Secondo la tradizione deontologica il nucleo forte dell’etica è costituito da divieti assoluti, ovvero divieti che non ammettono mai alcuna eccezione per nessuna ragione. Infatti absolutus significa “sciolto da” condizioni storiche. La teologia cattolica parla di atti cattivi in sé, quindi da non farsi mai, come la contraccezione o l’aborto, dunque il divieto vale semper et pro semper. Pur essendo noto che non tutti i divieti morali sono assoluti, si era consolidata, in particolare in Occidente, l’idea che il cuore dell’etica fosse formato da divieti assoluti, ritenendo che l’assolutezza fosse l’impronta nel mondo storico dell’Assoluto derivante dal mondo metafisico ed eterno.
Ma, nel 1874, il filosofo Henry Sidgwick ha mostrato che vi sono due tipi di doveri: quello assoluto e quello prima facie, cioè che vincola di primo acchito. Il dovere di non violare una promessa è sicuramente molto forte, ma può essere in conflitto con altri doveri, come quello di evitare un grande dolore e quindi consentire un’eccezione. Ma se si ammette che questo valga per tutti i doveri morali, allora in etica non c’è più nulla di stabile.
Il dovere di non violare una promessa è sicuramente molto forte, ma può essere in conflitto con altri doveri.
Si pongono quindi due problemi. Il primo è la gerarchia dei doveri: con quale criterio si giudicano i doveri in conflitto? La risposta è che sembra ragionevole che la precedenza venga data al dovere che diminuisce i danni. Ma se scompare il divieto assoluto, l’etica diventa semplicemente un’istituzione sociale tesa a garantire il benessere.
A questo punto la moralità non prescinde più dal calcolo delle conseguenze perché riconosce che il benessere e il criterio ultimo di giudizio morale. Il secondo problema riguarda il fatto che l’etica con soli divieti prima facie, dichiarando di non avere assoluti, in realtà afferma un assoluto diverso, di segno opposto. L’assoluto non sarebbe più nel divieto, bensì nel principio di autonomia o in quello di utilità. Ciò starebbe a significare che l’uomo non riesce a fare a meno dell’assoluto. Ma questa impostazione è sbagliata perché negare l’assoluto equivale semplicemente a negare che la moralità rimandi a un mondo eterno e sovrannaturale e, contemporaneamente, ad affermare che la moralità è un’istituzione sociale e contingente.
Il criterio determinante per le scelte morali diviene la scelta autonoma della persona.
Negli anni Ottanta del secolo scorso, con le questioni riguardanti l’aborto e la fecondazione assistita, dopo un periodo di confusione concettuale, la Chiesa cattolica riafferma con vigore i divieti assoluti ponendoli a capo dell’etica della sacralità della vita, ovvero la prospettiva morale per cui la vita umana è intangibile e non può essere in nessun caso violata o manipolata. L’espressione ricorre nei testi del magistero cattolico. Nell’Evangelium vitae, al n. 53, Giovanni Paolo II afferma: “La vita umana è sacra perché fin dal suo inizio comporta l’azione creatrice di Dio (…) e rimane sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine”. Chi, invece, nega che esistano divieti assoluti e asserisce che tutti i divieti sono prima facie afferma la cosiddetta “etica della qualità della vita”. Il valore centrale di questa posizione è appunto la qualità della vita, ovvero il benessere e l’autonomia delle persone.
Il criterio determinante per le scelte morali diviene la scelta autonoma della persona. Il problema centrale dell’etica e della bioetica contemporanee è infatti quello di sapere se ci siano divieti assoluti o se i divieti siano tutti prima facie e dunque scegliere tra l’etica della sacralità e quella della qualità della vita. Anche il “non uccidere”, cui il pensiero corre immediatamente, poiché e uno dei divieti più stringenti di tutti i codici morali, si rivela prima facie in almeno un caso: la legittima difesa, ammessa esplicitamente anche dalla Chiesa cattolica nell’Evangelium vitae dove, al n. 55, si dice che “può essere non soltanto un diritto, ma un grave dovere”. I due paradigmi etici sono inconciliabili perché nell’etica della sacralità le norme morali sono indipendenti dalla volontà dell’uomo, sono un dato naturale o divino, mentre nell’etica della qualità della vita sono stabilite dall’uomo, sono una realizzazione umana di natura sociale e tendono al benessere.
Nell’attuale epoca di cambiamento, le tradizioni pervadono ancora con forza l’immaginario collettivo, pur senza avere più presa nella vita reale, mentre i nuovi stili di vita scandiscono l’esistenza ma non hanno ancora acquisito la necessaria autorevolezza. L’etica della sacralità della vita ha perso consistenza ma quella della qualità della vita non riesce a legittimarsi completamente.
Maria Teresa Busca Gruppo di ricerca bioetica, Università degli studi di Torino Scuola superiore di bioetica della Consulta di bioetica onlus
Questo testo è tratto dal libroLe parole della bioeticaa cura di Maria Teresa Busca e Elena Nave (Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2021). Per gentile concessione dell’editore.