A cura di Elena Nave
Per consenso informato si intende l’autorizzazione che deve essere espressa da parte del paziente a ricevere un qualunque trattamento sanitario.
L’espressione “consenso informato” viene usata, in sanità e nella letteratura bioetica per riferirsi a due diverse concezioni, unite tra loro. La prima si riferisce a una pratica sociale legata a un particolare contesto storico-culturale e istituita in specifici ambiti, quelli dell’assistenza sanitaria (e della sperimentazione clinica e farmaceutica) e della ricerca. Tale pratica (gestita secondo regole fisse, alcune codificate giuridicamente e altre stabilite secondo la prassi invalsa nel gruppo) ha lo scopo di permettere stabilmente di trattare pazienti nel setting medico o di ricerca, in accordo con gli standard di buona pratica clinica e le norme legislative (e politiche) vigenti.
L’elemento prevalente dell’espressione “consenso informato” è qui quello relativo alla dimensione pubblica di una procedura analizzabile nei termini della rete di norme che la regolano e dei requisiti necessari affinché un atto del paziente, il consenso, sia valido ed efficace, e permetta così le cure, oppure non lo sia. Tanto le norme quanto i requisiti subiscono l’influenza delle credenze della società in cui la pratica è inserita. Il clima culturale del XX secolo, che ha prodotto la pratica del consenso informato in medicina e lo ha reso un vincolo sociale ineludibile, è stato caratterizzato dall’emergere del paziente quale soggetto di decisioni. L’anno di nascita del consenso informato in questo primo significato di “pratica sociale” è convenzionalmente il 1957, quando nella sentenza “Salgo” (causa Salgo vs Leland Stanford Jr. University Board of Trustees, Corte d’Appello della California, 22 ottobre 1957) fu coniata l’espressione “informed consent”.
Nel suo secondo significato, ripercorrendo la teoria contenuta nel classico di Ruth R. Faden e Tom L. Beauchamp, A history and theory of informed consent, il consenso informato è una scelta, più precisamente un tipo particolare di azione di singoli pazienti: un’autorizzazione autonoma. Esso è piu di un semplice, esplicito accordo a una procedura proposta: esprime l’esercizio attivo dell’autorità del paziente, il quale conferisce a qualcuno, il medico, il permesso di attuare un certo piano, un certo esame diagnostico, una certa terapia. Tale autorizzazione del paziente, da alcuni definita “intenzionale”, implica due distinte operazioni: l’assunzione di responsabilità per ciò che si autorizza e il trasferimento a un altro dell’autorità di realizzarlo. L’autorizzante e l’autorizzato con tale atto condividono la responsabilità per le conseguenze (prevedibili). Chi autorizza utilizza il potere in suo possesso nella situazione per dotare un altro, il medico, del diritto ad agire, e assume alcune responsabilità per le azioni compiute dall’autorizzato allo scopo di realizzare i processi di cura per i quali questi ha ottenuto il permesso di agire. Affinché il consenso informato sia un’autorizzazione autonoma, è necessario che colui che lo esprime capisca queste caratteristiche dell’atto e intenda procedere. Il consenso informato così inteso costituisce, attualmente, nei paesi occidentali, il fondamento della legittimità del trattamento sanitario. Esso esprime il riconoscimento della sovranità che il paziente adulto in grado di produrre tali autorizzazioni autonome possiede sul proprio corpo e sulla propria vita, ne sancisce giuridicamente la titolarità decisionale sulle scelte riguardanti le proprie cure e il diritto, conferitogli solo ove non leda i diritti e l’incolumità altrui, di disporre del proprio corpo. Il primo argine che limita lo spettro d’azione del trattamento sanitario è, quindi, la disponibilità del paziente a voler essere curato.
Il consenso informato indica dunque l’assenso/dissenso con il quale il paziente autorizza/non autorizza il personale sanitario a invadere la sua integrità corporea a fini diagnostici, assistenziali, terapeutici, prognostici o migliorativi, nelle sole condizioni profilate dal personale sanitario, stabilite nel documento di consenso (che è parte della procedura del consenso informato come pratica) e da egli volontariamente accettate.
Si distingue dal consenso informato vero e proprio l’assenso informato fornito dai minori d’età e il proxy consent o “consenso per procura”. Con quest’ultima espressione si intende il consenso alle terapie che i rappresentanti legali prestano per un individuo giudicato incapace di decidere per sé. Esempio tipico è il consenso alle cure fornito da genitori di figli minori d’età. Cosi come esiste uno standard che stabilisce se un individuo sia in grado di prendere le proprie decisioni di salute, allo stesso modo vi sono criteri per giudicare se i decisori sostitutivi posseggano o meno le caratteristiche necessarie per poter scegliere per altri. In Italia alla pratica del consenso informato è dedicata un’apposita legge, la 219/2017, “Norme in materia di consenso informato e direttive anticipate di trattamento”.
Elena Nave Comitato etico interaziendale, Aou Città della salute e della scienza di Torino Ao Ordine Mauriziano – Asl Città di Torino Consulta di bioetica onlus
Questo testo è tratto dal libro Le parole della bioeticaa cura di Maria Teresa Busca e Elena Nave (Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2021). Per gentile concessione dell’editore.