Il ruolo della deontologia medica
Il ruolo della deontologia medica. Una riflessione in prospettiva giuridica, di Elisabetta Pulice

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Il ruolo della deontologia medica. Una riflessione in prospettiva giuridica, di Elisabetta Pulice
Foto di Artotem - Reflections / CC BY
Da alcuni decenni la deontologia medica ha assunto crescente attenzione non solo “interna”, ma anche – e forse in maniera più significativa – “esterna” alla categoria professionale di riferimento [1]. Si tratta di un fenomeno che caratterizza vari Paesi europei e si unisce alla più generale attenzione alla “codificazione dell’etica” in molti ambiti professionali [2]. In questa prospettiva, la deontologia medica e, in particolare, il codice deontologico presentano caratteristiche peculiari in ragione del ruolo che possono (e dovrebbero) svolgere a tutela dei diritti e delle posizioni morali sulle quali incide l’attività medica.
Proprio dall’evoluzione che ha portato il Codice di deontologia medica (Cdm) a “uscire” da una, non più sostenibile, dimensione di mera regolamentazione dei rapporti interni alla categoria per occuparsi – parallelamente all’evoluzione della bioetica [3] – (anche) di diritti fondamentali e di questioni eticamente sensibili discendono la crescente attenzione dell’ordinamento giuridico ai suoi contenuti e al suo ruolo e, quindi, le reciproche interazioni tra deontologia e diritto [4].
Il codice deontologico, per sua stessa Definizione (art. 1), identifica le “regole, ispirate ai principi di etica medica, che disciplinano l’esercizio professionale”, che il medico “deve conoscere e rispettare” e che ne “regola anche i comportamenti assunti al di fuori dell’esercizio professionale quando ritenuti rilevanti e incidenti sul decoro della professione”. Il dovere si estende agli indirizzi applicativi allegati che, insieme al giuramento professionale, sono parte costitutiva del codice stesso.
Ma qual è il rapporto tra la deontologia medica, così come razionalizzata nel Cdm, e il diritto? La risposta a questa domanda è particolarmente complicata nell’ordinamento italiano poiché, nonostante alcune precisazioni della legge cd. Lorenzin, non esiste una norma che definisca, come avviene in altri ordinamenti europei, la natura giuridica del Cdm.
In Italia, quindi, il suo valore giuridico deve essere ricostruito attraverso le varie forme di rilevanza che le norme deontologiche, o la loro violazione, hanno sul piano dell’ordinamento giuridico.
La natura giuridica dei Cdm in prospettiva comparata| In alcuni ordinamenti europei la forma giuridica assunta dal Cdm è definita dalla legge. In Francia, ad esempio, per espressa previsione legislativa il Cdm è elaborato e approvato dal Consiglio nazionale degli ordini dei medici nella forma di una specifica fonte del diritto: il décret en Conseil d’Etat, ossia un decreto per il quale è obbligatorio il parere del Consiglio di Stato. Il Cdm viene infatti pubblicato sul Journal Officiel (l’equivalente funzionale della Gazzetta Ufficiale) e dal 2004 è integrato in un codice statale, il Code de la Santé Publique. Similmente, in Germania il codice deontologico elaborato dalla categoria professionale diventa una specifica fonte del diritto (Satzung) la cui adozione è affidata dalla legge alle camere professionali [5].
Non è possibile essere esaustivi in questa sede, ma un primo elemento da considerare dal punto di vista giuridico sono il dovere di vigilanza sul decoro e l’indipendenza della professione e la potestà disciplinare affidati agli ordini delle professioni sanitarie dalla normativa che ne ha disciplinato la ricostruzione nel secondo dopoguerra [6]. Su queste funzioni si basa l’elaborazione del Cdm, benché fino alla legge cd. Lorenzin non fosse espressamente nominato. Le sanzioni per violazione delle norme del Cdm sono definite da una fonte statale [7] e incidono sulla vita professionale degli iscritti. Le conseguenze sanzionatorie per violazione del codice rappresentano, quindi, una sua diretta forma di rilevanza giuridica.
È bene ricordare che, alla luce della Costituzione del 1948 e della giurisprudenza costituzionale, tali poteri e funzioni degli ordini sono preordinati al raggiungimento e alla tutela di fini pubblici. Secondo la Corte costituzionale, tra l’altro, proprio la tutela di interessi pubblici giustifica la limitazione della cosiddetta libertà “negativa” di associazione (ossia la libertà di non associarsi) [8] derivante dall’obbligo di iscrizione agli ordini professionali [9].
Come recentemente ribadito dalla Consulta in una pronuncia sul conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (nel caso di specie tra l’Ordine professionale di Bologna e la Regione Emilia-Romagna [10].), gli ordini sono enti pubblici non economici sussidiari dello Stato, le cui funzioni sono espressamente ricondotte dalla Corte alla sfera di competenza statale. Più precisamente, gli ordini sono “organismi associativi a partecipazione obbligatoria cui il legislatore statale ha affidato poteri, funzioni e prerogative, sottoposti a vigilanza da parte di organi dello Stato, preordinati alla tutela di interessi di rilievo costituzionale” [11].
Ne emerge quindi un elemento significativo nella ricostruzione dei rapporti tra diritto e deontologia, e tra Stato e professione, che caratterizzano il Cdm: la tutela di beni di rango costituzionale.
La legge cd. Lorenzin, il ruolo degli ordini professionali e il Cdm| Le disposizioni della legge n. 3 del 2018 che più interessano gli ordini, il codice deontologico e la responsabilità disciplinare sono contenute nella parte relativa al riordino delle professioni sanitarie. L’articolo 4 definisce gli ordini e le relative federazioni nazionali come “enti pubblici non economici che agiscono quali organi sussidiari dello Stato al fine di tutelare gli interessi pubblici, garantiti dall’ordinamento, connessi all’esercizio professionale”. Ne precisa gli obiettivi, le funzioni nonché i profili di autonomia: patrimoniale, finanziaria, regolamentare e disciplinare. Nomina espressamente l’approvazione ed emanazione del codice deontologico tra i compiti delle federazioni nazionali; richiama il ruolo del codice deontologico nell’indicazione dei diritti umani e dei principi etici dell’esercizio professionale la cui salvaguardia dev’essere promossa e assicurata dagli ordini, unitamente all’indipendenza, all’autonomia, alla responsabilità, alla qualità tecnico-professionale e alla valorizzazione della funzione sociale della professione. Infine, la legge precisa alcuni principi in materia di procedimento disciplinare tra i quali la graduazione delle sanzioni correlata alla volontarietà della condotta, alla gravità e reiterazione dell’illecito. A dimostrazione delle inevitabili interrelazioni tra normativa deontologica e altre discipline previste dall’ordinamento giuridico, la legge stabilisce che nell’irrogare le sanzioni gli ordini debbano tenere conto anche degli obblighi a carico dei professionisti derivanti dalla normativa nazionale e regionale vigente e dalle disposizioni contenute nei contratti e nelle convenzioni nazionali di lavoro.
Con specifico riferimento alla natura giuridica delle norme deontologiche, in assenza di una definizione legislativa è interessante richiamare l’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Cassazione. Dopo un primo orientamento in base al quale le norme deontologiche erano “precetti extra-giuridici ovvero regole interne alle categorie e non già […] atti normativi” [12]., la Corte ha modificato la sua giurisprudenza definendo le norme deontologiche “norme giuridiche vincolanti nell’ambito dell’ordinamento di categoria” e specificazione delle clausole generali contenute nella legge professionale [13]., fino ad arrivare al principio giuridico pronunciato nel 2007 dalle Sezioni Unite, secondo il quale le norme deontologiche sono “fonti normative integrative di precetto legislativo […] interpretabili direttamente dalla corte di legittimità” [14].. Va però ricordato come tale giurisprudenza non sia uniforme, a dimostrazione delle incertezze che ancora caratterizzano il modello italiano [15]..
Ciò nonostante, il ruolo di integrazione delle fonti di disciplina dell’attività medica che le norme deontologiche possono svolgere rappresenta un’ulteriore forma di rilevanza del Cdm sul piano dell’ordinamento giuridico. Le norme deontologiche possono rappresentare, infatti, parametri di valutazione delle condotte del professionista, nei giudizi di responsabilità sia civile sia penale. Ne sono un esempio l’individuazione giudiziale della condotta conforme ai principi di correttezza e diligenza professionale o la possibilità, riconosciuta da parte della dottrina, di considerare le regole deontologiche di natura cautelare come “discipline” la cui violazione è fonte di colpa penale ai sensi dell’art. 43 del codice penale [16].
A differenze della responsabilità disciplinare, queste forme di rilevanza del Cdm sono quindi mediate dal riferimento ad altre norme, princìpi, clausole dell’ordinamento giuridico.
Va infine sottolineato come il menzionato legame tra Cdm e diritti fondamentali abbia portato la giurisprudenza a riconoscere il ruolo della deontologia e delle istituzioni ordinistiche nel tutelare i diritti costituzionali del paziente, anche in questioni controverse sul piano non solo etico e professionale, ma anche giuridico [per alcuni casi esemplificativi, vedi nota 17].
Tale rilevanza della deontologia è spesso legata alla valorizzazione e tutela dei principi di autonomia e responsabilità professionale. Proprio questo aspetto ha permesso al Cdm di assumere la citata attenzione nei dibattiti pubblici, potendo unire alle tradizionali funzioni delle discipline deontologiche inediti ruoli come possibile fonte del (bio)diritto in ambiti in cui il dialogo con la componente tecnico-scientifica ed etico-professionale sono essenziali per il diritto.
Elisabetta Pulice
PhD, Ricercatrice presso il Laboratorio dei Diritti fondamentali del Collegio Carlo Alberto di Torino
Collaboratrice alla didattica e alla ricerca presso la Facoltà di Giurisprudenza, Università di Trento
Note bibliografiche
1. Le considerazioni contenute nel presente contributo si basano sul lavoro di tesi di dottorato in cotutela italo-francese dell’autrice: Il ruolo della deontologia medica nel sistema delle fonti del diritto: un’analisi comparata. Le rôle de la déontologie médicale dans les sources du droit: analyse comparée, Trento-Nanterre, 2014 in corso di aggiornamento e pubblicazione in E. Pulice, Deontologia e diritto. Modelli comparati, criticità e prospettive in ambito biomedico, Napoli. Cfr. inoltre, L. Ferrero, E. Pulice, C, Vargas, Pluralismo etico e conflitti di coscienza nell’attività ospedaliera, Volumi I e II, Bologna, 2021, pp. 18 e ss.
2. Alla codificazione dell’etica come un “fenomeno del nostro tempo” faceva già riferimento, ad esempio, B.G. Mattarella in Le regole dell’onestà, Etica, politica, amministrazione, Bologna, 2008, p. 139. All’“emergenza deontologica” è significativamente intitolato un volume di C. Sartea, L’emergenza deontologica, Contributo allo studio dei rapporti tra deontologia professionale, etica e diritto, Roma, 2009, ma il fenomeno è ripreso da molti altri autori in diversi ambiti dell’etica professionale. Per quanto riguarda la deontologia medica, si vedano, ad esempio, E. Quadri, Codice di deontologia medica, in Alpa G., Zatti P., Codici deontologici e autonomia privata, Milano, 2006. In prospettiva comparata, il tema è stato affrontato, ad esempio, in J. Moret-Bailly, Les déontologies, Aix-en-Provence, 2001 e più recentemente in J. Moret-Bailly e D. Truchet, Droit des déontologies, Paris, 2016.
3. Interessante da questo punto di vista l’evoluzione descritta in P. Benciolini, La deontologia dai galatei ai codici deontologici, in La professione. Medicina scienza etica e società, 2010, p. 261.
4. Cfr., ad esempio, E. Quadri, Il codice deontologico medico ed i rapporti tra etica e diritto, in Responsabilità civile e previdenza, 2002, p. 925 e Id., Codice di deontologia medica, cit., G. Iadecola, Le norme della deontologia medica: rilevanza giuridica ed autonomia di disciplina, in Rivista Italiana di Medicina Legale, 2, 2007.
5. E. Pulice, La deontologia come fonte del diritto. La codificazione dell’etica medica in Francia, Germania e Italia, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, 3, 2017; Moret-Bailly, Les déontologies, cit.; V. Cabrol, La codification de la déontologie médicale, in «Revue générale de droit médical», 16, 2005, pp. 103-123; R. Ratzel et al., Kommentar zur Musterberufsordnung der deutschen Ärzte [MBO], Berlin-Heidelberg, Springer, 2018.
6. D.Lgs.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233.
7. Si veda l’art. 40, D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221 oltre a quanto precisato in merito alla legge n. 3 del 2018. Per un approfondimento sui rapporti tra Stato e ordini professionali, anche con riferimento al procedimento disciplinare, cfr. nota n.1.
8. Libertà derivante dall’art. 18 della Costituzione “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale”.
9. Cfr., ad esempio, Corte costituzionale, sentenze n. 69 del 1962, e nn. 11 e 98 del 1968.
10. La controversia è scaturita dal caso della radiazione di un assessore regionale. Per un approfondimento dei profili deontologici si permetta il riferimento all’articolo: Gristina G, Pulice E. Il sistema sanitario di emergenza italiano tra prove e rischi di corporativismo: il “caso Bologna”. Part I: Le prove / Parte II: Deontologia e diritto. Recenti Prog Med 2019; 110: 168-87.
11. Corte costituzionale, sentenza n. 259 del 2019.
12. Cass. Sez. III civ. 10 febbraio 2003, n. 1951.
13. Cass., sentenza n. 8225 del 6 giugno 2002; Cass., Sez. Unite, sentenza n. 5776 del 23 marzo 2004 e Sez. III civ., sentenza n. 13078 del 14 luglio 2004.
14. Cass. civ. Sez. Unite, sentenza n. 26810 del 20 dicembre 2007.
15. In una sentenza del 2013, richiamata anche dalla Corte costituzionale (sent. n. 180 del 2018), la Corte di Cassazione ha, ad esempio, negato il “carattere normativo” del codice deontologico (Cass. civ. Sez. Unite, sent. n. 15873 del 25 giugno 2013 e Cass., Sez. III, sentenza n. 19246 del 29 settembre 2015).
16. Cfr., ad esempio, Brusco C. La responsabilità sanitaria civile e penale. Orientamenti giurisprudenziali e dottrinali dopo la legge Gelli-Bianco. Torino: Giappichelli, 2018. pp. 56 ss. e p. 63; Angioni F. Il nuovo codice di deontologia medica, in «Criminalia», 2, 2007, pp. 277-289; M. Caputo, Colpa penale del medico e sicurezza delle cure, Torino, Giappichelli, 2017.
17. A titolo meramente esemplificativo, il Cdm è citato nella ricostruzione del quadro normativo di riferimento nella sentenza della Corte di Cassazione nel caso Englaro (sentenza n. 21748 del 2007) e in altre sentenze, non solo di legittimità, in tale ambito. Tra le sentenze della Corte costituzionale italiana, si pensi, ad esempio, al riferimento all’autonomia e responsabilità del medico e ai “poteri di vigilanza sull’osservanza delle regole di deontologia professionale, attribuiti agli organi della professione” a presidio dei diritti fondamentali della persona di cui alla sentenza n. 282 del 2002 con cui la Corte ha sindacato la discrezionalità legislativa in rapporto alle acquisizioni scientifiche e sperimentali o al riferimento alla deontologia nella valutazione della legittimità costituzionale le disposizioni del d.l. n. 78 del 2015 recanti indicazioni di appropriatezza prescrittiva (delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale) e le relative condizioni di erogabilità nella sentenza n. 169 del 2017.
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