Bloccanti puberali, tra ideologia ed evidenze scientifiche
La nota di Chiara Centenari del gruppo Acp "Pediatria di genere"

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La nota di Chiara Centenari del gruppo Acp "Pediatria di genere"
L’affermazione della propria “identità di genere” è fondamentale per il raggiungimento del benessere psico-fisico e della piena potenzialità di sviluppo di ragazzi/e in ogni contesto sociale. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sancisce come un’identità di genere differente da quella assegnata alla nascita sia l’espressione dell’ampia umana diversità, e non una patologia mentale (ICD 11-2019). In base a queste conoscenze, supportate ormai da un comune consensus scientifico, l’Associazione culturale pediatri si impegna a promuovere stili educativi affinché sia data l’opportunità ad ogni bambina/o di ricevere uguali esperienze, indipendentemente dal genere, e accompagnare i minori che necessitano di adeguati percorsi socio-sanitari di affermazione della propria identità di genere.
Il genere infatti viene assegnato alla nascita sulla base del sesso biologico determinato dall’anatomia dei genitali mentre l’identità di genere è un concetto biologico, psicologico, sociale e culturale indipendente dal sesso biologico: essa rappresenta il modo in cui gli individui percepiscono intimamente sé stessi come maschio o femmina o entrambi o nessuno dei due (non binarismo). Parliamo quindi di incongruenza di genere nell’età evolutiva quando bambini/e ragazzi/e non si identificano nel genere assegnato alla nascita in base al sesso biologico. È fondamentale sottolineare come l’ambiente sia in grado di modellare profondamente l’espressione e il ruolo di genere – cioè quell’insieme di preferenze e comportamenti che una società attende in modo più o meno esplicito per il genere assegnato alla nascita – ma non può modificare l’identità di genere propria di un individuo. Le più recenti evidenze di neuroscienze e genetica suggeriscono come l’eziologia della percezione del sé abbia prevalentemente basi biologiche e non derivi da scelte influenzate da fattori sociali [1,2]. Quindi qualunque tentativo in tal senso non solo non può essere considerato efficace, ma soprattutto non è eticamente accettabile.
Coerentemente con un approccio depatologizzante, le vecchie denominazioni di “transessualismo” e di “disturbo dell’identità di genere dell’infanzia” sono state sostituite nell’ICD11 dai termini rispettivamente di “incongruenza di genere dell’adolescenza e dell’età adulta”, e “incongruenza di genere dell’infanzia”. Rimossa dalla sezione relativa ai disturbi mentali, l’incongruenza di genere è stata inclusa nel capitolo dell’ICD11 che comprende le condizioni relative alla salute sessuale, allo scopo di garantire alla popolazione transgender l’accesso al percorso sanitario di affermazione della propria identità [1,3].
Malgrado un’apparente maggiore consapevolezza della società e un rafforzamento delle tutele legali, questa parte della popolazione continua a fronteggiare discriminazioni in ambito familiare, sociale, scolastico e lavorativo, sanitario, legale-assicurativo, disuguaglianze che nel complesso sono responsabili del cosiddetto minority stress (stress delle minoranze) [3].
In molti casi ancora la condizione di incongruenza si associa ad uno stato di sofferenza psicologica clinicamente significativa o di compromissione del funzionamento in ambito sociale, scolastico o lavorativo che viene definita disforia di genere. La letteratura scientifica evidenzia come questa sofferenza sia frequentemente esito non dell’incongruenza in sé, ma della sua stigmatizzazione a livello sociale e come questi minori siano caratterizzati secondariamente da una maggiore incidenza di ansia/depressone/disturbi del comportamento alimentare, comportamenti a rischio (alcool, fumo, droghe) fino all’ideazione suicidaria con un rischio di suicidio molto maggiore rispetto ai pari. In presenza di conclamata disforia, è opportuno avviare il/la ragazzo/a ad un percorso di medicalizzazione presso un centro con competenze specifiche, perché siano intrapresi – secondo la singola indicazione – percorsi di sostegno psicologico e terapia ormonale (sospensori dello sviluppo puberale o ormoni cross-sex in base allo stadio di sviluppo puberale) con dimostrata efficacia nel migliorare la salute psico-fisica di ragazzi/e. La re-transizione in età evolutiva è infrequente, la maggior parte dei partecipanti che iniziano in adolescenza un trattamento di affermazione di genere continuano questo trattamento in età adulta. Questo dato è rassicurante circa l’adeguatezza dell’iter diagnostico-terapeutico intrapreso [4,5]. Bambini/e in età prepubere non necessitano di alcun percorso medico ormonale e il loro benessere dipende principalmente dalla capacità di sentirsi accolti, per come sentono di definire ed esprimere la loro identità di genere, in famiglia a scuola e nel contesto sociale, quello che viene definita “affermazione o transizione sociale” [3].
Mentre in passato queste situazioni venivano ritenute appannaggio dell’età adulta e sottoposte a notevole stigmatizzazione sociale con un grave ritardo diagnostico, nelle ultime decadi abbiamo assistito ad un aumento delle richieste di presa in carico ad un’età progressivamente minore. Tale andamento potrebbe essere spiegato dalla maggiore facilità di accesso e disponibilità di informazioni anche tramite il web e quindi da una maggiore facilità a richiedere aiuto quando ricercato. Inoltre, anche il riconoscimento di identità non binarie e la possibilità di interventi parziali ha spinto più persone a chiedere assistenza laddove prima probabilmente non si sentivano riconosciute. Assistiamo quindi da parte di ragazzi/e e famiglie una maggiore propensione a parlare di questa condizione che risulta maggiormente accolta in una società sempre meno stereotipata rispetto al genere e da parte dei professionisti della salute una maggiore consapevolezza circa l’importanza di una presa in carico precoce per prevenire comportamenti a rischio e psico-patologie associate.
I professionisti della salute anche in Italia come in tutta Europa non si dimostrano ancora sufficientemente preparati per accogliere e indirizzare famiglie e minori verso corretti iter di supporto diagnostico-terapeutico [5]. L’uso dei sospensori della pubertà è ancora contrastato da alcune correnti di pensiero nonostante la solida approvazione nel mondo accademico internazionale e nazionale. A livello globale, l’accesso alle terapie affermative di genere è, per lo più ancora, subordinato a una diagnosi di salute mentale e ad altri gate keeper di ordine medico, giuridico, bioetico o economico.
Per quanto riguarda la realtà italiana la prescrizione dei sospensori della pubertà è effettuato solo in cinque centri in tutta Italia e sottoposta ad attenta valutazione da parte di commissioni multidisciplinari composte da specialisti in neuropsichiatria infantile, endocrinologia, psicologia e bioetica come da determina Aifa (n. 21756/2019) che ne ha regolamentato la prescrivibilità a carico del Ssn per casi di disforia di genere in età evolutiva dopo parere favorevole del Comitato nazionale di bioetica (Cnb, 2018).
A nostro avviso quindi i potenziali effetti benefici di tale farmaco sulla salute psico-fisica dei minori sono già stati ampiamente dimostrati dall’esperienza clinica, dalla letteratura scientifica e opportunamente valutati dagli organismi preposti in Italia (Aifa e Cnb) così come all’estero. Tali benefici si sono dimostrati superiori rispetto al solo percorso psicoanalitico che non risulta risolutivo per tali condizioni. Gli specialisti psicologi e psicanalisti del territorio, così come i pediatri di libera scelta e i medici di medicina generale, hanno quindi una grande responsabilità nel corretto inquadramento e invio dei minori verso appropriati centri specialistici dove possono continuare il loro appropriato percorso di cura.
L’Acp, attraverso il Gruppo di studio “Pediatria di genere”, si è impegnata da alcuni anni per affrontare il tema delle “questioni di genere nei minori”, unendo l’esperienza diretta come pediatri di famiglia/ospedalieri alle acquisizioni scientifiche e alle collaborazioni con gli specialisti nel settore. Questo ci ha portato alla elaborazione di un quadro di valutazione circa l’uso dei sospensori della pubertà in linea con quanto espresso dalle 7 maggiori società scientifiche italiane nel documento congiunto pubblicato a febbraio 2023 [7] in risposta alla lettera del Presidente della Società psicoanalitica italiana nella quale si esprime grande preoccupazione per l’uso di sospensori della pubertà per minori con disforia di genere [8].
Dal nostro punto di vista la lettera esprime una posizione della Società Psicoanalitica Italiana in esplicita opposizione a quanto la letteratura scientifica nazionale e internazionale evidenzia essere nell’interesse e a tutela del/della minore con incongruenza/disforia di genere.
Condividiamo la necessità di mantenere elevata l’attenzione su temi emergenti ed eticamente sensibili ma questo non deve portare a fare passi indietro rispetto alle acquisizioni consolidate e a pericolose derive ideologiche, come sottolineato peraltro dalle dichiarazioni della Società di psichiatria e Ordine nazionale degli psicologi [9]. È noto a livello nazionale e internazionale come negli ultimi anni il numero di ragazzi/e che esprimono incongruenza di genere e richiedono accesso alle relative cure specialistiche è aumentato. Non ci sono evidenze scientifiche che questo trend sia riferibile ad una generica “moda/contagio sociale” o ad un “disagio adolescenziale post-covid”. L’incremento, riferito già in epoca pre-covid, è probabilmente correlabile ad un aumento della consapevolezza di minori e famiglie, una de-stigmatizzazione della non conformità di genere e una maggiore capacità di accoglienza da parte del sistema socio-sanitario [10]. Ben sappiamo che questo succede tutte le volte che viene “abbattuto un muro di stigma” e che i professionisti della salute sviluppano una maggiore sensibilità diagnostica verso una specifica condizione. È ampiamente dimostrato invece con la pandemia covid-19 abbia avuto sui minori transgender impatto negativo a causa di un maggior isolamento sociale e un minore accesso ai servizi [11].
L’Acp ritiene dunque indispensabile mantenere alta l’attenzione su questo tema per garantire adeguato accesso alle cure per questi minori in linea con le più recenti raccomandazioni e promuovere una discussione scientifica che contrasti qualsiasi posizione – in merito a un tema tanto delicato e complesso – che possa ritenersi fondata su matrice ideologica e non su dati evidence based.
Chiara Centenari
Gruppo Acp “Pediatria di genere”
Bibliografia
Bloccanti puberali, tra ideologia ed evidenze scientifiche
La nota di Sarantis Thanopulos, presidente della Società psicoanalitica italiana
All’ombra della disforia di genere
Il punto di vista di Leonardo Speri
Disforia di genere: è possibile cambiare i nostri corpi? È etico l’uso di bloccanti puberali?
Il punto di vista morale di Matteo Cresti e Elena Nave
La nota di Sarantis Thanopulos sull’opportunità dell’utilizzo dei farmaci bloccanti della pubertà nei pre-adolescenti con disforia di genere
L’articolo di Letizia Fattorini su SaluteInternazionale
Il punto di vista di Iona Heath e Victor Montori su The BMJ