Principio morale utile a orientare la condotta e le scelte umane, indica l’obbligo di agire a beneficio degli altri, di cercare di realizzare il bene dei soggetti ai quali l’azione o la scelta si rivolge. Presente nei codici di condotta professionale dei medici fin dall’antichità, è uno dei quattro principi cardine dell’etica biomedica.
La beneficenza si distingue dalla benevolenza, la quale si riferisce alla disposizione del carattere ad agire per il bene altrui, alla volontà e al desiderio dell’agente, non all’effettiva azione volta alla promozione del bene altrui. Il principio di beneficenza presuppone che i beni e i mali siano tra loro confrontabili e misurabili e che vi siano due limiti al suo margine di azione: l’attenzione che ognuno deve porre a sé e al proprio benessere e le limitate capacità morali e psicologiche di provare simpatia e di identificarsi con coloro che si vuole aiutare.
Il requisito morale della beneficenza non richiede atti supererogatori, ossia che vadano oltre la chiamata del dovere, e lascia all’agente la libertà di stabilire in quali occasioni intervenire per il bene altrui.
Il tipo di dovere che questo principio statuisce è stato definito “imperfetto”: esso non esprime l’obbligo di agire sempre in favore del bene altrui, dovere che esigerebbe il massimo sacrificio personale in ogni circostanza della vita. Il requisito morale della beneficenza non richiede atti supererogatori, ossia che vadano oltre la chiamata del dovere, e lascia all’agente la libertà di stabilire in quali occasioni intervenire per il bene altrui. Altrimenti la beneficenza si confonderebbe con la santità.
Posto cosa prescrive il principio, bisogna definire quale sia il bene a cui esso si riferisce. Nella visione tradizionale si riteneva che il bene di chiunque fosse determinabile oggettivamente e conoscibile a priori. Nel contesto sanitario ciò si traduceva nella libertà del medico di stabilire da sé cosa perseguisse il bene del paziente, e di imporlo. In effetti un bene che possa, a priori, essere considerato razionalmente preferibile da parte di tutti non esiste, né è possibile, per la costitutiva
soggettività dell’esperienza morale umana, identificare una tale nozione astratta. Dunque, se la buona decisione clinica è quella che persegue lo scopo di un esito favorevole per il paziente (“favorevole” rispetto alle risorse sanitarie disponibili), tale esito è quello stabilito dal paziente.
Un’ultima considerazione, infine, merita il rapporto che lega questo principio a quello di non maleficenza. Secondo alcuni quest’ultimo è incluso nel precedente e non merita una menzione a sé; secondo altri e il principio di beneficenza che deriva da quello di non maleficenza.
Elena Nave Comitato etico interaziendale, Aou Città della salute e della scienza di Torino Ao Ordine Mauriziano – Asl Città di Torino Consulta di bioetica onlus
Questo testo è tratto dal libro Le parole della bioeticaa cura di Maria Teresa Busca e Elena Nave (Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2021). Per gentile concessione dell’editore.