I segnali sono allarmanti. Le parole disagio, solitudine, incertezza, rabbia sono moneta corrente e forse non bastano più a dare le coordinate di un malessere profondo. Il sintomo più drammatico e radicale è quello del suicidio. Secondo uno studio dell’Istat fra il 2014 e il 2017si sono registrati 12.877 suicidi. Otto su dieci sono stati compiuti da uomini e oltre mille persone si sono uccise con un’arma da fuoco. E un’altra novità è quella dell’abbassamento dell’età nella quale questi tentativi sono messi in atto.
Giovani e anziani, ceti sociali fragili nei quali sono più intensi i sentimenti di solitudine, insicurezza e incertezza. È anche questa la cornice nella quale è stata innestata la nuova normativa sulla legittima difesa e sulle armi, l’accesso alle quali è diventato più facile grazie alle nuove regole sulla concessione del porto d’armi per il tiro sportivo.
In assenza di un controllo reale
“Le norme per ottenere una licenza sono troppo blande”, ha dichiarato Giorgio Beretta, dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa. “Non sono richiesti esami psichiatrici né tossicologici, il rinnovo è ogni cinque anni con una visita medica, come per la patente” [1]. È sufficiente un «certificato di capacità di maneggio dell’arma», che si ottiene rapidamente al poligono, e un certificato medico che attesti l’assenza di problemi psichici o tossicodipendenze: “Ma senza test tossicologici anche chi usa cocaina può comprarsi un’arma” conclude Beretta.
Le norme per ottenere una licenza sono troppo blande. È sufficiente un certificato di capacità di maneggio dell’arma.
Giorgio Beretta
La normativa è stata presentata come una risposta a una paura apparentemente diffusa ma in molti casi enfatizzata se non costruita artificialmente. Trascurando un aspetto essenziale: la paura colpisce maggiormente chi non ha gli strumenti culturali per elaborare fatti e contesti che gli consentirebbero di ridimensionare le proprie preoccupazioni.
La “neutralità” delle armi | Una delle persone che in Italia è più impegnata nell’attività di sensibilizzazione sui rischi della detenzione di armi è Luca Di Bartolomei. “Quando mio padre Agostino si è sparato, l’ultima persona ad averlo visto vivo sono stato io”, ha scritto in apertura del suo libro Dritto al cuore [2]. Luca è figlio di un famoso calciatore che si tolse la vita il 30 maggio 1994. “La considerazione delle armi come neutrali è un punto fondamentale da combattere, perché è il cardine della logica di chi vuole gettare le basi per l’accettazione sociale di una loro maggiore diffusione”: la presenza di un’arma da fuoco in una casa è oggettivamente un fattore di rischio. Basti pensare, ricorda Di Bartolomei nel suo libro, che l’Organizzazione mondiale della sanità sottolinea come dal 2000 il numero di persone che hanno deciso di togliersi la vita è stato costantemente più alto di chi è morto per violenza interpersonale o in guerra. “In tutti i Paesi in cui le armi da fuoco sono più facilmente accessibili alle persone accadono più incidenti, più omicidi e il tasso di criminalità non è ‘incredibilmente basso’, come tanti ritengono, anzi”.
In pochi si preoccupano di revocare un porto d’arma a chi è stato oggetto di un trattamento sanitario obbligatorio e nessuna norma permette di mettere in connessione l’uso di farmaci per il controllo dell’ansia, della depressione o più in generale di disturbi psichiatrici con la possibilità di avere a casa, dentro un cassetto, un revolver o un fucile. Come abbiamo detto, sul porto d’arma c’è meno controllo che sulla patente di guida. Eppure le armi non sono neutre. Hanno un solo uso possibile: quello di sparare.
Un’emergenza di sanità pubblica?
In una società in un cui crescono gli elementi di incertezza, di solitudine e di senso di abbandono, tanto maggiore dovrebbe essere il controllo sulle armi, sulla loro diffusione e sul loro uso. Per fronteggiare quella che la sanità statunitense considera “un’emergenza di sanità pubblica” [3], un ruolo speciale (insieme alle forze di polizia) dovrebbero svolgerlo coloro che – come i medici – sono più vicini alle famiglie, alle loro necessità, avendo gli strumenti per cogliere le condizioni di salute della mente, le capacità di comprendere e valutare le situazioni di pericolo e di misurare le proprie reazioni [4,5].
“Medici dei cittadini” ha detto recentemente Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo), “garanti di quei diritti, di quei principi e di quelle libertà che sono alla base della nostra democrazia”. Se il dovere principale del medico è la tutela della vita, tra i tanti fronti aperti per la professione potrebbe trovare spazio anche questo: in tutti i Paesi dove le armi da fuoco sono più facilmente accessibili, alle persone accade un maggior numero di incidenti, si compiono più omicidi e il tasso di criminalità è più elevato. In un momento in cui la Fnomceo vede anche i propri professionisti direttamente colpiti da una escalation di violenza e chiede l’adozione di soluzioni volte a garantire la sicurezza dei medici, riaffermare i valori etici di rispetto e solidarietà domandando una maggiore cautela nell’accesso alle armi da fuoco da parte dei cittadini è un tema importante sul quale riflettere.