Mi domando quanto di me sia ciò che resta del vecchio condotto e quanto sia un medico del futuro. Si può essere entrambe le cose?” si chiedeva John Sassall, la cui professione – quella del medico di campagna – viene raccontata e documentata nella sua quotidianità con le parole di John Berger e le foto di Jean Mohr nel libro Un uomo fortunato, storia di un medico di campagna.
Finora il medico ha saputo contemperare il travolgente sviluppo della scienza con l’empatia, mantenendo la relazione umana sia pur servendosi di tecnologie sempre più sofisticate. Una situazione che sta smottando sia sotto il peso di un’amministrazione sempre più pressante sia perché l’uso pervasivo delle tecnologie Ict (information and communication technologies) porta a rendere virtuale la prassi medica.
La telemedicina è entrata nella quotidianità; medici e cittadini hanno chiesto e ottenuto dal Governo la proroga della dematerializzazione della ricetta. Il rapporto tra medico e paziente già si svolge con la mediazione dei social ponendo problemi professionali e di privacy. In realtà, lo sviluppo pervasivo di queste tecnologie, in particolare l’intelligenza artificiale, crea qualche preoccupazione.
Siffatti cambiamenti costringono alla revisione del codice di deontologia, adeguandolo all’epoca delle tecnologie trionfanti e a come queste influenzino il comportamento dei medici. La deontologia è costruita sul confronto tra il medico, che vuol mantenere un’identità stabile nonostante che tutto intorno cambi, e la “persona” i cui aspetti biologici, psicologici e sociali costituiscono un vissuto singolare. Medico e paziente sono identità complesse e mutevoli e la deontologia rappresenta la salvaguardia del loro rapporto.
In realtà il paziente è profondamente cambiato, è esigente, conflittuale, Google-dipendente, e il rapporto col medico si svolge sotto il segno del consenso informato, nel rispetto della libertà di scelta, fino a porre il moderno tema dell’eutanasia.
Quindi non mutano solo società e tecnica; il paziente è percepito come lo è sempre stato nella storia della medicina? Oggi – è lamentazione comune – il medico è costretto a focalizzare la sua attenzione più sul computer che sul paziente, quasi come se la persona, coi suoi problemi e col suo vissuto individuale, fosse un mero flusso di dati raccolti ed elaborati dallo strumento informatico.
La tentazione, affatto palese, è di aumentare, mediante i big data, la produttività del sistema sanitario. Ma lo scopo dell’Ict è seguire più pazienti per unità di tempo o avere più tempo per ciascun paziente?
Artificiale e umano, un binomio possibile?
Comunque, di fronte a questa immane somma di dati, il medico è costretto a dipendere dal computer forse più che dalla propria scienza. Qualcuno ha pensato di sostituire il termine “paziente” (cliente, utente, consumatore), che è persona umana, col termine “datoma”, in analogia con le “omiche”, seguendo la teoria che tutto il mondo biologico sia in definitiva un flusso di dati, compresi gli aspetti psicologici e sociali. Esiste già letteratura su questo argomento (cito tra tutti l’articolo di Rodolfo Saracci “Epidemiology in wonderland: big data and precision medicine” pubblicato sull’European Journal of Epidemiology).
La moderna tecnologia informatica trasforma il servizio sanitario in un sistema datacentrico, e il medico in un elaboratore di dati in una dialettica instabile con l’intervento umano. È il medico che si serve del computer o il computer ha bisogno di un medico?
L’ideale sarebbe il lavoro congiunto dell’intelligenza artificiale e dell’intelligenza umana per ottenere i massimi benefici per il paziente salvaguardando la qualità della relazione e, nello stesso tempo, fornendo i dati utili all’assistenza della collettività. Sono indubbi i benefici apportati dall’enorme massa di dati di cui disponiamo e di cui in maggior misura disporremo, sia sul piano scientifico e conoscitivo che per il singolo paziente.
Molti più dati, ma a quale prezzo?
Ma qui è l’intoppo. Perché l’enorme massa di dati, che aiuterà il medico nella diagnosi e nella prognosi, quanto farà perdere in conoscenza della persona e quindi, lost in traslation, in rapporto umano? La produttività non è un criterio sufficiente, una sonata di Beethoven dura lo stesso tempo ora e quando fu eseguita la prima volta e non possiamo spiegarne le emozioni in termini di fisica acustica.
In realtà, dobbiamo ancora riuscire a prevedere e dominare la distorsione della relazione qualora il paziente si presentasse come un flusso di dati a un medico divenuto quasi per inerzia appendice del computer.
Questa relazione virtuale (già sperimentata in Babylon) si fonda su algoritmi nutriti di analisi statistiche elaborate deep learning. Che garanzia c’è? Inoltre costringono il medico a imparare una nuova lingua. La relazione tra medico e paziente è fondata su un linguaggio condiviso, una via di mezzo tra divulgazione scientifica e vernacolo locale, un lessico individuale utile per passare dalla narrazione alla compliance. Tutto questo deve essere ricreato avendo un computer sul tavolo, come un sipario tra medico e paziente, diaframma non metaforico ma fattuale.
I pazienti lamentano che il medico ha sempre gli occhi volti al computer e non a loro: il dilemma della medicina moderna è di trasformare le Ict da ostacolo tra medico e paziente a comune linguaggio.
Non ci sono più i pazienti di una volta né i medici di una volta. Di fronte a un vero cambiamento di epoca le vecchie ideologie non bastano più, né se ne affacciano di nuove capaci di rispondere alla rabbia o al timore del futuro che pervade la società.
“Il malato aiuti il medico a combattere la malattia”: l’aforisma di Ippocrate presuppone un’alleanza terapeutica. Resterà tale o dobbiamo immaginare questa relazione come mediata dal computer di cui l’intelligenza artificiale è un formidabile strumento? I pazienti lamentano che il medico ha sempre gli occhi volti al computer e non a loro: il dilemma della medicina moderna è di trasformare le Ict da ostacolo tra medico e paziente a comune linguaggio.
La nuova deontologia e l’incontro clinico
Prima di innovare il codice deontologico occorre riflettere non solo su quanto e come la tecnologia informatica, l’intelligenza artificiale in particolare, influenzi l’epistemologia medica, ma anche sui mutamenti che porta alla relazione tra una paziente “datoma” e un medico che consegna alla macchina l’elaborazione di quel flusso di dati. Nonostante il coro delle lamentazioni la relazione sembra dominata dal computer, vissuto, inoltre, quale strumento dell’amministrazione.
Finora medico e paziente erano protagonisti indiscussi dell’incontro clinico, oggi l’attore principale è il computer. È un periodo di transizione, come andrà a finire?
Un’ultima – almeno per ora – preoccupazione. Ad oggi il medico tiene la cartella clinica che è di sua proprietà mentre i dati appartengono al paziente; una doppia sicurezza. Quando tutti i dati, elaborati ai fini clinici, saranno nel cloud, chi sarà garante del segreto professionale?
“Si può essere entrambe le cose, ipertecnologico e umano?”. La domanda, posta negli anni Sessanta dal collega inglese John Sassall, capace di utilizzare le tecnologie allora disponibili e, nello stesso tempo, di mantenere il ruolo del vecchio medico amico, filosofo, conoscitore dell’animo umano, è oggi ancor più pertinente, anzi è la sfida del futuro. Finora medico e paziente erano protagonisti indiscussi dell’incontro clinico, oggi l’attore principale è il computer. È un periodo di transizione, come andrà a finire?
Antonio Panti Medico di medicina generale Commissione deontologica nazionale della FNOMCeO Comitato regionale di bioetica della Toscana