È una delle diverse forme di pandemia che scorrono parallele al coronavirus. È quella invisibile che sta investendo la salute fisica e anche mentale di medici, infermieri e tutti i professionisti che ruotano attorno all’assistenza socio-sanitaria che hanno dovuto affrontare nuove grandi sfide mettendo a rischio la propria vita. Ne aveva già parlato un articolo del New York Times a partire dalle testimonianza dirette di chi lavora in prima in linea [1].
“Noi medici siamo stati definiti eroi, ci hanno messo su un piedistallo, ma abbiamo anche noi bambini e genitori anziani di cui preoccuparci (…) dopo un po’, il carico emotivo e il danno morale diventano troppo pesanti da sopportare”, racconta una giovane internista di Chicago, la dottoressa Sheetal Khedkar Rao.
Stiamo affrontando un’ondata di danni fisici ed emotivi che equivale a una pandemia parallela.
“Sono finiti i giorni in cui la gente applaudiva i medici e gli infermieri fuori dagli ospedali e nelle strade delle città” scriveva il giornalista Andrew Jacobs quando stava per iniziare la campagna di vaccinazione descrivendo le condizioni di stress a cui molti medici e infermieri erano sottoposti faticando a mantenere i ritmi di lavoro a causa degli effetti persistenti dovuti alla pandemia. Condizioni che hanno spinto molti ad abbandonano la professione o a chiedere il pensionamento anticipato. “Stiamo affrontando un’ondata di danni fisici ed emotivi che equivale a una pandemia parallela”.
Inquadrare il fenomeno
Un sondaggio pubblicato da Medscape a settembre 2020 confermavano questa tendenza [2]. L’indagine aveva coinvolto 7500 medici provenienti da Stati Uniti, Brasile e diversi stati europei, di questi due terzi avevano sperimentato gravi livelli di burnout durante la pandemia, una percentuale simile aveva segnalato altresì un calo del reddito. Infine, un quarto degli intervistati – riportava il New York Times – aveva affermato che la propria esperienza con covid li aveva portati ad abbandonare la professione.
Due medici su tre hanno sperimentato gravi livelli di burnout.
Donald Pathman, ricercatore presso l’Università della Carolina del nord, a Chapel Hill, aveva riferito di “essere rimasto colpito dai primi risultati di un’indagine che ha condotto circa gli effetti della pandemia sui medici che prestano servizio nelle comunità più disagiate”. Oltre a un considerevole numero di traumi personali, “nelle interviste, i medici che hanno recentemente lasciato il lavoro o stanno prendendo in considerazione il pensionamento anticipato hanno affermato che la pandemia ha esacerbato le frustrazioni provocate dai cambiamenti nel settore delle cure mediche che spesso richiedevano loro di lavorare più ore senza un maggiore compenso”.
Un problema anche italiano
A mettere in luce la questione erano stati anche Giulio Toccafondi e Michela Tanzini del Centro regionale gestione rischio clinico e sicurezza del paziente della Toscana, in un’analisi per Quotidiano Sanità in cui riportavano la prospettiva della National academy of medicine, il cui report Taking action against clinician burnout: a systems approach to professional Well-Being inquadra il fenomeno “dell’esaurimento dei professionisti sanitari in una visione complessiva che va oltre la gestione del carico di lavoro e individua una tensione etica. La crescente spinta a ‘fare di più con meno’ e l’incentivazione alla produttività basata sul volume, i regolamenti complicati generano nei medici tensioni etiche tra i loro obblighi di servire il malato ed essere amministratori responsabili delle risorse sanitarie. La dissonanza diviene costante e può culminare in alti livelli di stress lavorativo ed erodere anche il benessere professionale del clinico più resiliente” [3].
Quello del burnout è un problema che riguarda l’intera sanità, ospedaliera e territoriale. In una lettera aperta indirizzata al presidente dell’OMCeO di Torino, Guido Giustetto, il coordinatore Mario Perini della Commissione sul disagio lavorativo del medico scrive che le aree della medicina del territorio e delle cure primarie “sono risultate nel corso di questa pandemia – al pari di certe zone ospedaliere – dei veri ‘focolai del disagio’ col rischio di generare non solo criticità, errori e trascuratezze, ma anche e soprattutto diffusi processi di disinvestimento, malessere e fatica nei sanitari, processi ormai molto prossimi a configurare un’epidemia di burnout”. La lettera elenca in cinque punti le radici principali di questo disagio: il problema presente ormai da una decina di anni della scarsità delle risorse umane, strutturali e tecnologiche, le criticità della comunicazione, le angosce e le fatiche del compito di cura, le difficoltà dei medici a chiedere aiuto e a lasciarsi aiutare, a cui si aggiunge la difficoltà a lavorare in gruppo e a confrontarsi.
La “pandemia parallela”
Il primo a parlare di “pandemia parallela” era stato proprio il presidente della National academy of medicine, Victor Dzau, nelle riflessioni, sue e di Darrell Kirch e Thomas Nasca, pubblicate dal New England Journal of Medicine [4]. “La crisi di covid-19 è un duro colpo per una popolazione già ad alto rischio di provare disagio psicologico e incontrare problemi di salute mentale” scrivevano gli autori in agosto, riferendo che anche prima della pandemia un numero allarmante di operatori sanitari soffriva di burnout – secondo alcuni studi, dal 45 per cento al 55 per cento.
Il benessere dei medici è una questione che riguarda sistemi complessi con più parti responsabili.
“Abbiamo una breve finestra di opportunità per anticipare due pandemie, la diffusione del virus oggi e il danno per il benessere dei medici domani. Se falliremo, ne pagheremo il prezzo per gli anni a venire. Nella corsa per rispondere alla crisi di covid-19, non dobbiamo trascurare di prenderci cura di chi si prende cura di noi”. E, prendendo ancora in prestito le parole di Dzau e colleghi, “riparare il tessuto” della forza lavoro dei medici, i cui fili logori la crisi di covid-19 ha messo in evidenza con dolorosa chiarezza, “richiederà lo sforzo di tutti noi. Il benessere dei medici è una questione che riguarda sistemi complessi con più parti responsabili”.