Omicidi di donne: è una realtà che ci viene messa di fronte agli occhi dai titoli dei giornali e più in generale dai media. Percepiamo l’importanza del problema, ma non sappiamo quantificarlo. Dati importanti ci giungono dalla relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere del 6 dicembre 2021 [1].
Il numero di casi che la Commissione ha ritenuto di poter classificare come potenziali femminicidi nel corso del biennio 2017-2018 è di 211, omicidi di donne perpetrati da uomini (di cui 96 nel 2017 e 115 nel 2018). Più della metà delle donne vittime di femminicidio è uccisa dal proprio partner – marito, compagno, fidanzato o amante – che in poco meno di otto casi su 10 abitava con la donna. Il 12,7 per cento è invece uccisa dal partner precedente. Nei casi in cui è il partner attuale a commettere il femminicidio, in quattro coppie su 10 si riscontrano nei fascicoli segnali di rottura dell’unione: coppia separata di fatto, separazione in corso volontà di separarsi espressa in qualche modo dalla donna. La relazione della Commissione mette in evidenza anche la presenza di specifiche tipologie di dipendenza dell’autore del delitto – da alcool, da droga e da psicofarmaci: in poco meno del 30 per cento degli autori di femminicidio è stata riscontrata almeno una dipendenza.
Più della metà delle donne vittime di femminicidio è uccisa dal proprio partner – marito, compagno, fidanzato o amante – che in poco meno di otto casi su 10 abitava con la donna.
Il rapporto parlamentare offre dati fermi al 2018. Saltando a una data più recente, sappiamo che nel 2020 gli omicidi di donne sono stati 93. L’Osservatorio permanente sulle armi leggere e sulle politiche di sicurezza e difesa (Opal) precisa che un omicidio su quattro è stato commesso da legali detentori di armi. Viene spontaneo chiedersi: quante armi “leggere” ci sono nelle case degli italiani? Sembra strano, ma non ci sono dati ufficiali: secondo Opal negli armadi e cassetti potrebbero trovarsi tra gli otto e i 12 milioni di armi. Secondo i dati delle questure, le licenze attive erano 1,3 milioni nel 2020, compresi i permessi per difesa personale, per la caccia o il tiro sportivo e quelli per le guardie giurate. Non vengono, però, monitorati i cosiddetti “nulla osta”, che permettono di acquistare un’arma e le relative munizioni al solo fine di difendere la casa o un esercizio commerciale. Si arriva alla cifra allarmante proposta da Opal considerando che dal 2018 con una sola licenza si possono detenere fino a tre pistole, 12 fucili semiautomatici e un numero illimitato di fucili da caccia.
Cosa può fare il medico
Altra domanda: cosa può fare il medico, soprattutto il professionista che lavora nella Medicina generale? In un terzo dei casi – spiega la relazione parlamentare – parenti, amici, vicini di casa, colleghi di lavoro, medici, operatori dei servizi sociali, psicologi, sacerdoti o professionisti conoscevano la situazione di violenza e lo stato di pericolo della vittima: ciononostante non risultano esservi state autonome denunce.
“Nel percorso sanitario delle vittime di violenza – leggiamo nel rapporto – un ruolo centrale e decisivo dovrebbe essere assunto dai medici di famiglia, in particolare nei piccoli centri, ai fini di individuare i segnali di rischio per la vita delle donne. Dall’indagine è emerso infatti che molte donne avevano confidato solo a loro gli atteggiamenti vessatori subiti al fine di chiedere la prescrizione di farmaci per l’insonnia o per gli attacchi di panico o una qualsiasi forma di supporto; i disagi comportamentali o fisici dei bambini della coppia; le preoccupazioni per la condizione di salute mentale del marito. Specie rispetto a coppie anziane, è risultato che i medici di famiglia conoscono anche la storia clinica del futuro femminicida, poiché raccolgono le sue confidenze circa i suoi stati di disagio”.
Le associazioni professionali della sanità si sono fatte parte diligente per approfondire il problema e prendere iniziative per ridurre il danno.
Se in Italia di questo argomento sappiamo poco, la situazione negli Stati Uniti è diversa: c’è maggiore consapevolezza e le istituzioni dispongono di dati più robusti. Anche per questo, le associazioni professionali della sanità si sono fatte parte diligente per approfondire il problema e prendere iniziative per ridurre il danno. Negli Stati Uniti, meno del 10% degli adulti che attualmente vivono in case in cui sono presenti armi da fuoco riferisce di aver mai discusso con un medico della sicurezza di pistole e fucili [2]. Quando si sono verificate discussioni su questi argomenti, il consiglio che più frequentemente i medici hanno potuto dare è stato di mettere la sicura a tutte le armi da fuoco tenute in casa. L’eventuale offerta di ulteriori consigli sulla sicurezza varia in base al contesto. In ambito pediatrico, raramente sembra si sia discusso di rimuovere le armi da fuoco dalla propria abitazione.
Negli Stati Uniti l’acquisto di armi è aumentato durante la pandemia, soprattutto nel gennaio 2021 prima e dopo l’assalto al Campidoglio a Washington. Lo stesso potrebbe essere accaduto – fortunatamente in misura minore – anche in Italia, poiché nuove disposizioni di legge hanno reso meno difficile la detenzione di armi. Non si può che concordare con la Commissione parlamentare di inchiesta quando sollecita “l’adozione di strumenti di formazione che preparino in particolar modo i medici di medicina generale, il personale di pronto soccorso, gli operatori e le operatrici dei servizi sociali e del sistema scolastico, in merito al tema della violenza di genere e domestica”.