“Mamma sono gay”. “Nel mio corpo non mi sento bene”.
L’imprevisto! L’imprevisto per eccellenza! È un imprevisto perché nessuno ci abitua all’idea della omosessualità o dell’incongruenza di genere. Quando sei incinta ti dicono “è maschio” o “è femmina”, ti preoccupi che non ci siano malattie ma dai per scontata la eterosessualità o la congruenza di genere, sempre! Per cui quando tuo figlio ti dice “sono gay” oppure “nel mio corpo non mi sento bene” è una sorpresa. Ti senti crollare il terreno sotto i piedi, saltano tutti i punti di riferimento, le certezze vacillano e ti ritrovi smarrito di fronte a qualcosa che non conosci.
È un imprevisto perché nessuno ci abitua all’idea della omosessualità o dell’incongruenza di genere.
Tuo figlio ha fatto un grosso sforzo per aprirsi con te e tu non sei in grado di fare o dire alcunché perché non sai nulla! Capita anche che qualche genitore si renda conto di essere pieno di pregiudizi che non pensava di avere. È lo stesso figlio di poco prima, lo ami come lo amavi poco prima ma hai un disperato bisogno di aiuto e di conoscenza. Parlando di persone omosessuali e transgender vengono subito in mente malcostume, perversione, prostituzione, malattia. Questo ci rimandano i mass media. Ma tuo figlio non ha nulla di quegli elementi. È un ragazzo che per tanto tempo ha vissuto nel nascondimento, con comprensibile profonda sofferenza, a causa della tua totale mancanza di conoscenza e a causa di una realtà omotransfobica.
Spetta a noi genitori sostenere i nostri figli. Se non lo facciamo noi, chi lo farà?
Il coming out di un figlio spesso provoca frizioni e tensioni in una famiglia. Si pensa ad uno stato transitorio di confusione, ad un contagio di cattive compagnie, a una moda o che sia una scelta da cui si può tornare indietro. Ma nessuno sceglierebbe, scientemente, di far parte di una minoranza derisa, ostracizzata, discriminata, aggredita verbalmente e fisicamente e anche uccisa.
Spetta a noi genitori sostenere i nostri figli. Se non lo facciamo noi, chi lo farà? A questo punto per i genitori inizia un percorso difficile di formazione, di studio, di conoscenza. Facciamo un grosso sforzo per metterci noi stessi la faccia, perché non è facile. Così come i nostri figli vivono sulla propria pelle la discriminazione e lo stigma sociale, allo stesso modo le famiglie vivono un problema analogo; metterci la faccia, cioè dire “ho un figlio omosessuale o transgender, ne sono orgoglioso, sono felice, mio figlio è una brava persona” non è facile perché anche noi genitori ci scontriamo con lo stigma sociale: “Hai un figlio omosessuale/transgender? Ma come mi dispiace!”. Come se fosse una malattia! No, non è una malattia, è una caratteristica assolutamente naturale e sana dei nostri figli. Quindi noi lottiamo, lavoriamo affinché siano loro riconosciuti dignità e diritti dovuti ad ogni essere umano.
Il medico, per il suo ruolo sociale, può fare la differenza promuovendo la diffusione di un approccio corretto alle tematiche lgbt+.
Vorremmo ricordare che “il 17 maggio 1990 l’Oms cancella l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali definendola una ‘variante naturale del comportamento’ che prevede l’attrazione sentimentale e/o sessuale tra individui dello stesso sesso” [1]. E ancora sempre l’Oms, con la revisione dell’Icd-11 pubblicata il 18 giugno 2018, ha aperto la strada verso la completa depatologizzazione della condizione delle persone transgender e inserito l’incongruenza di genere in un nuovo capitolo, appositamente creato, sulla salute mentale. Per noi “è importantissimo sottolineare che ‘essere transgender’ e ‘provare una disforia di genere’ non sono sinonimi e che non tutte le persone transgender sono disforiche. Ed è importantissimo domandarsi quanto la disforia di genere nasca da un sentimento proprio della persona e quanto dalla pressione che la società esercita su di essa” [2].
Nonostante i pronunciamenti dell’Oms la sofferenza dei nostri figli è molto forte e profonda. A causa dei pregiudizi sociali possono presentare: senso di colpa, comportamenti di ritiro come l’abbandono scolastico, l’autoemarginazione e l’isolamento, alterazioni nella sfera affettivo-relazionale, problemi psicosomatici, depressione, ansia, insonnia, uso di sostanze, comportamenti autodistruttivi, tentativi volti a tenere nascosta la propria omosessualità con la conseguenza di una dolorosa discrepanza tra identità pubblica e privata, e quindi di sentimenti di inautenticità che investe sia gli ambiti sociali che emozionali e cognitivi, problemi sessuali, pensieri o tentativi suicidari.
È frequente, in questa situazione di sofferenza, che i genitori si rivolgano al medico coinvolgendolo per il suo ruolo professionale. Ma anche quando questa sofferenza non arriva al medico, cionondimeno essa è presente nella comunità in cui il medico opera. Il medico, per il suo ruolo sociale, può fare la differenza promuovendo la diffusione di un approccio corretto alle tematiche lgbt+.
Agedo Torino
Bibliografia
1. Broggi E, Ragaglia EM (a cura di). Agedo. Sei sempre tu – Guida informativa su omosessualità e varianza di genere. Trento: Erickson, 2022. Pag. 21. 2. Broggi E, Ragaglia EM (a cura di). Agedo. Sei sempre tu – Guida informativa su omosessualità e varianza di genere. Trento: Erickson, 2022. Pag. 41.
Il libro di Agedo Sei sempre tu. Guida informativa su omosessualità e varianza di genere, a cura di Elena Broggi e Enrico Maria Ragaglia, è scaricabile gratuitamente a partire da questo link.
AGeDO (Associazione Genitori Di Omosessuali – Genitori, parenti e amici di persone LGBT+) è nata nel 1993 e conta oggi 32 sedi territoriali. La mission è, inizialmente, l’accoglienza e il sostegno dei genitori dopo il coming out del figlio . Con gli anni Agedo ha sviluppato un enorme lavoro di sensibilizzazione e di formazione con EE.LL., istituzioni, aziende, scuole, mondo cattolico: “Sentiamo la necessità e la responsabilità di impegnarci affinché anche l’ambiente esterno migliori e diventi accogliente e sicuro per i nostri figli”. Per maggiori informazioni: www.agedonazionale.org