La circoncisione rituale in Italia, tra diritti e barriere
Quello che serve è un approccio politico di integrazione: l'articolo di Elena Sciurpa

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Quello che serve è un approccio politico di integrazione: l'articolo di Elena Sciurpa
In Italia, da ormai più di due decenni, in seguito all’aumento della popolazione straniera residente, la circoncisione rituale o culturale è divenuta oggetto di cronaca, purtroppo, sollevando un dibattito sul confine tra il diritto alla manifestazione del credo religioso e il dovere della tutela della vita. In alcuni drammatici casi le complicazioni dell’intervento hanno infatti portato al decesso dei piccoli circoncisi, in casa, da personale non sanitario: nel 2016 un neonato è morto a Torino, nel periodo fra dicembre 2018 e novembre 2019 si sono verificate altri quattro decessi a Monterotondo, Genova, Reggio Emilia, Roma. L’ultimo caso si è verificato a Roma, il 24 marzo 2023, la vittima un bambino nigeriano di appena 20 giorni.
I numeri che raccontano il fenomeno in Italia | Il numero di cittadini stranieri residenti in Italia e iscritti in anagrafe risultano essersi stabilizzati, da qualche anno sui 5 milioni, poco meno del 10 pe cento del totale della popolazione residente. Per quanto riguarda la circoncisione rituale e culturale, attualmente non sono disponibili stime attendibili sul numero di bambini sottoposti a circoncisione ogni anno in Italia. Secondo l’Associazione dei medici di origine straniera in Italia (Amsi) sarebbero circa 11.000 i bambini sottoposti ogni anno a circoncisione religiosa/rituale: circa 5000 all’interno del nostro Paese e i restanti 6000 residenti in Italia ma operati, in occasione di viaggi, nei paesi di origine dei genitori [1]. La Caritas ritiene che queste stime siano in difetto, e che la platea di bambini circoncisi annualmente in Italia sia almeno il doppio. Si stima che circa il 35 per cento degli interventi di circoncisione rituale e culturale, pur non trattandosi di pratiche illegali, viene effettuato in clandestinità, al di fuori delle strutture del Servizio sanitario nazionale.
Fonte:
A differenza delle mutilazioni genitali femminili, la cui esecuzione è penalmente perseguibile [2], La circoncisione rituale è considerata lecita dal nostro ordinamento giuridico, è a tutti gli effetti un intervento di chirurgia minore, di fatto irreversibile, che nel caso della forma rituale, così come di quella profilattica, si effettua su un individuo sano. Trattandosi prevalentemente di soggetti di minore età, il consenso per l’esecuzione di questa procedura viene espresso da chi ne esercita la potestà. D’altro canto la crescente richiesta da parte delle famiglie di provenienza straniera, che vivono stabilmente in Italia, di poter sottoporre i propri figli a tale pratica, non può essere ignorata. Le tradizioni religiose del Paese d’origine costituiscono da sempre un importante elemento di aggregazione e di rassicurazione identitaria, soprattutto in contesti sociali e culturali molto distanti da quelli natii.
Nel 1998 il Comitato nazionale per la bioetica, nell’affermare il dovere di rispettare la pluralità delle culture, ha espressamente riconosciuto che, “le comunità, che per la loro specifica cultura praticano la circoncisione rituale maschile, meritano pieno riconoscimento della legittimità di tale pratica”, in quanto forma di esercizio della libertà religiosa garantita dall’art. 19 della Costituzione e rientrante nei margini di “disponibilità” riconosciuti ai genitori in ambito educativo ai sensi dell’art. 30 della Costituzione [4].
La pratica circoncisoria eseguita per motivi non terapeutici, tira però in causa molti diritti fondamentali oltre al diritto di libertà religiosa: il diritto libertà di autodeterminazione dei minori e il diritto alla salute e all’integrità fisica. Nel 2013, sul tema del diritto del bambino all’integrità fisica, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (Apce) [5] aveva invitato gli Stati membri a definire le condizioni mediche e sanitarie in relazione ad alcune pratiche diffuse nelle comunità religiose, fra le quali la circoncisione rituale maschile, nel rispetto del diritto dei bambini all’integrità fisica, promuovendo la loro partecipazione alle decisioni che li riguardano. L’Apce ha esplicitamente raccomandato che la circoncisione religiosa o rituale non venga autorizzata negli Stati membri, a meno che non venga praticata da una persona formato e in condizioni di sicurezza, e che i genitori vengano informati di possibili controindicazioni e complicanze al fine di poter decidere nel miglior interesse del bambino [6].
Un’analisi giuridica, riferita all’Italia, relativa al legame fra circoncisione e diritti fondamentali evidenzia che l’interpretazione dell’art. 32 della Costituzione (la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività) fa riferimento non solo alla salute fisica, ma anche a quella psicologica, relazione e sociale; rispetto a questa impostazione la circoncisione per motivi religiosi e rituali non rappresenta, quindi, una violazione del diritto alla salute. Inoltre, l’art.2 della Costituzione recita che “la Repubblica garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità”.
Un patto d’intesa | Approvando l’intesa stipulata fra lo Stato italiano e l’Unione delle Comunità ebraiche italiane nel 1987, la legge n.101/89 riconosce la conformità della pratica circoncisoria ebraica ai principi del nostro ordinamento giuridico, ritenendo che i principi stabiliti in tale legge possano, per analogia, essere estesi a tutte le altre confessioni religiose: “la pratica di sottoporre i figli maschi a circoncisione sembra rientrare in quei margini di ‘disponibilità’ riconosciuti anche ai genitori dall’art. 30 della Costituzione italiana in ambito educativo” e “la circoncisione, nonostante lasci tracce indelebili e irreversibili, non produce, nondimeno, ove correttamente effettuata, menomazioni o alterazioni nella funzionalità sessuale e riproduttiva maschile”.
Uno dei motivi che spinge le famiglie ad affidare i propri figli a personale non adeguato è l’assenza della circoncisione non terapeutica all’interno dei Livelli essenziali di assistenza (Lea). Poiché l’intervento eseguito privatamente, non a carico del Servizio sanitario nazionale (Ssn), ha un costo che non tutte le famiglie possono affrontare, esse si trovano a scegliere tra tornare nel paese di origine o affidarsi a persone non qualificate. La mancata copertura sanitaria comporta inoltre una discriminazione tra i bambini: i figli di genitori ebrei e/o statunitensi trovano nell’ambito della loro comunità un supporto socio-sanitario adeguato all’esecuzione “sicura” di tale pratica, mentre le condizioni economiche di molte famiglie immigrate non permettono loro di affrontare il costo dell’intervento in ambito sanitario o la spesa di un viaggio in patria e ricorrono a pratiche tradizionali in casa, esponendo il bambino al rischio di gravi complicazioni.
Allo stato attuale si delinea un “approccio politico di integrazione” dato il forte radicamento e la valenza simbolica della pratica nei gruppi religiosi e culturali che la eseguono. “Il divieto”, potrebbe incrementare il ricorso alle circoncisioni clandestine, aumentando quindi i rischi della pratica eseguita da persone non qualificate e in ambiente non idoneo, con conseguenze talora fatali per il minore. Le soluzioni intraprese in alcune Regioni, seppure disomogenee, per limitare le circoncisioni “clandestine” sembrerebbero far emergere un indirizzo politico che “preferisce” la via dell’integrazione nel difficile bilanciamento delle problematiche che riguardano i minori.
Per quanto riguarda l’offerta dell’intervento, il Centro nazionale di bioetica (Cnb), nel parere espresso nel 1998, ritiene che la circoncisione religiosa o rituale non debba essere a carico dello Stato, ma offerta da medici privati o praticata in strutture pubbliche in regime di attività libero professionale; questo perché lo Stato, per il principio di laicità, non può agevolare e sostenere solo l’interesse di una specifica e determinata confessione religiosa. D’altro canto, a parere “solo” di alcuni componenti del Cnb l’ammissione alla pratica assistita dal Ssn, “potrebbe favorire una piena e effettiva integrazione nel nostro sistema sociale e sanitario di coloro, cittadini o stranieri, per i quali la circoncisione rileva in modo essenziale sul piano della costruzione della loro identità personale e quindi del loro bene umano: sotto questo profilo, oltre a doversi ritenere giuridicamente lecita, essa andrebbe considerata altresì eticamente auspicabile”.
Il Protocollo d’Intesa tra Ministero della salute e Federazione italiana medici pediatri, sottoscritto a settembre 2008, finalizzato a una maggiore tutela della salute dell’infanzia in relazione alla pratica della circoncisione rituale clandestina, sancisce che tale pratica è a tutti gli effetti un intervento chirurgico e, come tale, deve essere sempre praticato da un medico in una struttura sanitaria adeguata che assicuri il rispetto delle norme di igiene, per evitare complicanze invalidanti e conseguenze drammatiche [7]. Nel 2019, anche l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza è intervenuta sulla circoncisione rituale con una nota di raccomandazione al ministro della Salute in cui ha ribadito la necessità di assicurare che la prestazione sia garantita e standardizzata su tutto il territorio nazionale, e che venga effettuata ad un regime tariffario adatto a tutte le fasce di reddito. [8]
Consentire di effettuare l’intervento nell’ambito del Ssn garantirebbe un’opzione sicura alternativa alla clandestinità e una possibilità di stringere un rapporto di fiducia basato sulla cura e tutela della persona, un’alleanza terapeutica fin dalla più tenera età e che coinvolgerebbe il bambino, eventuali fratelli e sorelle e i genitori. Inoltre, a questo riguardo, non è da sottovalutare l’impatto che l’apertura a questo tipo di servizio possa avere, a medio-lungo termine, sull’inclusione delle popolazioni straniere che spesso incontrano difficoltà nell’integrarsi anche da un punto di vista sanitario, oltre che sociale, come alcuni dati – più frequentemente sullo scarso raggiungimento, da parte delle cure primarie, di queste popolazioni – dimostrano.
Elena Sciurpa
Coordinamento Centri di informazione salute immigrati
Gruppi locali immigrazione e salute – GrIS Piemonte
Nota. L’articolo è tratto dal report finale del gruppo di lavoro multidisciplinare “Circoncisione rituale in Piemonte” coordinato dalla dottoressa Luisa Mondo. La redazione del report è stata curata dalla dottoressa Elena Sciurpa.
Bibliografia
1. Circoncisione. Bartolazzi incontra Aodi (Amsi): “Stiamo lavorando a soluzione congiunte per evitare altre morti di bimbi innocenti” (salute.gov.it)
2. Legge 9 gennaio 2006, n. 7 – Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazioni genitali femminile)
3. Comitato nazionale per la bioetica. Presidenza del Consiglio dei Ministri. La circoncisione: profili bioetici. 25 settembre 1998 [Testo integrale]
4. Atti del Consiglio d’Europa: Risoluzione. Il diritto dei bambini all’integrità fisica. 01/10/2013 [Testo integrale]
5. Atti del Consiglio d’Europa: Risoluzione. Libertà di religione e convivenza in una società democratica. 30/09/2015 [Testo integrale]
6. Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali. Protocollo di intesa per la prevenzione della circoncisione rituale clandestina tra il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e la Federazione Italiana Medici Pediatri, FIMP. Roma, 18 settembre 2008
7. Garante per i diritti dell’infanzia e adolescenza. Circoncisione rituale, raccomandazione dell’Autorità garante al ministro della Salute. 15 aprile 2019.
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