Cura cari. Per il titolo del suo romanzo autobiografico l’autore Marco Annicchiarico dichiara di essersi ispirato a un neologismo (“curacari” appunto) coniato da Franco Pagano, rispetto al quale scrive di essersi “limitato a separare le due parole”. Questa scelta terminologica rappresenta quindi il leit motiv della narrazione e fin dall’inizio immerge il lettore in un universo di significati teso a ridefinire la figura ben nota, ma proprio per questo spesso stereotipata, del caregiver.
La cura dei propri cari propone infatti un diverso ordine di complessità alla relazione, non soltanto basata sul dare e ricevere cure, ma intimamente connessa col piano delle risonanze affettive che riguardano il reciproco riconoscimento identitario dei protagonisti. Una dimensione quindi che propone ben altre sfaccettature e più profonde implicazioni rispetto a quelle che si attivano nell’ambito della relazione di cura professionale (o anche volontaristica) meno direttamente coinvolta nella definizione delle identità dei partecipanti.
Fragilità e bisogni allo specchio
Il piano della sollecitazione affettiva, quello del riconoscimento dei rispettivi ruoli nella relazione, è senz’altro presente anche nell’accezione del “caregiver”. In particolare, è comunque presente quella componente ben nota a chi riveste ruoli professionali di aiuto rappresentata dalla sollecitazione di propri vissuti di fragilità attivata dal sistematico e pervasivo confronto con la fragilità altrui. I professionisti dell’aiuto conoscono questa dimensione e la affrontano e la risolvono con diverse strategie, ivi comprese, necessariamente, quelle difensive rispetto ad un impatto eccessivo sulla sollecitazione della propria fragilità, ma anche, come è noto, andando a volte incontro a condizioni di burnout. Ma se questa dimensione è in ogni caso ineluttabile, obbligata per chiunque, anche solo temporaneamente e occasionalmente, si venga a trovare in una posizione di cura nei confronti di un altro, la condizione di chi si trova ad assumere la cura dei propri familiari comporta, come si accennava, onde di risonanza di ben diversa intensità e di tutt’altra qualità.
il confronto con quella che si presenta come la “fragilità assoluta” evoca immagini che immediatamente sollecitano quelle reciproche della propria fragilità, in quanto vanno a toccare nuclei profondi del proprio senso di identità.
Quando, ad esempio, si diventa genitori (si tratta spesso, se non ci sono state vicende familiari che lo abbiano richiesto in precedenza, del primo impatto con la necessità di prendersi cura di qualcuno in modo totalizzante), il confronto con quella che si presenta come la “fragilità assoluta” evoca immagini che immediatamente sollecitano quelle reciproche della propria fragilità, in quanto vanno a toccare nuclei profondi del proprio senso di identità.
La cura dei cari propone quindi questa realtà di una relazione sempre doppia, all’interno della quale, in un continuo gioco di specchi, i ruoli di chi offre e di chi riceve le cure, pur se apparentemente chiari e ben definiti da condizioni oggettive (l’infanzia, la malattia, in generale il “bisogno”), si sovrappongono e si confondono creando continui corto circuiti tra il piano dell’attenzione ai bisogni dell’altro e quello della potente attivazione dei propri.
Un figlio, una madre, e la malattia
Tornando al romanzo, quello che l’autore ci presenta è il ritratto di una relazione in cui un figlio e una madre (e – anche come figura forse più sfocata, ma comunque molto presente nella sua solo apparente marginalità – un padre) si confrontano in una relazione caratterizzata dalla progressiva evoluzione della demenza di lei e dalla reciproca necessità di farsene carico da parte di lui.
Il romanzo ci conduce passo passo in quella che, da un punto di vista della cronaca, è la progressiva evoluzione (ci piace usare comunque questo termine anche quando la realtà sembra proporre una involuzione) dei “deficit” e, rispettivamente, della necessità di cure, attenzioni, protezioni sempre più avvolgenti e totalizzanti.
Ci viene proposta la dinamica interiore del figlio inesorabilmente attratto da un lato dalle incombenze di cura crescenti e, dall’altro, dalla necessità imprescindibile di dare un senso a quello che sta vivendo. Gli stati d’animo oscillano continuamente e toccano diversi registri.
Al tempo stesso, ci viene proposta la dinamica interiore del figlio inesorabilmente attratto da un lato dalle incombenze di cura crescenti e, dall’altro, dalla necessità imprescindibile di dare un senso a quello che sta vivendo. Gli stati d’animo oscillano continuamente e toccano diversi registri. Dallo sconcerto al panico, dalla disperazione all’impotenza, dalla rabbia alla colpa, ma anche, piano piano, in direzione della curiosità, della ri-scoperta dell’altro, e quindi di sé, in nuove forme. È proprio la disorganizzazione progressiva del sé della madre a proporre al figlio una parallela, reciproca esperienza di disorganizzazione: delle certezze, dei significati, persino dei ricordi. Ma al tempo stesso, come accade in natura in ogni processo di disorganizzazione, il protagonista si confronta con i tentativi di ri-organizzazione. Inizia quindi a scorgere nei discorsi apparentemente sconclusionati della madre le tracce di immagini fino a quel momento sconosciute, i tentativi di colmare i vuoti con altre storie (soltanto assurde?), con altri ricordi (soltanto falsi?), con altre modalità di rapporto (soltanto disinibite?).
E quindi, parallelamente al processo di decadimento si evidenzia quello di ricostruzione, che resta misterioso nella madre, ma che nel figlio propone, oltre all’incanto del confronto col mistero, la necessità, e gradualmente il desiderio, di dare direzioni diverse alla sua vita, di concedersi nuove possibilità. Tutto questo è espresso dall’autore attraverso la contaminazione tra differenti stili espressivi. Alla cronaca quasi quotidiana degli accadimenti, del progredire della malattia, degli eventi familiari, si sovrappone e interseca l’intreccio romanzesco, l’elevarsi di quella storia particolare a Storia universale, a vero e proprio modello delle relazioni familiari con i loro correlati di emozioni (espresse o meno) e di attribuzioni di significato. Ma oltre a questo, un’ulteriore contaminazione avviene attraverso gli inserti di forme poetiche, come a segnalare la presenza di elementi indicibili, non trattabili nella forma della narrativa e quindi esprimibili solo attraverso la polivalenza e la proiettività caratteristiche della poesia.
In cerca di risposte
Resta infine da sottolineare un aspetto che può apparire marginale rispetto al prevalere dell’intensità del dramma personale e familiare, ma che fornisce al romanzo un’ulteriore, non secondaria cornice di senso. Si tratta della cornice sociale, o più propriamente e indiscutibilmente politica, che lo abbraccia e i cui rimandi sono costanti nel testo.
Il confronto del protagonista e dei suoi cari con le istituzioni preposte a ricevere sul piano professionale le richieste di aiuto costituisce un altro dei numerosi cerchi concentrici su cui il romanzo si sviluppa.
Fra tutti i riferimenti proposti è sufficiente a questo proposito una significativa frase dell’autore: “Se sei un caregiver (ma potremmo senz’altro e a maggior ragione aggiungere: e soprattutto un “cura cari”) ti capita spesso di essere trattato senza il minimo rispetto”.