A cura di Maria Teresa Busca La circolazione eccessiva di informazioni contraddittorie che rende difficile individuare le fonti attendibili e disorienta il pubblico.
Dall’inglese infodemic, info[rmation] (informazione) e [epi] demic (epidemia).
L’infodemia è la circolazione eccessiva di informazioni contraddittorie, spesso non vagliate con precisione, non verificate, che rendono complicato al fruitore orientarsi su un determinato tema per la difficoltà di individuare le fonti non soltanto affidabili, ma anche certe. Questa rapida diffusione di notizie non accurate o incomplete o false è in grado di amplificare gli effetti di un problema.
Questo si manifesta soprattutto quando si verificano eventi particolari che interessano molte persone, proprio quando la comunicazione raggiunge un ruolo cruciale nel dibattito pubblico. La complessità degli argomenti e i tempi della ricerca sono spesso incompatibili con l’informazione frenetica dei nostri giorni. Uno degli esempi più significativi può essere quello di una pandemia: un’epidemia causata da un virus che si diffonde in tutto il mondo. Una pandemia è sempre seguita da un rapido afflusso di ricerche e da una libera condivisione di informazioni, allo scopo di accelerare le scoperte e le nozioni sul virus. La pratica di pubblicare relazioni che non sono state sottoposte a revisione scientifica può avere i suoi vantaggi per la rapidità dell’informazione.
Ma c’è anche il rovescio della medaglia: la disinformazione è un altro aspetto caratteristico della pandemia, e gli studi pubblicati online prima del confronto con altri esperti hanno il loro ruolo nell’ alimentare la diffusione mediatica di dichiarazioni non comprovate, incluse quelle sulla mutazione del virus in forme più letali, sulla sua origine o sul fatto che sia meno mortale di quello che effettivamente è. Può diventare molto difficile districarsi tra le notizie vere e quelle che non lo sono, inoltre alcuni articoli revisionati e confermati possono riportare errori, nella fretta della pubblicazione. Questo mix di errori, magari fatti anche in buona fede, e di disinformazione è indicativo di una diffusa tendenza che caratterizza le pubblicazioni durante una crisi in rapida evoluzione.
Nonostante le obiezioni degli esperti, i casi di disinformazione prendono piede sui social media perché fanno leva sull’emotività umana. E le emozioni alimentano la diffusione virale delle notizie infondate. Ricerche molto accreditate rilevano che le cattive notizie si diffondono di più, più rapidamente, con maggiore profondità e in modo più ampio rispetto alla verità, in ogni categoria di informazione, a volte in misura esponenziale. C’è molto di più in discussione della semplice novità: il modo in cui le persone reagiscono alle storie di carattere emotivo sui social media è intenso e prevedibile; le risposte sono piene di sarcasmo e le false notizie hanno il 70 per cento di probabilità in più di essere ritwittate rispetto alla verità. Entra dunque in gioco una complessa combinazione di fattori psicologici quando un lettore decide di condividere una notizia, e anche persone intelligenti possono finire per contribuire al ciclo della disinformazione.
Ma il fattore più potente che distorce il pensiero critico è quello chiamato “effetto della verità illusoria”: quando si sente qualcosa due volte, è più probabile pensare che sia vero, rispetto al sentirlo una volta sola.
La mente umana è incline al cosiddetto “bias di conferma”, ovvero un modo di interpretare le nuove informazioni in modo da confermare le proprie convinzioni. Si attiva anche il ragionamento motivato: il cervello cerca di mettere insieme il puzzle delle nuove informazioni, facendo collegamenti anche forzati. Ma il fattore più potente che distorce il pensiero critico è quello chiamato “effetto della verità illusoria”, che si può spiegare in questo modo: quando si sente qualcosa due volte, è più probabile pensare che sia vero, rispetto al sentirlo una volta sola. Quindi la ripetizione evidenzia e favorisce le false notizie e le camere di risonanza le trasformano poi in turbini di fraudolente credenze che si autoalimentano.
Maria Teresa Busca Gruppo di ricerca bioetica, Università degli studi di Torino Scuola superiore di bioetica della Consulta di bioetica onlus
Questo testo è tratto dal libroLe parole della bioeticaa cura di Maria Teresa Busca e Elena Nave (Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2021). Per gentile concessione dell’editore.