Guerra Russia-Ucraina: è scontro sulle riviste scientifiche
Pubblicare o boicottare gli articoli scientifici che arrivano dalla Russia? Ecco il dilemma morale che le riviste medico-scientifiche si trovano ad affrontare in tempo di guerra.

Ops! Per usare il Centro di Lettura devi prima effettuare il log in!
Password dimenticata?Non hai un account? Registrati
Hai già un account? Log in
Pubblicare o boicottare gli articoli scientifici che arrivano dalla Russia? Ecco il dilemma morale che le riviste medico-scientifiche si trovano ad affrontare in tempo di guerra.
La guerra tra Russia e Ucraina si gioca non solo con le armi: anche la ricerca scientifica è stata chiamata a prendere posizione. Mentre tra le “sanzioni”alla Russia sono rientrati aspetti che hanno a che fare con la scienza, le riviste scientifiche si trovano a dover rispondere a una richiesta singolare, proveniente da oltre seimila tra scienziati ucraini e altri sostenitori di tutto il mondo: impedire ai ricercatori russi di pubblicare le proprie ricerche [1, 2].
Ma è giusto boicottare la ricerca russa in segno di protesta? Oppure è un tentativo di isolamento eticamente iniquo? È una riflessione da sviluppare sul confine tra discriminazione e impegno morale e per la quale occorrono, in ogni caso, delle valide giustificazioni.
La maggior parte delle riviste internazionali ha preferito declinare l’invito ucraino e continua a ospitare i risultati delle ricerche russe [3]. Finora, il Journal of Molecular Structure, del gruppo editoriale Elsevier, è l’unico giornale che ha deciso di rifiutare proposte di pubblicazione dalla Russia. Mentre Clarivate, che gestisce la piattaforma Web of Science di indicizzazione delle riviste, l’11 marzo aveva annunciato che stava per chiudere ogni attività commerciale in Russia e che aveva già sospeso la valutazione e indicizzazione di eventuali nuove riviste pubblicate in Russia e in Bielorussia.
La scelta di boicottare | Rui Fastom, direttore del Journal of Molecular Structure, ha spiegato che la redazione ha deciso di rifiutare i lavori firmati da istituti di ricerca russi finanziati dal governo russo (e che a loro volta sostengono) ma non quelli firmati dai ricercatori russi che lavorano per altri enti dentro e fuori i confini russi. Una scelta dettata dalle gravi implicazioni umanitarie dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia: la situazione eccezionale in cui versa oggi l’Ucraina richiedere decisioni eccezionali, anche se in apparenza contrarie ai valori del fair play sostenuti della casa editrice Elsevier. ‟Sottolineo che alla base della nostra scelta non vi è alcun giudizio politico (le ragioni dell’invasione non sono la causa della nostra azione), né tanto meno al giudizio di razza, genere, orientamento sessuale, credo religioso, origine etnica, cittadinanza o di orientamento politica”. Mettere degli ostacoli diventa un atto dovuto di coscienza. Diversa invece la posizione di altre riviste che hanno scelto di continuare ad accettare contributi di autori e enti di ricerca russi, come per esempio The BMJ. ‟Il nostro punto di vista ‒ scrive Kamran Abbassi, direttore del BMJ ‒ è che la scienza e la salute sono potenzialmente in grado di rendere più vicine le persone con il fine comune di migliorare la conoscenza, la cooperazione e le collaborazioni. Boicottando la ricerca russa, per esempio, rischiamo di emarginare ulteriormente gli scienziati russi che già si sono espressi a favore della pace. Potenzialmente facciamo del male anche ai civili russi, molti dei quali stanno protestando contro la guerra. Noi siamo al fianco degli operatori sanitari, degli scienziati e della società civile, e non dei dittatori”.
Le ragioni di non accogliere la richiesta di impedire ai ricercatori russi di pubblicare i propri lavori vanno ricercate innanzitutto in uno dei principi base dell’International science council, che sancisce la libertà e la responsabilità di ciascuno scienziato nel perseguire e contribuire alla conoscenza umana [4]. Una libertà che si declina nella piena facoltà di movimento, associazione, espressione e comunicazione per gli scienziati. Un diritto che si manifesta nell’equa opportunità per tutti gli scienziati del mondo a prescindere da origini, cittadinanza, religione e opinioni politiche. La libertà della scienza supera gli squilibri geopolitici, perché è rafforzata dalla necessità di preservare la comunità scientifica globale e di favorire sempre gli scambi di conoscenze.
La scienza come bene pubblico globale | Il diritto di condividere e di beneficiare dei progressi della scienza e della tecnologia è sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, così come il diritto di impegnarsi nella ricerca scientifica, di perseguire e comunicare la conoscenza e di associarsi liberamente in tali attività. L’International science council sottolinea che ‟i diritti vanno di pari passo con le responsabilità; nella pratica responsabile della scienza e nella responsabilità degli scienziati di apportare le loro conoscenze nello spazio pubblico. Entrambi sono essenziali per la nostra visione della scienza come bene pubblico globale”. L’articolo 7 dello statuto dell’International science council sancisce il principio di libertà e responsabilità nella scienza secondo il quale ‟la pratica libera e responsabile della scienza è fondamentale per il progresso scientifico e il benessere umano e ambientale. Tale pratica, in tutti i suoi aspetti, richiede libertà di movimento, associazione, espressione e comunicazione per gli scienziati, nonché un equo accesso a dati, informazioni e altre risorse per la ricerca. Richiede responsabilità a tutti i livelli per svolgere e comunicare il lavoro scientifico con integrità, rispetto, equità, affidabilità e trasparenza, riconoscendone i benefici e i possibili danni. Nel sostenere la pratica libera e responsabile della scienza, il Consiglio promuove eque opportunità di accesso alla scienza e ai suoi benefici e si oppone alla discriminazione basata su fattori quali origine etnica, religione, cittadinanza, lingua, opinioni politiche o di altro genere, sesso, identità di genere, orientamento sessuale”.
Oltre che da principi morali, le riviste scientifiche sono mosse anche da ragioni politiche. C’è il rischio infatti che l’esclusione degli articoli russi possa ritorcersi contro di loro, isolando ancora di più le università finanziate dal governo Putin. Infatti, sembra che le autorità russe abbiano risposto alle minacce di boicottaggio permettendo agli scienziati finanziati dal governo di abbandonare l’obbligo di pubblicare su riviste straniere indicizzate da Web of Science o Scopus.
Infine, la misura di impedire la pubblicazione dei traguardi scientifici sulle riviste per sanzionare Russia potrebbe risultare poco efficace. Tale ritorsione potrebbe avere senso se le pubblicazioni dessero un vantaggio tecnologico alla Russia in guerra. Ma in tutti in quei casi in cui tale condizione non si verifica, come nel caso in cui gli articoli riportino i risultati della ricerca di base, allora il boicottaggio potrebbe non avere un effetto immediato sulla politica russa.
Tuttavia, mentre le riviste si interrogano sulla posizione da prendere nei confronti della Russia, anche in altri settori della scienza c’è chi ha deciso di isolare e punire gli invasori dell’Ucraina. Decisioni favorite dalla posizione dei leader di quasi duecento università russe, che si sono espressi strenuamente a sostegno della guerra. Probabilmente una posizione non del tutto incondizionata considerato che i maggiori finanziamenti per le università e gli istituti di ricerca russi arrivano proprio dal governo russo.
Alcuni istituti hanno deciso di cessare ogni forma di collaborazione con gruppi di ricerca russi [5]. Tra gli altri, citiamo la collaborazione tra Massachusetts institute of technology (Mit) e Skolkovo institute of science and technology (Skoltech), un istituto nato nei pressi di Mosca per rilanciare l’innovazione russa, forti del sostegno e della collaborazione dell’importante ente statunitense. Anche l’Europa non è stata da meno, escludendo la Russia dalla partecipazione al suo programma Horizon Europe. Una presa di posizione che ha portato anche i consigli nazionali delle ricerche di diverse nazioni europee, tra cui Francia, Germania, Danimarca, Norvegia, Italia e Paesi Bassi, a congelare le collaborazioni con la Russia.
Al contrario, altri enti di ricerca considerano importante mantenere rapporti scientifici con la Russia. Per esempio, il Regno Unito continuerà a collaborare e ha invitato a valutare le singole collaborazioni piuttosto che escludere qualsiasi rapporto con la Russia. Anche il Belgio è favorevole a rapporti scientifici con la Russia. Il Cern, con sede in Svizzera, ha assicurato che nessuno scienziato russo verrà allontanato dal centro di ricerca.
La lettera di appello sottoscritta dai 194 premi Nobel| Anche un consistente numero di accademici insigniti del premio Nobel ha deciso di sostenere l’Ucraina. In una lettera aperta scienziati e studiosi hanno condannato l’invasione e l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia. Hanno denunciato le violazioni dei trattati internazionali e i modi violenti e poco lungimiranti che la Russia usa per risolvere qualsiasi controversia. Al contempo, i premi Nobel hanno espresso tutto il loro sostegno alla popolazione ucraina. Nella lettera, tuttavia, non manca un pensiero al futuro della Russia e dei suoi cittadini. Gli accademici riflettono sulla cattiva reputazione che la Russia sta costruendo a livello internazionale, sulla sua fragilità economica e sul freno allo sviluppo economico e sociale che potrebbero essere causati dalle sanzioni inflitte. Il timore è che vi possano essere gravi ripercussioni anche per tutti gli scienziati e i ricercatori di valore che spesso si spostano dalla Russia per condividere conoscenze, costruire nuove competenze, scambiare punti di vista per favorire la crescita di una disciplina. Ci saranno ancora più sconfitti alla fine di questa guerra.
Oltre alle dichiarazioni istituzionali, occorrerebbe considerare anche la posizione degli accademici russi che, rischiando, hanno espresso apertamente la propria posizione nei confronti della guerra con l’Ucraina [2, 7]. In una lettera aperta, hanno chiesto “l’arresto immediato di tutte le operazioni militari dirette contro l’Ucraina” e “il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale dello Stato ucraino. Chiediamo pace per i nostri Paesi”. “La Russia si è condannata all’isolamento internazionale” e “noi scienziati non saremo più in grado di svolgere normalmente il nostro lavoro: del resto, fare ricerca è impensabile senza la piena collaborazione con i colleghi di altri Paesi”. Hanno spiegato che la loro esclusione dalla comunità scientifica avrà un impatto nullo sul Cremlino, mentre potrebbe compromettere la qualità della ricerca in Russia, che era spinta e sostenuta proprio dalla necessità di ottenere visibilità internazionale.
Per comprendere come agire nel presente è utile fare una riflessione sul passato, scrive Science [3]. Il boicottaggio della scienza si è verificato raramente nella nostra storia. Nemmeno durante la guerra fredda gli scienziati russi sono stati esclusi dalla comunità scientifica internazionale. Solo alla fine della prima guerra mondiale, la Germania e l’Austria sono state escluse dalla comunità scientifica. Ma la decisione non ha sortito l’effetto sperato, dimostrandosi insostenibile e inutile. Gli scienziati hanno continuato a pubblicare in lingua tedesca, mentre l’esclusione ha fomentato il nazionalismo. Un effetto più devastante del boicottaggio da parte delle riviste scientifiche, l’hanno avuto le sanzioni deliberate dagli Stati Uniti sull’Iran che isolando il Paese hanno paralizzato il lavoro della ricerca [6].
Il nostro obiettivo ora è preservare l’integrità e la vitalità della comunità scientifica al di là dei confini e delle divisioni politiche e, in questo, l’esito dei nostri sforzi collettivi potrebbe non essere trascurabile.
Eugene V Koonin
Potrebbe essere opportuno che la scienza lasci aperti i propri canali di comunicazione, anche come strumenti utili per il lavoro della diplomazia? “Sembra che siamo entrati in un periodo oscuro, difficile della storia della civiltà umana”, scrive Eugene V Koonin, biologo russo-statunitense a capo dal 1991 del National center for biotechnology information di Bathesda (Stati Uniti). “Oltre a fare quel poco che possiamo per persuadere i governi democratici di tutto il mondo a fermare questo orrore a tutti i costi, il nostro obiettivo ora è preservare l’integrità e la vitalità della comunità scientifica al di là dei confini e delle divisioni politiche e, in questo, l’esito dei nostri sforzi collettivi potrebbe non essere trascurabile” [7].
Giulia Annovi
Il Pensiero Scientifico Editore
Bibliografia
1. Holly E. Ukrainian researchers pressure journals to boycott Russian authors. Nature, 14 marzo 2022.
2. Wise J. Ukraine conflict: Global research community reviews links with Russia. BMJ, 10 marzo 2022.
3. Brainard J. Few journals heed calls to boycott Russian papers, Science, 10 marzo 2022.
4. Committee for freedom and responsability in science. Principle of freedom and responsibility in Science.
5. Stone R. Western nations cut ties with Russian science, even as some projects try to remain neutral. Science News, 8 marzo 2022.
6. Butler D. How US sanctions are crippling science in Iran. Nature, 24 settembre 2019.
7. Koonin EV. Science in times of war: oppose Russian aggression but support Russian scientists. EMBO reports, 15 marzo 2022.
Proposte di modifiche del ddl Bazoli-Provenza da parte del gruppo Undirittogentile per una discussione gentile
Ci sono cose da dire, i padri ai figli e i figli ai padri, senza attendere domani. Di...
Dopo due anni si chiude lo stato di emergenza sanitaria covid. Da oggi, 1° aprile, si torna alla “normalità”....