Covid-19, poche risorse e la scelta a chi dare la precedenza
Quale di questi due pazienti è più etico salvare? Quale sottoporre a trattamenti intensivi?

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Quale di questi due pazienti è più etico salvare? Quale sottoporre a trattamenti intensivi?
Foto di Marco Vergano
Quale di questi due pazienti è più etico salvare? Quale sottoporre a trattamenti intensivi? Decisioni difficili e strazianti che i medici italiani in prima linea nelle regioni più colpite da covid-19 si possono trovare a dover prendere quasi quotidianamente. Il sistema è ormai prossimo al collasso. Mancano posti letto nelle terapie intensive e i ventilatori non sono sufficienti per curare tutti i pazienti. A fronte di risorse ospedaliere limitate si è purtroppo costretti a dover scegliere quali pazienti salvare e quali lasciar morire. Le risorse sono così limitate da non garantire nemmeno la protezione degli operatori sanitari. Come curare i pazienti con le forme più gravi di polmonite virale da covid-19? E come continuare a prendersi cura dei pazienti che presentano altre malattie non correlate a covid-19? E come proteggerli dal contagio? Un problema che, con l’espandersi dell’epidemia, accomuna ormai diversi paesi nel mondo, a partire dalla vicina Spagna. Anche negli Stati Uniti soddisfare contemporaneamente le esigenze di così tanti pazienti in condizioni critiche si sta già rivelando impossibile, scriveva sul New England Journal of Medicine [1] Lisa Rosenbaum, cardiologa al Brigham and Women’s Hospital della Harvard Medical School, incitando la comunità scientifica a riflettere su cosa sta accadendo qui da noi. Lo fa a partire dalle testimonianze di tre colleghi italiani di tre diversi ospedali lombardi che hanno chiesto l’anonimato.
La rapidità con cui peggiora il quadro respiratorio nei pazienti più gravi positivi a coronavirus, compresi alcuni giovani, è sorprendente e spesso imprevedibile. “Non abbiamo una bibbia da seguire. Dobbiamo decidere a chi dare la precedenza”, ha raccontato il dottor D, primario di cardiologia di mezza età in uno dei più grandi ospedali del nord Italia, risultato positivo al coronavirus dopo che si era messo in autoisolamento nel seminterrato della sua abitazione per proteggere la famiglia dal rischio di contagio. AI primi sintomi gli era stato detto che non c’erano abbastanza tamponi disponibili.
“I medici italiani con cui ho parlato erano particolarmente sofferenti di fronte alla richiesta di descrivere come venivano prese le decisioni circa la scelta di quali pazienti intubare. Le mie domande sono state accolte con il silenzio o con l’esortazione a concentrarsi unicamente sulla necessità di prevenire i contagi e del distanziamento sociale. Per esempio quando ho insisto con il dottor S. per sapere se il limite di età veniva usato per decidere se attaccare il ventilatore, alla fine ha ammesso quanto gli dispiacesse parlarne”, scrive Rosenbaum. “Non c’è modo di trovare un’eccezione”, ha raccontato il dottor L. “Dobbiamo decidere chi deve morire e chi dovremo mantenere in vita”.
Gli ospedali italiani in piena emergenza covid-19 hanno dovuto abbassare il limite di età dei pazienti a cui dare il respiratore. Un ospedale l’ha abbassato da 80 a 75 anni, scrive. Può inoltre essere necessario porre un limite di età all’ingresso in terapia intensiva e non perché quel paziente non ne abbia diritto ma per riservare risorse a chi ha più probabilità di farcela e che, in seconda istanza, può avere più anni di vita salvata. Per dare una guida e un supporto in queste scelte eticamente e clinicamente difficili, la Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti) aveva formulato delle raccomandazioni etiche da seguire nella cura dei pazienti covid-19 critici in terapia intensiva, tra necessità e risorse disponibili [2]. Si tratta di un documento tecnico in 15 punti che Siaarti ha diffuso e pubblicato integralmente “per fornire un supporto agli anestesisti-rianimatori attualmente impegnati a gestire in prima linea una maxi-emergenza che non ha precedenti per caratteristiche e proporzioni”. Per non lasciare da soli i colleghi della “prima linea medica” costretti dagli eventi quotidiani a prendere decisioni a volte impegnative e dolorose. “Siamo consapevoli – si legge nel comunicato stampa della Siaarti – che affrontare questo tema può essere moralmente ed emotivamente difficile. Come società scientifica avremmo potuto (tacendo) affidare tutto al buon senso, alla sensibilità e all’esperienza del singolo anestesista-rianimatore, oppure tentare – come abbiamo scelto di fare – di illuminarne il processo decisionale con questo piccolo supporto che potrebbe contribuire a ridurne l’ansia, lo stress e soprattutto il senso di solitudine. Oltre a rappresentare per il paziente una tutela in termini di limitazione dell’arbitrarietà delle scelte del team curante. Non è la Siaarti, con questo documento di raccomandazioni, a proporre di trattare alcuni pazienti e di limitare i trattamenti su altri. Al contrario, sono gli eventi emergenziali che stanno costringendo gli anestesisti-rianimatori a focalizzare l’attenzione sull’appropriatezza dei trattamenti verso chi ne può trarre maggiore beneficio, laddove le risorse non sono sufficienti per tutti i pazienti. La domanda che come Siaarti ci sentiamo di fare in conclusione è dunque se l’insufficienza delle risorse poteva essere considerata, valutata e gestita in precedenza, ma la risposta a questo interrogativo (che si pone oggi di fronte ad un’epidemia che non ha eguali negli ultimi decenni) con ogni probabilità è nelle competenze e nelle disponibilità delle istituzioni”.
Marco Vergano, medico anestesista rianimatore al San Giovanni Bosco di Torino, tra i redattori del documento della Siaarti, aveva sottolineato che le raccomandazioni raccolte facevano appello alla “ragionevolezza clinica” e a un approccio “soft utilitarian” di fronte alla scarsità di risorse. Principi etici della Siaarti – proseguiva Rosenbaum – sono simili a quelli raccolti da Lee Daugherty Biddison, intensivista alla Johns Hopkins University School of Medicine, in un documento pubblicato nel 2019 dal titolo “Too many patients… A framework to guide statewide allocation of scarce mechanical ventilation during disasters”, in cui si faceva notare che “una pandemia di influenza simile a quella del 1918 richiederebbe una terapia intensiva e una capacità di ventilazione meccanica significativamente maggiori di quelle ora disponibili” [3].
Di fronte alla scarsità delle risorse | L’esperienza italiane unita alle raccomandazioni della Siiarti sull’allocazione delle risorse in emergenza covid-19 hanno avuto una grande risonanza nella comunità medico scientifica internazionale. Qui il podcast di Marco Vergano intervistato dal New England Journal of Medicine.
Biddison e colleghi hanno indicato tre principi pragmatici alla base del processo decisionale che sono altrettanto vincolanti di quelli etici. Innanzitutto è prioritario separare la figura del medico che presta assistenza da quella del medico che ha il ruolo di prendere le decisioni durante il triage. Spetta infatti al responsabile del triage, con il supporto di un team, valutare dove allocare le risorse e comunicare le decisioni prese al team clinico, al paziente e alla famiglia. Secondo, è utile una revisione periodica delle decisioni prese da parte di un comitato di monitoraggio centralizzato al fine di garantire che non vi siano disparità inappropriate. In terzo luogo, l’algoritmo di triage dovrebbe essere rivisto regolarmente man mano che evolve la conoscenza della malattia: “per esempio, se decidessimo di non intubare i pazienti con covid-19 per più di 10 giorni ma poi venissimo a sapere che questi pazienti hanno bisogno di 15 giorni per guarire, gli algoritmi dovrebbero essere modificati”.
“Unificare tutti questi principi, sia etici che pragmatici – conclude la cardiologa di Harvard – è riconoscere che solo con la massima trasparenza e l’inclusività si potrà ottenere la fiducia e la cooperazione della popolazione. In tutto il mondo – dai medici con la museruola alle false promesse di eseguire i tamponi negli Stati Uniti, alla confutazione delle affermazioni sul razionamento delle risorse in Italia – stiamo vedendo che la negazione è mortale. Il punto in cui la capacità di intervento si dissolverà nel panico dipenderà sempre dal contesto. Ma la tragedia in Italia rafforza la saggia accortezza di molti esperti di sanità pubblica: il miglior risultato di questa pandemia starebbe nell’essere accusati di eccesso di preparazione”.
Laura Tonon, Il Pensiero Scientifico Editore
Bibliografia
Ne parla un articolo del New York Times a partire dalle testimonianze dirette dei medici.
L’ennesimo studio conferma le remore di medici e industria quando si tratta di essere trasparenti.
Quando viene disegnato è prassi comune prevedere anche degli endpoint secondari. Un aspetto importante e non trascurabile. Di Renato...