale debba essere il contributo del comitato per l’etica nella clinica nell’iter valutativo delle richieste di aiuto a morire.
Il Comitato nazionale per la bioetica, da parte sua, interpellato dal Ministero della salute, purtroppo non si è espresso in modo unanime su questo problema. Le ragioni possono essere molte (alcune, credo, siano già state espresse) e non è questo il luogo in cui approfondirle. Una maggioranza di componenti ha individuato, come organismo terzo, i comitati etici territoriali, pur se con possibili integrazioni. Ritengo senza dubbio inopportuna, anche per esperienza diretta [6,7], la proposta di affidare un tale compito a comitati che per definizione si occupano di sperimentazione clinica; inopportuno un “approccio caso per caso”, come pure la possibile “integrazione” ad hoc con ulteriori professionalità.
I tempi sono maturi, e se dal punto di vista istituzionale nessuno avanza una simile proposta, forse l’unica strada da percorrere è una rete di comitati.
Per tutto questo, dopo anni di sollecitazioni provenienti da più parti, esperienze significative e riflessioni [8], ritengo sia arrivato il momento di istituire i comitati per l’etica nella clinica su tutto il territorio nazionale come segno dei tempi e atto di responsabilità delle istituzioni (Ministero, Regioni, aziende sanitarie). Non solo per affrontare le richieste di aiuto medico a morire, uno dei contesti più complessi e simbolici, ma per le tante situazioni che nella pratica clinica implicano questioni etiche in cui il ruolo dei comitati può essere dirimente e centrale.
I tempi sono maturi, e se dal punto di vista istituzionale nessuno avanza una simile proposta, forse l’unica strada da percorrere è che una rete di comitati, sostenuta da studiosi dei vari ambiti coinvolti, diffonda iniziative e chieda, “dal basso”, pubblicamente, che il percorso di istituzionalizzazione dei comitati per l’etica nella clinica finalmente prenda vita.
Gaia Marsico
Esperta in bioetica
Coordinatrice del Comitato per l’etica clinica, Azienda Usl Toscana nord ovest
Componente del Comitato per l’etica clinica Aou Pisana
Leggi gli altri contributi sui comitati per l’etica nella clinica
Note e bibliografia
A cura di Ludovica De Panfilis
Dal libro The big con di Mariana Mazzucato e Rosie Collington
Il punto di vista di Ugo Fornari, neuropsichiatra e medico legale