Gli endpoint composti
Sono uno strumento utile ma da usare secondo criteri di qualità. Alcuni consigli di Renato Luigi Rossi
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Sono uno strumento utile ma da usare secondo criteri di qualità. Alcuni consigli di Renato Luigi Rossi
Spesso gli endpoint non sono rappresentati da un singolo componente (per esempio il numero totale dei decessi), ma da più outcome (per esempio il numero dei decessi da cause cardiovascolari, gli infarti e gli ictus non fatali, ecc.). Si parla di endpoint composti o combinati. In pratica gli endpoint composti sono la somma di una serie di endpoint singoli. In questa maniera si costruisce, se vogliamo in modo artificiale, un mega-evento formato da vari eventi.
Gli endpoint composti vengono usati anzitutto per migliorare la potenza statistica dello studio. Infatti per valutare un singolo evento potrebbe essere necessario reclutare molte migliaia di pazienti: grazie all’endpoint composto si aumenta il numero di eventi permettendo, di solito, di reclutare meno pazienti e di abbreviare il follow-up. Inoltre questo tipo di strategia permette di evidenziare differenze statistiche che non sarebbe possibile trovare con un endpoint singolo.
Tuttavia è opportuno prestare attenzione quando uno studio usa endpoint composti. Bisogna che questi ultimi siano costruiti secondo buone pratiche metodologiche. Anzitutto i singoli endpoint devono essere rilevanti dal punto di vista clinico e non devono essere troppo numerosi e/o formati da esiti surrogati. Per esempio un endpoint composto da infarti, ictus e decessi cardiovascolari è formato da singoli esiti importanti; un altro composto da infarti, riduzione della glicemia e del colesterolo è formato da un esito clinicamente rilevante (l’infarto) e da due endpoint surrogati (riduzione di glicemia e colesterolo). Questo è un punto da considerare con attenzione. In un trial in cui l’endpoint composto deriva da una combinazione di esiti maggiori ed esiti surrogati bisogna sempre controllare che l’eventuale riduzione dell’endpoint combinato non sia dovuta solo alla riduzione degli outcome surrogati, mentre gli endpoint maggiori non sono ridotti.
Si ipotizzi uno studio che si propone di valutare l’efficacia di un farmaco nel ridurre le fratture osteoporotiche. L’endpoint primario è di tipo composto: fratture femorali, fratture vertebrali, miglioramento della massa ossea alla densitometria di almeno il 30 per cento rispetto al basale. Alla fine del trial si dimostra che l’endpoint composto risulta migliorato con il trattamento. Tuttavia l’analisi dei singoli sotto-endpoint evidenzia che questo è dovuto a un miglioramento della massa ossea mentre le fratture non risultano ridotte. In questo caso il risultato sull’endpoint composto è stato “spinto” da un esito surrogato mentre gli esiti clinici non sono stati influenzati dal trattamento.
In secondo luogo l’endpoint composto deve essere definito nel protocollo originario del trial e non durante lo studio o al termine di esso, né dovrebbe essere variato durante il follow-up: questa pratica potrebbe creare difficoltà di interpretazione dei risultati. È importante, inoltre, che siano riportati non solo il risultato dell’endpoint composto ma anche i risultati dei singoli sotto-endpoint. Se i singoli elementi hanno un comportamento analogo a quello dell’endpoint composto si può concludere che la scelta degli autori è stata appropriata e che il risultato nel suo insieme è attendibile. Se invece vi è una divaricazione tra il risultato trovato per l’endpoint composto e quello dei singoli sotto-endpoint può essere più arduo interpretare correttamente i risultati.
Un esempio eclatante di quanto si debba prestare attenzione di fronte ad un trial con endpoint composti è rappresentato dallo studio EXPEDITION [1] in cui era stato usato il cariporide contro placebo in soggetti ad alto rischio che dovevano essere sottoposti a by-pass coronarico. L’endpoint primario composto (decesso e infarto miocardico) risultò ridotto nel gruppo trattato (16,6 per cento versus 20,3 per cento; P = 0,0002). Tuttavia l’esame dei due sotto-endpoint dimostrò che questo risultato era dovuto ad una riduzione dell’infarto miocardico (14,4 per cento versus 18,9 per cento) mentre la mortalità totale risultava aumentata (2,2 per cento nel gruppo trattato e 1,5 per cento nel gruppo di controllo; P = 0,02). La mortalità risultava aumentata a 5 giorni, a 30 giorni e a 6 mesi. Gli autori, nel descrivere i risultati, usano l’aggettivo “paradossale” e concludono che è improbabile che cariporide sia usato in clinica. In questo caso il risultato dell’endpoint composto era stato trascinato dalla riduzione dell’infarto. La mortalità totale aumentata era probabilmente dovuta a un aumento degli eventi cerebrovascolari (2,4 per cento nel gruppo placebo e 4,5 per cento nel gruppo cariporide).
Gli endpoint composti possono essere un utile strumento ma devono essere usati bene e secondo criteri di qualità. La loro interpretazione, però, è spesso difficile e riservata a studiosi di statistica e di metodologia.
Una revisione sistematica di RCT effettuati in ambito cardiovascolare [2] ha dimostrato che almeno metà dei trial esaminati usava endpoint composti. Gli autori dei vari studi non riportavano i risultati completi per i singoli sottoendpoint in almeno un terzo dei casi e, spesso, erano gli endpoint clinicamente meno rilevanti a contribuire ai risultati finali. Questo può portare il lettore a interpretare in maniera errata lo studio e a riporre nel trattamento una fiducia eccessiva. Qualcuno è arrivato ad affermare che non si dovrebbero più considerare gli studi che riportano endpoint composti. Non è necessario arrivare a una posizione così estrema: gli endpoint composti possono essere un utile strumento ma devono essere usati bene e secondo criteri di qualità. La loro interpretazione, però, è spesso difficile e riservata a studiosi di statistica e di metodologia.
Si possono dare comunque alcuni consigli utili per valutare gli RCT con endpoint composti:
Renato Luigi Rossi
Medico di famiglia
Bibliografia
1. Mentzer RM, Bartels C, Bolli R, et al. EXPEDTITION Study Investigators. Sodium-hydrogen exchange inhibition by cariporide to reduce the risk of ischemic cardiac events in patients undergoing coronary bypass grafting: results of the EXPEDITION study. Ann Thorac Surg 2008; 85: 1261-70.
2. Ferreira-Gonzalez I, Busse JW, Heels-Ansdell D, et al. Problems with use of composite end points in cardiovascular trials: systematic review of randomised controlled trials. BMJ 2007; 334: 786.
Questo testo è tratto dal libro “Come leggere uno studio clinico” di Renato Luigi Rossi (Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2021). Per gentile concessione dell’editore.
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