Camminare sul ghiaccio
Riconoscere e gestire i conflitti di interesse per tutelare l’integrità. Di Luca De Fiore

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Riconoscere e gestire i conflitti di interesse per tutelare l’integrità. Di Luca De Fiore
Emergenza climatica e conflitti d’interesse hanno qualcosa in comune: sono evidenti ma fatichiamo a riconoscerli e ad accettarli. L’integrità – della superficie ghiacciata ai poli come delle coscienze – è l’elemento capace di infondere fiducia: una persona o un sistema hanno nell’integrità il proprio patrimonio più prezioso. Vuoi parlando del cambiamento climatico, vuoi discutendo dei molti interessi economici e finanziari che attraversano la sanità e la medicina, negare l’evidenza dei dati non è di alcun aiuto: al contrario, il dialogo e il confronto possono aumentare la consapevolezza e motivare sia l’azione individuale, sia quella collettiva e politica.
Il signore che cammina sul ghiaccio si chiama Guido van der Werve. È un artista danese conosciuto per le performance e per i video, conservati oggi in diversi musei di arte contemporanea del mondo. L’artista sta camminando 15 metri di fronte al rompighiaccio Sampo da 3500 tonnellate mentre solca il golfo ghiacciato di Bothnia al largo della costa della Finlandia, vicino al circolo polare artico. È il ritratto della vulnerabilità, dominato dalla vasta distesa di bianco e dal ferro gigantesco che si muove dietro di lui. Proviamo una strana sensazione nel renderci conto che se il ghiaccio si spezzasse davanti a van der Werve, l’artista cadrebbe in acque gelide. Ancora: la nave sembra a malapena trattenuta dal suo pilota invisibile evitando di sorpassare e schiacciare l’artista. Il film scorre all’infinito, mantenendo la nostra percezione del potenziale disastro in sospensione permanente.
Il 18 settembre di quest’anno la superficie ghiacciata dell’Artico ha raggiunto la seconda dimensione minima mai registrata: poco più di quattro milioni di chilometri quadrati. Solo il 28 per cento del ghiaccio dell’Artico ha la solidità di un’età pluriennale e arriva ad uno spessore di tre o quattro metri. Molto del ghiaccio è dunque sottile come quello che si spezza sotto la prua della nave e potrebbe non reggere il peso di una persona. Il 70 per cento della superficie ghiacciata è nuovamente prodotto ogni anno, dall’azione del clima. C’è un altro problema, però: la quantità del ghiaccio che si forma ogni anno è minore di quella che si scioglie a causa del riscaldamento del pianeta.
La superficie sulla quale van der Werve cammina sta diventando ogni giorno meno sicura. Si sta dis-integrando. Sta perdendo, dunque, la propria integrità. Seguendo l’etimologia della parola cogliamo il senso dello smarrimento della coesione: qualcosa perde la propria unità, si disorganizza.
A questo punto, cambiamo completamente scenario e andiamo a vedere i risultati di un’indagine svolta negli Stati Uniti pochi anni fa, presentata sul New England Journal of Medicine. “Nel 1966, quasi tre quarti (73 per cento) degli americani dichiaravano di avere grande fiducia nelle personalità più in vista della medicina. Nel 2012, solo il 34 per cento ha confermato questa opinione (Harris 1966-2012). Beninteso: parliamo della sanità americana, iniqua e inarrivabile per molti cittadini. Comunque sia, guardando meglio i dati vediamo che la fiducia nell’integrità dei medici è rimasta elevata. Più di due terzi dei cittadini (69 per cento) giudicano l’onestà e gli standard etici dei medici come «molto elevati» o «elevati» (Gallup 2013)” [1]. La credibilità dei professionisti è dunque molto maggiore di quella del sistema. È un patrimonio che va protetto e dovrebbe preoccuparci sapere che la credibilità del medico è inferiore se a giudicarla sono i giovani e le donne. È maggiore per i maschi e i pensionati. Il punto centrale – scrivevano gli autori della Perspective – è nella timidezza con cui i medici affrontano e si pronunciano a proposito dei costi della sanità. Se le persone che lavorano nella sanità continueranno a non prendere la parola, le decisioni saranno prese da altri e non è detto che andranno a vantaggio di chi rende possibile ogni giorno il servizio sanitario nazionale.
Ecco dunque il primo punto: l’integrità e la credibilità – grande patrimonio di un sistema sanitario – sono due qualità collegate.
Non dobbiamo permettere che il livello dell’acqua continui a salire.
Torniamo al freddo. Sul Passo della Furka, nella Svizzera del sud, c’è un piccolo esercizio commerciale che sfrutta una grotta di ghiaccio nel vicino ghiacciaio del Rodano e propone ai turisti di sperimentare l’ebbrezza di una permanenza all’interno di uno spazio colorato di blu. Ghiaccio che sta sciogliendosi e dà qualche preoccupazione e – dato che ne va del loro lavoro – i gestori hanno pensato valesse la pena spendere un po’ di soldi nel tentativo di rallentarne la ritirata.
Penso che utilizzare la bellezza sia fondamentale in modo da attirare lo spettatore a pensare a cose a cui altrimenti preferirebbe non pensare.
Simon Norfolk
Hanno investito molto in una speciale coperta termica che ha impedito al ghiaccio di scomparire e ha mantenuto intatta la grotta, profonda circa 25 metri. Tuttavia, dopo alcuni inverni la coperta ha iniziato a soffrire. Anzi, a disintegrarsi. Anche lei. Aggiungiamoci che, sfortunatamente, questa “soluzione” non è scalabile: non possiamo coprire tutto il ghiaccio del mondo; l’idea e il gesto sono abbandonati e condannati come il ghiacciaio stesso. C’è più di un pizzico di follia – o di presunzione – nel tentativo di arrestare l’inevitabile: è come se il ghiacciaio si fosse avvolto in preparazione al proprio funerale.
It’s this futility, the tiny bandage of a gesture, that is most relatable.
It personalizes what can otherwise seem too daunting and vast to grasp, an extinction of our own making. – Lea Ollman LA Times 29 4 2019
Ecco il secondo punto: una coperta su un ghiacciaio ricorda il gesto di coprire qualcosa per far finta che non esista. È un classico ed è un gesto futile. Dall’integrità del ghiacciaio torniamo a quella del servizio sanitario. Accanto all’obiettivo primario, quello che dovrebbe essere l’unico a guidare le scelte degli operatori sanitari e del sistema, più in generale – vale a dire fare il bene della persona ammalata – sono tanti e diversi gli interessi che possono influenzare le nostre scelte. Interessi di tipo accademico [fare carriera, per esempio, costi quel che costi], economico [semplicemente, guadagnare di più], familiare [favorire una figlia o un fidanzato, un amico che lavora in un’industria]. Pensando di vivere in un contesto che tutto sommato considera inevitabili certi comportamenti o certi eventi, si va alla ricerca di coperte che coprano tutto. Fino a quando novità come la Loi Bertrand in Francia a partire dal 2011 o il Sunshine Act statunitense dal 2013 non rendono pubblici i dati sulle transazioni economiche tra le imprese e i medici americani. Nel 2015, 48 medici statunitensi su 100 avevano percepito denaro dall’industria per un totale di 2,4 miliardi di dollari trasferiti dalle aziende al personale sanitario [2]. Non sono soltanto i professionisti sanitari ad avere rapporti con industrie ma anche le istituzioni, sempre più sollecitate a cogliere le opportunità che giungono dalla collaborazione tra pubblico e privato.
Siamo al terzo punto: c’è una coperta ancora più grande e più spessa, quella che dice che questi dati non rappresentano un conflitto ma testimoniano una convergenza. Ammettiamolo: non è facile avere le idee chiare sui conflitti di interesse anche perché si nascondono in tanti ambiti diversi, manifestandosi – come detto prima – in modi differenti e talvolta sfumati. Al punto che si può cedere alla tentazione di credere che alla fine l’obiettivo del servizio sanitario nazionale coincida con quello delle industrie che lavorano nell’ambito della salute. Salvo poi tornare sulla terra quando leggiamo che alcune aziende farmaceutiche si sono rifiutate di firmare la dichiarazione voluta da Business Roundtable con la quale alcune imprese si impegnano a creare valore non solo per i propri azionisti.
Che si tratti di “convergenza” è la convinzione di molti, che hanno trovato conforto nella posizione espressa dal NEJM in una serie di articoli che sostenevano che – pur essendo nota la pervasività dei rapporti tra professionisti e industrie – “i benefici generati dalle interazioni tra medico/ricercatore e industria a livello di ricerca di base o traslazionale sono ugualmente chiari. La domanda, quindi, è come gestire al meglio i conflitti di interesse preservando le collaborazioni da cui dipendono i progressi della medicina”. Difficile non essere d’accordo. Ma è il momento di fermarsi a riflettere su due passaggi chiave del ragionamento esposto da Lisa Rosenbaum in quei contributi [3].
“Sono casi isolati, di industria corrotta che interagisce con medici corruttibili”. Sulla rarità del verificarsi di queste circostanze purtroppo c’è chi ha qualche dubbio. Ma, con questa affermazione, Rosenbaum tocca il quarto punto, davvero centrale: il conflitto di interessi è una questione che riguarda le persone oneste. Nel momento in cui, la condizione di maggior pericolo – camminare sul ghiaccio – si trasforma in un evento – nel peggiore dei casi cadere nell’acqua ghiacciata – diventa materia di codice penale (o di rianimazione, nel caso dell’artista nella neve…). “Il pubblico ufficiale, che, […] per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei a dieci anni.” (Art. 319 CP)
In questo rapporto tra rischio ed evento è un’altra delle qualità proprie del conflitto di interessi: non è mai “potenziale” in quanto un pericolo esiste o non esiste. Una sterminata letteratura sull’argomento prova che certi comportamenti espongono senza dubbio ad un maggiore rischio ed è con questa evidenza che dobbiamo tutti fare i conti.
Il panino e il milione di euro: questo è il quinto punto. “Le interazioni tra medici e industria sono frequenti e diversi, e vanno dall’offerta di un bagel da 10 dollari al grant di ricerca di un milione”. C’è, insomma, un doppio livello: individuale e generale.
Di nuovo, chiedo di fare un salto per tornare a pensare alla questione ambientale. Ogni cittadino francese butta via circa 365 kg di rifiuti a persona ogni anno. Tuttavia, è difficile farsi un’idea della quantità effettiva quando i nostri rifiuti vengono raccolti ogni settimana. # 365, Unpacked è il risultato di un lavoro di quattro anni durante il quale il fotografo Antoine Repesse ha smesso di buttare via i suoi rifiuti riciclabili e invece li ha raccolti. Alla fine erano settanta metri cubi di imballaggi che hanno invaso la vita quotidiana dei protagonisti di questa serie fotografica. Questa “banca dei rifiuti” comprende 1600 bottiglie di latte, 4800 rotoli di carta igienica e persino 800 kg di giornali. La documentazione del peso individuale della sfida che noi stessi stiamo portando al pianeta. La testimonianza di un costo duplice: in primo luogo, sosteniamo i costi durante l’acquisto di beni e servizi e, successivamente, sarà sempre a carico dei cittadini il costo della raccolta e del trattamento degli imballaggi o dell’energia utilizzati. Il progetto del fotografo francese sposta l’attenzione sul rapporto tra l’individuo e un problema planetario.
Un dualismo simile, anche se in scala ridotta, lo ritroviamo anche riflettendo sulla crisi di credibilità della cosiddetta medicina accademica, dove il livello individuale potrebbe costituire un problema di poco conto. Infatti, potremmo immaginare che un finanziamento considerevole ad un istituto di ricerca possa avere un impatto molto più intenso sul sistema sanitario rispetto alla partecipazione ai congressi offerta ai singoli medici: ma i dati dicono che è più probabile che relazioni forti e amichevoli si stabiliscano offrendo una semplice cena durante un evento ecm e che queste relazioni si traducono in maggiori prescrizioni e, spesso, in un costo maggiore per il sistema e per i cittadini [4]. Concentrarsi sui casi individuali è velleitario e, soprattutto, inconcludente? Probabilmente no: perché il sistema cambi – e anche le istituzioni diventino più sensibili all’importanza di conservare o di ricostruire la propria integrità per recuperare credibilità agli occhi dei cittadini – l’impegno individuale è importante ma ancora di più è fondamentale che cresca una cultura dell’integrità all’interno delle organizzazioni. “Le scelte individuali non faranno alcuna differenza se non saranno prese e applicate decisioni collettive” [5]. Però, premiare e dare valore ai comportamenti virtuosi significa esercitare pressione nei confronti delle istituzioni. Che nel percorso verso l’integrità dovrebbero preferire una “spinta gentile” nei confronti dei professionisti alla tentazione di dare soluzioni burocratiche al problema dei conflitti di interesse.
La coscienza individuale è vista sempre più come il campo di Battaglia privilegiato di un Conflitto che è invece palesemente globale e richiede un’azione collettiva: è come se, esaurita ogni altra risorsa democratica, non restasse che la morale.
Amitav Gosh – La grande cecità
Sesto punto: per tutelare l’integrità è necessario sia un cambiamento di rotta di governi e istituzioni, sia l’impegno condiviso e partecipato dei professionisti. È importante non sottovalutare i problemi che si vengono a creare nelle relazioni tra interessi pubblici e privati. Bisogna saper osservare queste criticità e tenere traccia sia dei rischi, sia delle possibili soluzioni che possono ridurre i pericoli. Tornando all’osservazione dello sciogliersi dei ghiacci, quello che andrebbe svolto è simile al lavoro da cartografi. Resoconti, storie, narrazioni riescono a rappresentare la pluralità dei casi, l’un l’altro simili ma distinti. Non limitandosi all’inventario di quel che esiste, ma cercando di descrivere la complessità della realtà e arrivando ad immaginare il punto di arrivo di fenomeni e comportamenti, qualora non fossero corretti.
One way is to convert abstract information about the catastrophe into visible proof, proof that startles and leaves an itch under the skin.
Lea Ollman, Los Angeles Times 29 4 2019
È quello che sta cercando di fare chi lavora per documentare la crisi dell’integrità della medicina accademica e i pericoli dei conflitti di interessi. Questa è la settima cosa importante. Pensiamo ad esempio alle centinaia di pagine che a questi argomenti ha dedicato il JAMA un paio di anni fa o al lavoro di progetti come Retraction Watch o a personalità quali Jerry Kassirer, Richard Smith o Marcia Angell.
Ancora Simon Norfolk ha lavorato sul monte Kenya per rendere visibile la parte del ghiacciaio che è andata persa negli ultimi 80 anni. Un lavoro impressionante. Continuare a mantenere viva l’attenzione anche ricorrendo ad immagini belle come quelle di Norfolk o di Repesse, studiando e proponendo soluzioni. Di nuovo, riconoscendo l’impegno di chi ha nell’integrità la propria stella polare e di chi cerca di trovare vie d’uscita che non riducano creatività e capacità di chi fa ricerca e di chi lavora nell’assistenza. Celebrare l’integrità è l’ottava cosa da fare.
In conclusione, torniamo al video iniziale e al suo titolo – Everything is going to be alright – che garantisce che alla fine andrà tutto bene. Abbiamo parlato di integrità, con uno sguardo ad ambiti diversi. Guardando e riguardando il video, c’è un elemento al quale raramente si fa caso: l’artista è giunto fin là grazie a quella nave. Ci viene più facile percepire il rischio presente nel camminare su un ghiaccio sempre più sottile: ma il pericolo più grande è nella nave, per la sua azione dirompente e per l’energia che è stata necessaria per costruirla e portarla fin là.
Per quanto si possa essere sedotti dalla bellezza del paesaggio artico e tentati dal provare l’emozione di una passeggiata sul ghiaccio, talvolta dovremmo riuscire a rinunciare: “preferirei di no”, per proteggere la nostra integrità e quella del sistema.
La protezione dell’integrità è forse nella difficoltà di trovare un equilibrio tra umanità e tecnologia, tra il vero progresso e lo sviluppo, tra la cura delle persone e la medicina industriale. Alla fine, tra sobrietà e ambizione, tra le regole e il desiderio.
Luca De Fiore
Direttore Il Pensiero Scientifico Editore
Bibliografia
La nota di Gaia Marsico
A cura di Ludovica De Panfilis
Dal libro The big con di Mariana Mazzucato e Rosie Collington