Gli antichi greci veneravano, tra gli altri, Apollo: dio della divinazione, della musica e delle arti mediche. Nella civiltà greca, infatti, la medicina era intesa come un’arte: una disciplina quasi più umanistica che scientifica, così i greci riuscivano ad immaginare che un dio potesse occuparsi sia di medicina sia di musica. Questo accostamento, oggi, non deve sembrare forzato o insensato poiché sono due mondi che possono ancora comunicare e imparare l’uno dall’altro. Nelle università, soprattutto quelle anglosassoni, sono molto diffuse le orchestre formate esclusivamente da medici o studenti di medicina, sono nate anche per valorizzare la connessione tra due discipline apparentemente lontane: essere musicisti, così come essere medici, richiede empatia e capacità comunicative in modo da tradurre la musica al pubblico e trasmetterne le emozioni.
Ciò che la musica può insegnare al medico è il valore del tempo.
Rodolfo Saracci
Ne abbiamo parlato con Rodolfo Saracci, epidemiologo di fama internazionale e grande appassionato di musica, che ci ha raccontato il suo percorso di innamoramento con l’opera e il suo punto di vista sull’interazione tra le due arti. Per il professor Saracci ciò che la musica può insegnare al medico è il valore del tempo poiché essa non è solo dipendente dal tempo ma è definita da esso e il tempo della musica, oltre un certo limite, non si può alterare. Esistono infatti altri fenomeni, rilevanti per la disciplina medica, che sono dipendenti e intrinsecamente definiti dal tempo, primo fra tutti il momento del colloquio tra il medico e il paziente. Riconoscerne il valore e il rapporto che esso ha con il tempo di esecuzione è fondamentale per evitare pericolose generalizzazioni che rischiano di svuotare il rapporto stesso tra i medici e i pazienti.