Disturbi del neurosviluppo: una quotidianità difficile
Mettere a fuoco i reali bisogni e le risposte ai problemi: Federica Zanetto

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Mettere a fuoco i reali bisogni e le risposte ai problemi: Federica Zanetto
Questi bambini nascono due volte.
Devono imparare a muoversi in un mondo che la prima nascita ha reso più difficile.
La seconda dipende da voi
Giuseppe Pontiggia. Nati due volte (Milano: Mondadori, 2002)
Disturbo dello spettro autistico, disturbi dell’apprendimento, Adhd, ritardo mentale idiopatico, disturbi del linguaggio, disturbi della coordinazione motoria, disturbi di regolazione: il rilievo assunto da questi disturbi per frequenza e rilevanza sociale, in quanto causa di disabilità permanenti continua a interpellarci su quali risposte mettere in campo in termini di prevenzione e intervento (tabella 1).
Non sono al momento praticabili progetti di prevenzione primaria per queste patologie per la difficoltà nel riconoscere una singola causa, in quanto entrano in gioco nel determinare il disturbo molti fattori con interazioni complesse fra di loro. La ricerca clinica focalizza l’interesse sugli interventi di prevenzione secondaria, volti a modificare in senso positivo l’evoluzione naturale dei disturbi con particolare attenzione alle strategie per ridurre i deficit cognitivi e migliorare la prognosi a distanza. Programmi riabilitativi e psicopedagogici strutturati e intensivi che prevedono il coinvolgimento attivo della famiglia e della scuola sono al momento le strategie terapeutiche più efficaci.
Un elemento che riveste un ruolo cruciale nella prognosi a lungo termine è il riconoscimento precoce del disturbo, in quanto permette di intervenire prima che la patologia si strutturi e divenga stabile.
L’American academy of pediatrics (Aap) già in suo documento del 2001 [1], nella definizione di “sorveglianza dello sviluppo”, sottolinea l’importanza della raccolta di informazioni pertinenti inerenti la storia dello sviluppo del bambino, di un’osservazione clinica competente, della condivisione con i genitori di dubbi o preoccupazioni e di una corretta ed efficace attivazione della rete di cura, quando necessaria. Da un approccio basato sullo screening eseguito in un dato momento dello sviluppo si passa, anche sulla base delle conoscenze negli anni sempre più raffinate sulle competenze “propositive” del bambino, a un modello in cui viene garantito un monitoraggio continuo rispetto alla normalità dello sviluppo neuroevolutivo o alla rilevazione di anomalie o segni di sospetto [2,3].
È consuetudine per il clinico concentrarsi sulla definizione dei segni o sintomi, ma è importante considerare anche il grado di disabilità e l’impatto che la patologia ha sulle normali attività quotidiane e sull’inserimento sociale di chi ne è affetto.
DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO |
Sono ritardi, o atipie di acquisizioni, influenzati dalla maturazione biologico, che presentono uno sostanziale continuità nel tempo, ciascuno con uno forte componente genetico e con chiaro tendenza allo comorbilità con altri disturbi del neurosviluppo. |
Per l’autismo il difetto essenziale riguarda l’attenzione congiunta, cioè lo capacità di condividere con altri l’attenzione nei riguardi di un oggetto (capacità che compare verso i nove mesi e si esprime con l’indicazione dell’oggetto per mezzo del dito – pointing). |
Per il deficit di attenzione il difetto riguarda il costrutto teorico delle funzioni esecutive, inteso come le abilità necessarie per programmare, mettere in atto e portare o termine un comportamento finalizzato a uno scopo. |
I disturbi del linguaggio esprimono deficit specifici di moduli neurologici che non vengono automatizzati (il non dislessico legge senza impegno cognitivo, automaticamente; il dislessico no). |
In tutti questi disturbi si può riconoscere un incrocio tra fenomeni genetici (molto forti, anche se non assoluti”, nell’autismo) e fattori ambientali (importanti in tutti i casi, molto forti per l’Adhd). |
Le strategie di intervento si basano: a) sulla individuazione e sull’utilizzo di “finestre temporali”, in cui le funzioni psichiche sono più facilmente modificabili; questo comporta, evidentemente, la necessità di una diagnosi precoce); b) sull’applicazione a ciascuno di interventi riabilitativi, specifici, mirati sul profilo del paziente e del suo difetto. |
Tutto questo comporta la necessità di una nuova educazione dei pediatri e di un progetto di sanità pubblica che provveda a una ragionevole distribuzione sul territorio di servizi di neuropsichiatria infantile e di riabilitazione competenti ed efficaci. |
Tenendo conto della sequenza presentata dall’Oms per definire in modo sistematico malattie e loro conseguenze [4-6], la disabilità indica una restrizione o carenza nella realizzazione di compiti e nella espressione di comportamenti rispetto a ciò che sarebbe normalmente atteso.
L’handicap, che non è il deficit stesso, è la condizione di svantaggio che ne consegue e che limita o impedisce di ricoprire il ruolo normalmente proprio in relazione a età, sesso e fattori socioculturali. L’handicap si manifesta per il singolo a seconda della capacità o meno del contesto sociale di fargli superare la condizione di disabilità o permetterne l’integrazione sociale. Questa progressione riguarda non solo il bambino affetto ma tutta la sua famiglia, impone un cambiamento di prospettiva e rappresenta il punto di riferimento su cui calibrare impegno e ruolo della comunità e degli operatori sanitari coinvolti (figura 1).
La disabilità è una condizione che richiede al clinico di operare a un livello un po’ più complesso: una diagnosi difficile, la rilevazione di anomalie dello sviluppo neuroevolutivo, la presenza di sintomi di sospetto, l’invio al livello specialistico sono tra le situazioni in cui è richiesta maggiore competenza e attenzione, anche dal punto di vista comunicativo.
Una situazione anomala entra nel sistema familiare, ne sconvolge l’organizzazione, ne destabilizza l’equilibrio.
Ci sono casi in cui per esempio di fronte a una famiglia che porta un problema più o meno grave riguardante la salute del bambino, in genere si è portati a incentrare il discorso e il proprio sapere sul momento diagnostico. Davanti a noi, per contro, abbiamo una famiglia che è proiettata nel futuro – e quindi guarda prevalentemente all’aspetto prognostico – e che deve fare i conti con momenti di fatica, angoscia, spesso forte difficoltà a reggere una situazione di diversità. Una situazione anomala entra nel sistema familiare, ne sconvolge l’organizzazione, ne destabilizza l’equilibrio (tabella 2). Come nel caso riportato di seguito:
Pediatra: Buongiorno signora, siete tornati a casa
Mamma: sì, ma non sappiamo ancora molto. Per l’esito di alcuni esami ci vorrà tempo.
Pediatra: E il bambino come sta?
Mamma: Mah… Ci restano tanti dubbi … La nostra fatica è anche che in questo periodo abbiamo avuto una serie di consulti e tutti concordano con una diagnosi grave. Abbiamo bisogno di capire
Ci sono situazioni in cui si verificano forme di negazione, in particolare in presenza di diagnosi in un primo momento difficili da identificare, oppure non comprese, o rimosse, messe da parte, non guardate, quasi fosse possibile non prenderle in considerazione. Come nel caso che riportiamo:
C. 9 anni: i genitori con difficoltà accettano la necessità di valutazione neuropsichiatrica infantile per sospetto deficit attentivo già segnalato dalle insegnanti (e dai genitori percepito come una loro “interpretazione” del comportamento del bambino). Si evidenziano: livello intellettivo nei limiti di norma – significative difficoltà di attenzione e concentrazione visiva – note di iperattività e irrequietezza. Il profilo funzionale delineato è compatibile con la diagnosi di sindrome ipercinetica con disturbo da deficit di attenzione/iperattività di tipo combinato.
Ancora sono passi faticosi la comunicazione della diagnosi alla scuola di riferimento per l’introduzione di accorgimenti didattici e la promozione di un percorso didattico personalizzato, e l’avvio a un ciclo di sedute individuali di psicoterapia cognitivo-comportamentale.
Le disabilità sono condizioni che rendono più arduo il superamento di varie difficoltà.
In età pediatrica queste condizioni esistenziali insorgono a stadi diversi di sviluppo e sono anche molto dipendenti dallo stato di salute e dalle condizioni socio-economiche della famiglia.
LE RICADUTE POSSIBILI: I NUMERI |
Rinuncia/cambio lavoro madre nel 64% (nei minori “sani” 34%) |
Cambio lavoro padre nel 22% (nei minori “sani” 11%) |
Reddito della famiglia -22% rispetto a famiglie con minori “sani” |
Rottura del nucleo familiare nel 36% (nei minori “sani” 7%) |
Il bisogno primario da soddisfare nella condizione di disabilità è quello delle cure (presa in carico, prescrizione di terapie e percorsi riabilitativi, presidi, visite specialistiche). Emergono poi i bisogni di training e di conoscenza, che possono essere via via sempre più complessi e che richiedono un’interazione protratta nel tempo. Nel momento in cui ci si allontana da un bisogno di cura relativamente elementare, quale quello prescrittivo, e si ha a che fare con forme di assistenza più complesse (gestione quotidiana, interventi sul rapporto malato – famiglia – società, oppure sull’accettazione sociale e culturale della disabilità), tutto diventa più costoso, difficile, poco protocollabile. Come nel caso che segue in cui il frequente rifiuto del cibo rende quello dell’alimentazione l’aspetto prioritario e via via più critico tra le cure di base, per il bambino, per la famiglia e per il pediatra.
M.,12 anni e 10 mesi, affetto da encefalomiopatia mitocondriale, con grave tetraparesi e assenza di controllo posturale, severa progressiva amiotrofia diffusa, movimenti orolinguali ritmici, episodi parossistici caratterizzati da ipercinesie agli arti. L’importante iposviluppo ponderale (12 Kg, << 3° percentile), la stipsi severa, i problemi di deglutizione, l’ipersensibilità alimentare, la ricorrente sofferenza post prandiale. Situazione nutrizionale e fabbisogni energetici, consistenza e quantità degli alimenti, frequenza di somministrazione, durata dei pasti, vantaggi /svantaggi di modalità alternative di nutrizione sono oggetto costante di disamina, aspettative, paure, ricerca di strategie condivisibili e ragionevoli compromessi.
In presenza di una disabilità aumenta la forza di alcuni bisogni e si riduce quella di altri. I bisogni subiscono cambiamenti nel tempo: alcuni bisogni possono, in momenti diversi, apparire di maggiore rilievo rispetto ad altri (es. l’accesso ai servizi educativi, la frequenza della scuola dell’obbligo, le certificazioni).
Diventano problemi i bisogni assistenziali non soddisfatti, per carenze nelle cure che devono essere fornite dai vari servizi [7,8] e anche per disagi di tipo materiale o relazionale, percepiti dalle famiglie e dagli operatori. Accanto al livello istituzionale, la risposta alla molteplicità dei bisogni assistenziali necessariamente interpella più aree professionali, richiede l’adozione di strategie di tipo collaborativo e l’acquisizione e messa in campo di abilità anche comunicative.
Il necessario sguardo all’intero sistema di cura richiede attenzione a ogni sua parte: integrazione del sapere nei diversi ambiti disciplinari, ciascuno senza perdere nulla della propria individualità e anzi rinforzandola.
Oltre alla competenza strettamente medica, al pediatra è spesso richiesto un intervento di affiancamento e facilitazione nella gestione delle situazioni di difficoltà, alla ricerca di nuove regole ed equilibri condivisi, assimilabili e sostenibili dalla famiglia (la rete degli aiuti all’interno del nucleo familiare, i rapporti con il centro di secondo livello e gli specialisti, l’utilizzo dei servizi sociali e del volontariato, i rapporti con la scuola, i contatti con le associazioni dei genitori). L’uso consapevole della comunicazione facilita l’individuazione e la condivisione di obiettivi intermedi, a breve termine, percorribili, che rendono più agevole la ricerca di risorse e anche la rinuncia a scelte e soluzioni meno appropriate.
Il necessario sguardo all’intero sistema di cura richiede attenzione a ogni sua parte: integrazione del sapere nei diversi ambiti disciplinari, ciascuno senza perdere nulla della propria individualità e anzi rinforzandola; modello partecipato, in cui famiglia e scuola portano sempre informazioni preziose per mettere in campo interventi appropriati; rete territoriale e istituzionale dove diagnosi e interventi devono comprendere la conoscenza delle risorse e delle barriere ambientali/culturali entro cui il bambino si sviluppa; monitoraggio dei percorsi diagnostici e terapeutici (registro); passaggio all’età adulta. Sono sfide impegnative da raccogliere e continuare a rendere oggetto di riflessione e confronto.
Federica Zanetto
Pediatra, Associazione culturale pediatri – www.acp.it
Bibliografia
Disturbi dello spettro autistico: insieme di disturbi del neurosviluppo che si manifestano nell’infanzia, caratterizzati da deficit persistente nella comunicazione e nell’interazione sociale e comportamenti, interessi o attività ristretti, ripetitivi. Possono essere anche presenti aggressività, autolesionismo, irritabilità, iperattività. Sono frequenti comorbilità psichiatriche e mediche (ADHD, disturbi d’ansia e del sonno, epilessia, malattie infiammatorie intestinali).
Disturbi specifici dell’apprendimento: si manifestano con una compromissione significativa delle abilità scolastiche (di lettura, scrittura e calcolo), in assenza di disabilità intellettive, deficit sensoriali e neurologici, disturbi psicopatologici. Oltre ai diversi gradi di gravità con cui possono presentarsi, sono frequenti la co-occorrenza dei disturbi specifici dell’apprendimento tra loro (es. dislessia e disortografia o anche discalculia) e gradi diversi di compromissione in vari ambiti del sistema cognitivo-linguistico (es. l’attenzione, la memoria, l’accesso lessicale, la velocità di elaborazione).
Adhd – Attention deficit hyperactivity disorder: la disattenzione si manifesta come divagazione dal compito, mancanza di perseveranza, difficoltà a mantenere l’attenzione; l’iperattività si riferisce a un’eccessiva attività motoria o loquacità in momenti non appropriati; l’impulsività si riferisce ad azioni affrettate che avvengono all’istante, senza premeditazione, con elevato rischio di danno e invadenza sociale. Le manifestazioni del disturbo devono essere presenti in più di un contesto (es: casa e scuola, lavoro).
Disabilità intellettiva (ritardo mentale): si caratterizza per: un difetto intellettivo pari ad almeno 2 DS rispetto alla norma (QI < 70); un disturbo significativo delle capacità di adattamento a un ambiente sociale “normale”; l’insorgenza nel corso dell’età dello sviluppo, cioè entro i 18 anni.
Un’eziologia chiara per la disabilità intellettiva non può essere determinata nel 30 – 50% dei casi. La disabilità intellettiva di grado lieve costituisce la parte più ampia (circa l’83-85%) dei soggetti affetti da ritardo mentale e non è immediatamente evidente. Questi bambini spesso non sono distinguibili dai bambini senza disabilità fino all’ingresso nella scuola primaria.
Disturbo di linguaggio: persistente difficoltà nell’acquisizione e nell’uso di diverse modalità di linguaggio (linguaggio parlato, scritto, gestuale o di altro tipo) dovute a deficit della comprensione o della produzione che comprendono un lessico ridotto, una limitata strutturazione delle frasi (capacità di costruire frasi basandosi su regole sintattiche e morfologiche) e una compromissione delle capacità discorsive (capacità di connettere parole e frasi per descrivere un argomento o una sequenza di eventi per sostenere una conversazione).
Disturbo della coordinazione motoria: costituisce un disturbo degli apprendimenti motori, non dovuto a una patologia medica generale. Il bambino presenta dall’inizio competenze motorie sostanzialmente inferiori a quelle dei coetanei, in un quadro di rilevante goffaggine e lentezza o imprecisione nello svolgimento delle abilità motorie che interferiscono con le attività della vita quotidiana, in assenza di problemi intellettivi. Questo disturbo si associa spesso a difficoltà in altri ambiti, es. nell’attenzione, nel linguaggio o nella letto-scrittura.
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