Avere organizzato per anni il servizio sanitario al minimo dell’indispensabile, lesinando le risorse, è stata una pessima strategia. La pandemia ci ha fatto vedere che è necessario investire in sanità e che i servizi non possono essere sempre appena sufficienti. L’efficienza della sanità non è quella del processo produttivo “just in time” dell’industria ideato per ridurre le scorte in magazzino e non produrre più di quello che il mercato chiede. Un’occupazione dei posti letto superiore all’85 per cento si correla a un aumento dei tempi di degenza e il rischio di mortalità ospedaliera aumenta nei reparti con personale sanitario sottodimensionato.
Allontaniamoci dal modello aziendalista anche nelle parole: cambiamo il nome alle aziende sanitarie, chiamiamole servizi sanitari locali. Non parliamo di “sostenibilità” come scusa per limitare gli investimenti. Giustamente Roy Romanow, accademico e politico liberale che ha diretto la commissione per il futuro del servizio sanitario canadese (Romanow report), sostiene che “il sistema è tanto sostenibile quanto vogliamo che lo sia”.
La scarsità delle risorse ha amplificato le vulnerabilità e le disuguaglianze. Non sempre infatti le persone, soprattutto se appartenenti a fasce di popolazione svantaggiata, sono in grado di ottenere ciò che è necessario alle proprie esigenze di salute e talora le risposte da loro individuate non sono corrette ed efficaci. Per questo non basta accrescere le capacità di resistenza del sistema nei confronti di future crisi, ma, prima ancora di pensare a strutturare un sistema standard di offerta di servizi, occorre disegnare e realizzare un modello di sanità pubblica che abbia come obiettivo la coesione e tenga conto del percorso che la persona compie realmente in ambito territoriale e ospedaliero (confrontato con quello che dovrebbe/potrebbe compiere) da quando avverte un bisogno di salute a quando cerca e trova la risposta.
Per questo è importante dare significato ai comportamenti, alle motivazioni e alle aspettative. È in questa analisi che possiamo trovare un potenziale di conoscenza per capire meglio come intervenire per soddisfare quelle esigenze che oggi non trovano risposta adeguata nel Ssn: le proposte nascono dall’osservazione dei contesti di cura, dei modelli organizzativi, dai dati epidemiologici, dall’ascolto delle parole delle persone, dalle domande che poniamo… E il più delle volte non devono essere risposte in termini di maggiori prestazioni (più visite, più esami), ma di accompagnamento nel fare la scelta più appropriata per ciascuno, più concreta ma anche più vera.
Si dovrebbe prendere esempio dalle cure primarie, che, entrando in contatto con la maggior parte dei bisogni dei pazienti e conoscendo la loro storia medica, avrebbero la potenzialità preziosa, se pure poco valorizzata, di aiutare le persone ad orientare scelte e domande, a comprendere meglio l’importanza della prevenzione, a evitare procedure non necessarie e l’accesso a strutture costose e non utili.
Il “capitale umano”, le capacità, le competenze, le conoscenze, le abilità professionali e relazionali delle donne e degli uomini del servizio sanitario sono lo strumento per sintonizzare la relazione con le persone e per dare loro le risposte migliori. Sono la cosa più importante della sanità. Investiamoci.
È in questa analisi che possiamo trovare un potenziale di conoscenza per capire come intervenire.
Guido Giustetto Presidente OMCeO Torino Direttore scientifico ilpunto.it