Nel Giappone iper-moderno sopravvive un paradosso piuttosto curioso: in contrasto con la sua immagine tecnologicamente avanzata, ci si affida ancora moltissimo ai fax. Le ragioni, però, non sono da ricercare né nell’insipienza della politica né, tantomeno, nella resistenza al cambiamento da parte della popolazione. Si è trattato, invece, di una chiara scelta amministrativa volta a non scardinare l’equilibrio dei propri abitanti. Su una popolazione di circa 125 milioni di persone, infatti, ben il 29 per cento è costituito da anziani con 65 o più anni di età. È facile immaginare, quindi, come la rivoluzione in direzione telematica di cartelle cliniche, prenotazioni e prescrizioni mediche avrebbe completamente stravolto grosse fasce di popolazione considerate fragili. L’Italia condivide col Giappone più o meno la stessa situazione, con una popolazione anziana che è cresciuta negli ultimi decenni fino ad arrivare al 23,8 per cento del totale. Tuttavia, la risposta da parte della politica al nuovo giocattolo tecnologico è stata meno lungimirante, condannando gli anziani che non possono contare su una medicina territoriale alle difficoltà insite nei nuovi strumenti tecnologici.
L’ultima sessione del convegno per i cento anni del codice deontologico, tenutosi presso l’Ordine dei Medici di Torino, è stata dedicata interamente al rapporto tra tecnologia e medicina con due interventi di Vittorio Sironi, professore di Storia della disabilità, di Antropologia medica e di Discipline neuroscientifiche, oltre che direttore del Centro studi sulla storia del pensiero biomedico presso il Dipartimento di medicina e chirurgia dell’Università di Milano, e Francesco Del Zotti, medico di medicina generale e autore del libro “La rete e l’assalto alla medicina confidenziale”.
I due relatori, però, invece di concentrarsi sugli scenari futuristici fatti di braccia meccaniche capaci di operare chirurgicamente a un oceano di distanza e i nuovi infallibili strumenti diagnostici, hanno ragionato sulle implicazioni etiche e antropologiche che la prima rivoluzione tecnologica ha già operato sulla società. A volte, infatti, il modo migliore per capire cosa può succedere è analizzare cosa è già successo. L’inondazione telematica, le profonde specializzazioni e i nuovi apparecchi tecnologici hanno già modificato radicalmente il rapporto tra medico e paziente. Analizzare l’impatto che hanno avuto tali stravolgimenti è l’unico modo per non trovarsi impreparati di fronte ai prossimi, evitando in questo modo di inciampare negli stessi errori.
Una distanza crescente nel rapporto medico-paziente?
Vittorio Sironi fa risalire all’invenzione dello stetoscopio, uno dei primi strumenti tecnologici utilizzato in campo medico, la prima distanza fisica interposta tra medico e malato. Prima dell’introduzione da parte di René Laennec del primo strumento auscultatorio, il medico aveva un rapporto fisico diretto con il paziente. La mano sulla fronte per misurare la temperatura era una carezza; le dita sul polso per tenere il conto dei battiti diventavano una stretta di mano; l’orecchio sul torace del paziente assomigliava a un abbraccio.
Con l’avanzare del progresso, secondo Vittorio Sironi, il rapporto umano è andato riducendosi sempre di più.
I pochi centimetri di distanza introdotti da Laennec migliorano le capacità diagnostiche del medico, ma inaugurano anche un’era di innovazioni che ha contribuito a un cambiamento nell’antropologia della cura. Con l’avanzare del progresso, secondo Sironi, il rapporto umano è andato riducendosi sempre di più. Le nuove tecnologie per l’imaging, ad esempio, hanno sì permesso di guardare dove prima era impossibile guardare; ma quelle stesse “visite” sono spesso fatte in sale dove il paziente è da solo, in cui l’apparecchiatura è gestita da un tecnico e dove il paziente riceve solo dopo i risultati dell’indagine diagnostica da un dottore che non lo ha mai guardato in faccia.
Secondo Sironi, la conseguenza di tutto ciò è stata la completa perdita della dimensione olistica, in cui il malato non è più visto come una persona nella sua totalità, quanto piuttosto un insieme di organi, sistemi, sintomi da decifrare e prognosi a cui arrivare.
La questione dei dati sensibili
Nel suo intervento, invece, Francesco Del Zotti si è concentrato sull’introduzione dei nuovi servizi di messaggistica nel rapporto medico-paziente. L’uso intenso e costante che caratterizza questi nuovi mezzi ha ovviamente avuto un peso non indifferente sulla reperibilità e il rispetto degli orari di lavoro. Ma oltre a ciò, sono i pericoli legati alla privacy quelli che preoccupano maggiormente Del Zotti.
Nel 2015, ad esempio, un centro di salute sessuale di Londra aveva fatto trapelare per errore i dati sensibili di quasi 800 pazienti che avevano frequentato le cliniche per sottoporsi ai test per l’hiv, rivelandone lo stato clinico. Per quanto si sia trattato di un errore umano, poiché le e-mail vennero inviate come e-mail di gruppo invece che con la funzione di copia nascosta, rappresenta un episodio significativo proprio per comprendere l’enorme fiducia che abbiamo nei nuovi mezzi tecnologici, probabilmente senza esserne ancora pronti.
Appena due anni fa, ha poi raccontato Del Zotti, aveva fatto scalpore il caso di un genitore negli Stati Uniti denunciato alla polizia per pedopornografia. In realtà, il papà in questione aveva fotografato l’infezione inguinale del proprio figlio per inviarla a un dottore, ma l’algoritmo di Google aveva automaticamente bollato quella foto come pedopornografica e inviato una segnalazione alla polizia.
È necessaria una formazione all’utilizzo dei nuovi mezzi tecnologici e a una coscienza informatica non solo per la popolazione anziana, ha sottolineato Del Zotti, ma per tutti noi.
Da casi del genere, si capisce come la necessità di una formazione all’utilizzo dei nuovi mezzi tecnologici e a una coscienza informatica sia necessaria non solo per la popolazione anziana, ma per tutti noi. Se fino ad oggi abbiamo rimandato, ha ammonito Del Zotti, è necessario migrare al più presto su servizi di messaggistica effettivamente criptati, e in cui i metadati non sono conservati all’interno di banche dati collegate a servizi terzi. Il caso riportato apre squarci piuttosto inquietanti sul modo in cui le nostre informazioni e queste piattaforme sono gestite.
Al futuro, bisognerebbe iniziare a guardare da qui.