A cura di Carlo Bulletti
Nonostante i successi parziali fin qui ottenuti, l’ectogenesi è ancora solo un obiettivo. Un tempo un obiettivo distante, ma oggi sempre più vicino.
Il termine “ectogenesi” fu divulgato per la prima volta dallo scienziato inglese John Burdon Sanderson Haldane nel 1924 per indicare modificazioni sociali e relazionali tra generi nonché riferibili alle loro funzioni biologiche fin qui riconosciute. Con ectogenesi si intende il completo sviluppo dell’uomo, dalla fecondazione di un oocita, differenziazione e sviluppo embrio-fetale, fino alla nascita al di fuori di un grembo, in un ambiente artificiale che simula le condizioni di uno sviluppo eutopico materno.
Essa può essere completa, dal concepimento alla nascita, o parziale per soli periodi più o meno lunghi dell’intera gestazione. Soluzione, la prima, per tutte le condizioni di impossibilità anatomica e funzionale di impianto endometriale degli embrioni e del loro sviluppo all’interno di un utero in condizioni di buona salute materno-fetale, sostituendo di fatto legravidanze per altri come soluzione primaria. L’ectogenesi parziale rappresenta invece la soluzione per le donne che hanno parti prematuri con importanti perdite di vite e la nascita di neonati con gravi invalidità, come quelle che occorrono nei neonati fortemente prematuri.
Sono candidate per la ectogenesi le donne con assenza congenita o acquisita di un utero funzionante, donne con anomalie anatomiche uterine maggiori, inclusa la sindrome di Asherman, donne con storie di parti prematuri ricorrenti, coppie che entrano nei programmi di gravidanza per altri e donne che entrano nei programmi di trapianto uterino. Le sole malformazioni uterine affliggono il 5 per cento delle donne infertili. Nonostante i successi parziali fin qui ottenuti (fecondazione in vitro, impianti iniziali di embrioni umani in uteri perfusi in circolazione extracorporea, la fecondazione in vitro con singoli spermatozoi iniettati negli oociti, gravidanze con trapianti di uteri da donatori, lo sviluppo fetale di pecore in perfusione extracorporea per quattro settimane, con potenziali benefici per una coorte di tragici epiloghi di parti prematuri), l’ectogenesi è ancora solo un obiettivo. Un tempo era un obiettivo distante, ma oggi è sempre più vicino: l’aumento dei fronti di avanzamento di ricercatori che si impegnano nelle ricerche e dedicati al suo perseguimento, infatti, fa presagire buone prospettive di applicazione clinica in tempi medi, forse dieci anni, e un’implicita modificazione sociale, giuridica ed etica delle valutazioni delle modalità riproduttive del genere umano, non ultima quella della donazione di gameti per dare opportunità riproduttive alle coppie omosessuali senza partecipazione di terze parti.
La comunità scientifica, per ora, non individua particolari controindicazioni in questa tecnologia, se non nei possibili rischi legati alla fase di rimozione del feto dall’utero materno e la sua collocazione in quello artificiale. Tuttavia, un problema dibattuto riguarda le preoccupazioni relative alle conseguenze che l’utilizzo dell’utero artificiale potrebbero avere sulla relazione di scambio tra la madre e il bambino, relazione che si instaura fin dal concepimento e che con questa innovazione verrebbe a mancare. Molti studi scientifici dimostrano, infatti, l’esistenza e l’importanza del legame che si instaura tra la madre e il feto che porta in grembo.
Un altro importante punto è costituito dal fatto che questa tecnica permetterebbe di ridurre le possibilità di aborti spontanei e di nascite premature, oltre che il rischio di sviluppare malattie durante la gestazione. L’utero artificiale, però, potrebbe incrementare la disuguaglianza tra i Paesi a nord e a sud del mondo, creando profonde differenze tra quelli che possono permettersi economicamente questa nuova tecnologia e quelli che non possono.
Un altro problema si riferisce alle ripercussioni che la tecnica dell’utero artificiale potrebbe generare in alcuni Paesi, come la Cina ad esempio, dove sono presenti meccanismi di riproduzione controllata. In questi contesti, infatti, la possibilità di condurre gravidanze attraverso un metodo artificiale potrebbe aprire le porte a manipolazioni genetiche e provocare, come diretta conseguenza, la nascita di bambini su misura. Un ulteriore problema, infine, è dato dal fatto che diverse legislazioni sulle tecnologie controverse (fecondazione in vitro, ricerca sulle cellule staminali e, in prospettiva, utero artificiale e clonazione) potrebbero generare un fenomeno di “turismo medico” e portare a una delocalizzazione di imprese medico-farmaceutiche in Paesi che hanno regolamentazioni più indulgenti, come per esempio Libano e India.
Carlo Bulletti Ginecologo specializzato in fisiopatologia della riproduzione focalizzata su casi ad alta complessità Professore associato aggiunto alla Yale University (Stati Uniti) Presidente della start up helpme.doctor
Questo testo è tratto dal libroLe parole della bioeticaa cura di Maria Teresa Busca e Elena Nave (Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2021). Per gentile concessione dell’editore.