Nel suo ultimo libro, Le Rose di Orwell, Rebecca Solnit riflette sul famoso slogan “Vogliamo il pane e anche le rose” nato agli inizi del ‘900 durante le prime campagne femministe che chiedevano il diritto di voto e maggiori tutele lavorative per tutti e tutte. Secondo la giornalista e scrittrice americana il senso dello slogan risiedeva nella metafora per cui: “Il pane nutriva il corpo, le rose nutrivano qualcosa di più sottile: non solo i cuori, ma anche l’immaginazione, la psiche, i sensi, le identità.” A chi manifestava non bastava poter lavorare per sopravvivere, chiedevano che il benessere e la felicità fossero riconosciuti come diritti: “Le rose in queste dichiarazioni stavano a significare che gli esseri umani sono complessi, che i desideri non sono riducibili e che ciò che ci sostiene è spesso sottile e sfuggente”.
Due risposte alla crisi sanitaria
A partire da questo stesso slogan, “il pane e le rose”, Victor Montori e Iona Heath condividono sul BMJ [1] le loro riflessioni sul mondo dell’assistenza sanitaria dove il bisogno di pane e di rose è ancora presente e ancora va chiesto sia da chi cura sia da chi è curato. Perché – scrivono – “il pane è il sostentamento e quindi la vita; le rose sono il coraggio e la speranza, la curiosità e la gioia, e tutto ciò che rende una vita degna di essere vissuta. Il pane è biologia; le rose sono biografia. Il pane è transazionale e tecnocratico; le rose sono relazionali. Il pane è scienza; le rose sono cura, gentilezza e amore”.
Victor Montori, ricercatore e diabetologo alla Mayo Clinic, è promotore del movimento “patient revolution” (www.patientrevolution.org) che si ribella all’assistenza sanitaria “industrializzata” e ne pretende invece una attenta e premurosa nei confronti del singolo paziente. Iona Heath, medico di medicina generale di lunga esperienza, ha ricoperto la carica di presidente della Royal College of General Practitioners e ha presieduto il Comitato etico di The BMJ. Dal loro punto di vista, esistono due possibili risposte all’attuale crisi assistenziale che i sistemi sanitari di tutto il mondo stanno affrontando.
La prima suppone che si tratti solo di problemi di organizzazione, efficienza, informazione e tecnologie. In questa prospettiva, le persone sono viste come macchine da controllare e monitorare per prevenire malattie e sofferenze. Questa prospettiva non porta che all’aumento del coinvolgimento delle grandi aziende del settore sanitario spingendo al consumo di prodotti farmaceutici e di tecnologie mediche, a discapito del pianeta e delle conseguenze per l’ambiente.
Invece la seconda risposta presuppone che la crisi sia dovuta alla mancanza di cura stessa. Per superare la crisi contemporanea bisogna recuperare il significato profondo del prendersi cura riconoscendo che “la cura avviene nello spazio tra le persone, in un incontro senza fretta. Solo quando gli esseri umani interagiscono possono curarsi. È in questa interazione che notiamo un problema nell’altro e cerchiamo di rispondere alla sua situazione per migliorarla. Nell’assistenza sanitaria il notare va oltre il dato biologico per apprezzare quello biografico, nella piena consapevolezza che i corpi non sono macchine e che le emozioni, sia positive che negative, esercitano una potente influenza su ogni aspetto della salute. Va oltre ciò che rende possibile la vita per considerare ciò che la rende significativa. Curare non significa solo seguire le linee guida basate sulle evidenze per migliorare gli indicatori di salute della popolazione”.
La cura avviene nello spazio tra le persone, in un incontro senza fretta. Curare non significa solo seguire le linee guida basate sulle evidenze.
Coltivare la cura
La forza di una simile visione risiede proprio nel suo essere umana e quindi “immersa in un’incertezza radicale, ma resistente alle delusioni ricorrenti grazie alle strette relazioni personali all’interno delle quali avviene la cura”. Chiedere sia il pane sia le rose descrive bene il modo in cui i sistemi sanitari dovrebbero ripensare al valore della cura. “L’attenzione al pane fa sì che l’assistenza sanitaria mantenga il potenziale di attenzione all’oggetto della cura, ai corpi e alle menti, alle paure e ai sentimenti dei singoli pazienti, e crei le condizioni per far emergere un’assistenza attenta e gentile. […] L’attenzione alle rose mette in evidenza l’oggetto della cura, in modo che le cicatrici dell’ingiustizia, del razzismo, dell’iniquità e della violenza possano essere rese visibili insieme alle cicatrici della malattia”.
L’attenzione al pane fa sì che l’assistenza sanitaria mantenga il potenziale di attenzione all’oggetto della cura.
Secondo Heath e Montori ormai i principi morali della sanità industrializzata sono sempre più in contrasto con gli imperativi etici che dovrebbero guidare i lavori di cura. Ne derivano una diffusa dissonanza cognitiva tra gli operatori e un senso di abbandono tra gli utenti. Tutto ciò perché, negli ultimi anni, si è data sempre più importanza al pane, dimenticando i limiti delle tecnologie e lasciando che la scienza e l’efficienza avessero la meglio sui valori della dignità, della giustizia e della solidarietà.
La cura, come le rose, dà un senso alla vita. Dobbiamo coltivare la cura.
Per rispondere a questa crisi quindi, ciò che di più radicale si può fare è tornare a chiedere anche le rose, coltivando le relazioni tra i professionisti e i pazienti e tra i professionisti stessi. Concludono, gli autori: “La cura, come le rose, dà un senso alla vita. Dobbiamo coltivare la cura.”